QUALE QUALITÀ PER L’AMBIENTE URBANO?
Luci ed ombre del “Bel Paese” nel IV Rapporto APAT sulla Qualità dell’Ambiente Urbano
Mentre lo spettro della diossina (che ingenuamente credevamo relegato nei ricordi della tragedia di Seveso) riemerge dai terreni contaminati della Campania (ma non solo) per minacciare l’integrità e la genuinità delle nostre tavole…
Mentre dall’Antardite si staccano, per la prima volta plateau di ghiaccio grandi come regioni… Mentre le bizze di un clima impazzito causano il ritardo della primavera facendo comparire teatrali nevicate anche sui rilievi collinari pre-appenninici in aprile inoltrato…
Mentre (paradossalmente) si ritirano sempre più in fretta i ghiacciai alpini, peraltro già minacciati dal pulviscolo atmosferico che ne annerisce oltremodo la superficie rendendoli più esposti all’assorbimento dei raggi solari che ne accelerano il discioglimento…
Mentre gli effetti dell’inquinamento diffuso sulla salute umana cominciano a farsi sentire anche a livello macroscopico (si veda a titolo di esempio la ricerca dell’Università di Pisa sulla diminuzione della quantità e della motilità degli spermatozoi umani a partire dagli anni ’70 ad oggi)…
Finalmente, una buona notizia arriva dalla Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e dei Servizi Tecnici, APAT, che, nella giornata dell’11 marzo, ha presentato, a Roma, il IV° Rapporto sulla Qualità dell’Ambiente Urbano.
Ebbene, dal documento emerge una fotografi a rasserenante del Belpaese, i cui punti salienti sono così riassumibili: diminuisce la media delle emissioni da trasporto nelle città italiane; aumenta la media di verde pubblico “pro capite”; diminuisce il consumo d’acqua per le utenze domestiche; diminuisce il numero degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante ubicati nelle aree urbane; aumentano i regolamenti pubblici per l’installazione di impianti che generano campi elettromagnetici; generalmente pulito il mare che bagna le principali città costiere.
A leggere superficialmente questa sintesi sembrerebbe che i 6 anni dal 2000 al 2006 abbiano segnato una svolta nella coscienza ecologica collettiva di cittadini ed amministratori pubblici e privati; ma basta questo per dormire sonni tranquilli cullandosi sugli allori di una pia illusione di traguardo raggiunto nella corsa verso lo Sviluppo Sostenibile? Evidentemente, no.
Se ci si arma di pazienza e di un po’ di sana malizia, ci si accorge che il Rapporto prende in esame i dati raccolti facendo riferimento alle sole 24 città italiane capoluogo di Provincia che superano i 150.000 abitanti; una scelta legittima e soggettiva, da parte dell’Ente promotore che, però, per le note possibilità offerte dalle proiezioni statistiche, rischia di inficiare la volontà di “scattare” una fotografi a realistica della situazione italiana.
Ma vediamo, in sintesi e nel dettaglio, cosa è emerso dall’indagine nazionale.
Cresce il numero dei veicoli a motore
Malgrado una certa disomogeneità nelle singole città, i dati a livello nazionale, parlano chiaro: nel periodo preso in esame, Milano registra un calo del 9%, mentre, viceversa, in molte città del Sud cresce il numero di automezzi in linea con il trend nazionale.
Se Taranto aumenta del 10,8%, Napoli sembra uscire dallo schema con una diminuzione del 6%. Se si analizza il dato relativo alla presenza di auto ogni mille abitanti nei singoli Comuni, si vede che Roma guida la classifi ca con ben 699 veicoli (anche se presenta una lieve flessione del 4,5% registrata nell’ultimo anno); seguono Modena (651), Catania (680), Firenze (548), Livorno (538), Prato (619). Malgrado dei lievi cali locali, nelle Province il numero di automezzi ogni mille abitanti è considerevolmente aumentato del 6%, ad onta di proclami, protocolli di intesa e dichiarazioni di intenti relativi ad una sempre più distante mobilità sostenibile.
Aumenta il numero di auto a basse emissioni.
Le auto “Euro 4” superano ormai il 10% in tutte le città (si pensi che nella sola Roma raggiungono il valore più alto (26,6%) ed in 6 anni sono aumentate del 129%.
Se la quota dei veicoli più vecchi ed inquinanti “pre Euro” scende al di sotto del 20% in quasi tutte le città del Centro Nord, purtroppo al Sud, si oscilla ancora intorno al 30%.
PM 10, sotto accusa il trasporto urbano.
Ancora una volta i dati analizzati in merito ai diversi rilevamenti di particolato atmosferico, dimostrano che il trasporto su gomma è il principale fattore di inquinamento in 19 delle 24 città considerate.
