“I BIOCARBURANTI CHE NON AFFAMANO”

Sorgo e alghe nel serbatoio

I biocarburanti, dopo un iniziale successo, sembrano, ora, caduti in disgrazia da quando si è fatto notare che l’utilizzo delle colture a scopi energetici sottrae cibo alle popolazioni più affamate, oltre a contribuire all’aumento del prezzo dei generi alimentari, seppur nella misura del solo 10%. Qualcuno potrebbe obiettare sulla buona fede di queste opinioni in quanto l’interesse per mantenere la supremazia delle fonti fossili è molto forte. Per fare un esempio, il Presidente Chavez è un convinto detrattore dell’utilizzo dei biocarburanti, ma desta un po’ di sospetto su questa presa di posizione il fatto che il Venezuela è un grande produttore di petrolio. La pensa in maniera contraria, il presidente del Brasile Luiz Inacio da Silva, detto Lula, forte sostenitore del bioetanolo, secondo il quale “molti di quelli che mettono sotto accusa l’etanolo per il rincaro dei prezzi degli alimenti sono gli stessi che da anni portano avanti politiche protezionistiche dell’agricoltura nei Paesi industrializzati, danneggiando gli agricoltori ed i consumatori dei Paesi più poveri”.
Il Presidente brasiliano, inoltre, ha sottolineato che pochi, invece, parlano dell’impatto che ha avuto la continua ed inarrestabile ascesa dei prezzi del petrolio sui costi dei trasporti e di conseguenza sui costi della produzione e distribuzione degli alimenti.

Il Presidente francese Sarkozy è convinto che i biocarburanti rappresentino una delle soluzioni sostitutive del petrolio, ma propende verso i biocarburanti di 2a generazione, quelli che non entrano in competizione con le colture tradizionali. In effetti, esistono delle colture in grado di “salvare capra e cavoli”, perché al contrario di altre, come colza, barbabietole e girasole, crescono in ambienti aridi e generano prodotti poco utilizzati dalla catena alimentare: il sorgo da fibra ed il sorgo zuccherino (Sorghum bicolor varietà saccharatum). Il sorgo da fibra è una coltura di estremo interesse sia a fini energetici che cartari per le elevate rese che può raggiungere e per la semplice tecnica colturale. Si adatta alla coltivazione in zone temperate come coltura a ciclo primaverile-estivo. Dal punto di vista morfologico tra sorgo da fibra e sorgo zuccherino non esistono grosse differenze, cambia, invece, la loro composizione analitica tanto da giustificarne il differente impiego. Il sorgo zuccherino, coltura per la produzione di biomassa vegetale ad alto contenuto zuccherino, è di origine tropicale, ma si adatta alle zone temperate ed ha un’elevata resistenza agli stress idrici. Entrambe le piante, però, al momento vengono utilizzate per la sola produzione di energia termica ed è ancora in fase sperimentale il loro sfruttamento per la produzione di biocarburante di “seconda generazione”. A Freiberg (Germania) la cancelliera Angela Merkel ha inaugurato un impianto dove scarti di lavorazione agricola e residui boschivi vengono trasformati in biodiesel. Si tratta di materiali che oltre a ridurre del 90% le emissioni di CO2 non creano competizione tra le colture energetiche e quelle alimentari. L’obiettivo per il primo anno di attività è di produrre 18 milioni di litri di combustibile. Durante il recente summit della FAO, svoltosi a Roma, il Direttore esecutivo del PAM (Programma Alimentare Mondiale), Josette Sheeren ha dichiarato che “con il prezzo del petrolio in costante aumento, i biocombustibili hanno una loro validità, ma rispetto al loro effettivo utilizzo è necessaria un’attenta analisi sull’ecocompatibilità”. Il prof. Gianpietro Venturi docente di Agronomia generale e colture presso l’Ateneo bolognese Alma Mater e Presidente della Piattaforma italiana per i biocarburanti (struttura creata su indicazione dell’UE per organizzare le sinergie tra gli operatori della filiera) ha coordinato uno studio sulle colture da biocarburanti, stilando anche una classifica dalla più alla meno idonea che vede in testa proprio il sorgo, che sarà presentato al Congresso della Società Europea di Agronomia in programma il prossimo Settembre. Secondo il prof. Venturi “la spinta alla diffusione di bioetanolo e biodiesel costituiscono un fattore molto marginale nel recente boom dei prezzi alimentari, ma in ogni caso è opportuno puntare su colture poco o per niente utilizzate nel settore alimentare”.
In un’azienda agricola di Rignano Garganico (FG), in circa 2 ettari di terreno, è stato avviato un esperimento sulla coltivazione di sorgo da fibra per la produzione di biomassa. Alla fine del ciclo vegetativo il miglior seme in termini di produzione, resistenza alla siccità e alle intemperie è risultato un sorgo di origine africana prodotto da un’azienda del Sudan. Un minimpianto di biomasse della capacità di 500 kw costa circa 1.850.000 euro e fornisce un guadagno medio annuo di circa 1 milione di Euro. Per produrre 500 kw sarebbero sufficienti circa 50 agricoltori disposti a coltivare un terreno di 250 ettari a sorgo da fibra.
L’ICRISAT (International Crops Research Institute for the Semi – Arid Tropics) in collaborazione con la Rusni Distilleries e circa 790 agricoltori, ha contribuito alla costruzione e all’avvio di un impianto che ricava bioetanolo dal sorgo zuccherino (Sorghum bicolor varietà saccharatum).
Dalla spremitura degli steli di sorgo deriva un succo dolce, dalla cui fermentazione e distillazione si ottiene etanolo. I grani della pianta, invece, sono destinati all’alimentazione umana o animale.
I residui della spremitura del sorgo possono essere bruciati per ottenere energia o trasformati in mangime per animali. Il sorgo zuccherino, oltre a non compromettere la sicurezza alimentare, è, inoltre, più conveniente dal punto di vista economico, rispetto ad altre colture agricole, come la canna da zucchero e il granturco. In Italia i terreni non utilizzati perché poco produttivi per produzioni agricole e incolti per le norme comunitarie sulle eccedenze agroalimentari sono almeno 20.000 km2 che se venissero utilizzati a scopi energetici potrebbero produrre circa 30 milioni di tonnellate di biomassa, da cui si potrebbero ricavare 25 milioni di tonnellate di bioetanolo, pari a circa 1/3 dei combustibili oggi necessari per autotrazione. Ma la chicca è costituita dalla notizia circa la possibilità di ricavare biocarburante dalle alghe. Ci ha provato la Shell che aveva progettato di costruire alle Hawaii una raffineria, però mai realizzata, per produrre combustibile dalle alghe. L’azienda Shapping Energy di San Diego (California) converte le alghe in green crude, cioè greggio verde; il processo di raffinazione può avvenire negli stessi stabilimenti in cui viene separato il petrolio greggio. Esiste, infatti, una relazione tra petrolio ed alghe, in quanto esso si forma dalla decomposizione di sostanze organiche provenienti da organismi acquatici del regno animale.
L’azienda californiana sostiene che questo nuovo combustibile entro 5 anni entrerà a pieno regime nel mercato. Lo scienziato Isaac Berzin del Massachusetts Institute of Technology (MIT una delle più importanti università di ricerca del mondo, con sede a Cambridge (Ma) ha realizzato un progetto che prevede di catturare la CO2 emessa dalle centrali elettriche attraverso l’utilizzo di alghe che poi verrebbero convertite in biocarburante. La Greenfuel, l’impresa di Berzin, ha già realizzato dei test di installazione del sistema e la produzione dovrebbe partire su larga scala entro il 2009. Le alghe hanno la capacità di assorbire fino all’80% di CO2 emessa e oltre l’80% degli ossidi di azoto. La riconversione in biocarburante sarebbe molto conveniente grazie all’altissimo rendimento delle alghe in rapporto alle altre sostanze vegetali usate allo stesso scopo. Secondo Michael Briggs del Biodiesel Group dell’Università del New Hampshire, le alghe con contenuto di olio superiore al 50% potrebbero produrre biodiesel sufficiente a sostituire tutto il carburante da autotrazione che viene attualmente utilizzato negli Stati Uniti, sfruttando per la coltivazione soltanto lo 0,3% di tutto il territorio nazionale.
Il terreno più adatto alla crescita delle alghe è di tipo desertico a forte irraggiamento solare, quindi con basso valore economico per qualunque altro utilizzo, ma resta da risolvere il problema dell’escursione termica con forte abbassamento della temperatura notturna tipica di queste aree. Si potrebbero inoltre impiegare gli scarti agricoli e l’eccesso di CO2 prodotto dalle industrie per accelerare la crescita delle alghe.
La Valcent, intanto, sta sperimentando a El Paso (Texas) un impianto per la produzione di alghe con una capacità produttiva di biodiesel ad ettaro nettamente superiore rispetto ad altre strategie. La peculiarità di questo impianto è nella struttura: le alghe non sono contenute in vasche, ma crescono verticalmente all’interno di borse in plastica trasparente che consentono un maggiore sfruttamento di tutta l’energia irradiante.
In questo modo lo spazio disponibile viene utilizzato al massimo con conseguente aumento della produttività, impiegando poca acqua e adoperando aree non utilizzabili per fini agricoli.
Anche in Nord Carolina è stato costruito un impianto dove le alghe crescono in enormi fermentatori. L’olio estratto viene purificato per poi essere usato in molte produzioni, tra cui anche il biodiesel.
Anche in Italia il prof. Mario Giordano dell’Università Politecnica delle Marche – Dipartimento Scienze del Mare Laboratorio di Fisiologia delle Alghe sta studiando la possibilità di produrre biodiesel dalle microalghe.
“Già possediamo un ventaglio di possibili soluzioni – ha detto lo scienziato – ma per ora mancano i fondi per passare dalla sperimentazione in laboratorio ad un vero impianto pilota”.

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