In 11 città, l’apporto del traffico veicolare incide del 50% nell’inquinamento atmosferico, solo a Roma, Torino, e Messina, supera il 60%! Anche per quanto riguarda gli NO x (ossidi di azoto), in 18 delle città prese in esame, la metà o più dei rilevamenti riscontrati è dovuta al traffico veicolare, ad esclusione di Venezia e Taranto, dove i grandi impianti industriali sono, da soli, responsabili rispettivamente del 74% e del 91% delle emissioni.
Stessa sorte per gli altri precursori di particolato atmosferico inquinante (monossido di carbonio, benzene, ossidi di zolfo), che però si riscontrano in quantità maggiori in presenza di poli industriali rilevanti e, nei casi di Napoli, Cagliari e Palermo, delle attività portuali relative.
Se è vero che le emissioni totali di PM 10 sono diminuite in tutte le città esaminate (rispetto al 2000), dal 4% di Taranto, al 67% di Brescia, è pur vero che i rilevamenti locali delle ARPA di riferimento circa gli sforamenti consentiti del limite massimo di PM 10/m3 evidenziano emergenze notevoli già durante i primi mesi dell’anno.
Diminuiscono (apparentemente) gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante (RIR)
È lapalissiano che la qualità di un ambiente urbano sia influenzata dalla presenza, spesso scomoda, delle infrastrutture produttive ed insediamenti industriali.
Ebbene, rispetto al 2001, sono avvenute riduzioni considerevoli di stabilimenti RIR nei capoluoghi di Modena (- 75%), Milano (- 66%) e Torino (-50%).
Tuttavia bisogna tener conto che questa riduzione non sempre corrisponde ad una effettiva eliminazione del problema, dal momento che l’evolversi della normativa di riferimento ha sostanzialmente modificato la classificazione per gli stabilimenti a rischio.
Cresce la quantità dei Rifiuti Urbani.
Tra il 2002 e il 2006 nelle grandi città la produzione dei rifiuti urbani è cresciuta del 5,1%, tuttavia la media nazionale presenta un significativo 8,9%. Il minor incremento della produzione nelle grandi città sembra dipendere dalla diminuzione della popolazione relativa, dal momento che a livello pro capite, nel 2006 hanno prodotto 622 Kg/abitante, ben 72 in più rispetto alla media nazionale.
Malgrado le performance significative di alcune città dove la raccolta differenziata ha raggiunto livelli ragguardevoli (Padova, 39%; Torino, 36,7%; Brescia, 35,8% e Prato, 35,3%), centri urbani notevoli come Cagliari, Napoli, Catania e Messina, rimangono sotto il 10%. Però, nel rapporto non vengono conteggiati né menzionati i rifiuti speciali che quantitativamente sono tre volte tanto i normali RSU.
Diminuisce il consumo d’acqua per le utenze domestiche, ma aumenta quello di gas metano.
Un piccolo passo verso il risparmio delle risorse ambientali è rappresentato dalla diminuzione del consumo di acqua potabile per le utenze domestiche. Seppur pressoché invariata rispetto al 2005, la media è scesa dai 75,3 m3 per abitante del 2000 ai 69,4 m3 del 2006.
La “palma” per le città più virtuose, in questo senso, è andata a Livorno (47,4 m3 per abitante), seguono Foggia (48,7 m3) e Prato (50,3 m3), mentre Torino, Brescia e Roma guidano la teoria delle più sprecone (rispettivamente: 88,8 m3 84,4 m3 83,4 m3).
Purtroppo nelle 24 città sotto la lente del Rapporto Apat, si è registrato, nel 2006 un aumento del 6,7% (rispetto al 2000) relativamente al consumo pro capite di gas metano per uso domestico e riscaldamento.
Crescono i controlli per l’inquinamento elettromagnetico, ma quello acustico rimane sempre uno spettro da sconfiggere.
Aumentano i controlli e le regole relativi all’installazione di impianti che generano campi elettromagnetici (in particolare quelli per la telefonia mobile); 12 delle 24 città analizzate hanno adottato uno specifico regolamento in materia e nel solo 2006 sono stati effettuati 5.700 controlli su impianti radiotelevisivi e stazioni-radio base. L’80% delle città di cui si dispone dell’informazione documentata non ha superato i limiti di emissione previsti dalla legge, per quanto riguarda la radiazione elettromagnetica.
Purtroppo non è la stessa cosa per l’inquinamento acustico, in cui la stesa Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato la causa di stress e patologie non solo a carico dell’apparto uditivo, ma financo di quello cardiaco.
Ebbene, la classificazione acustica, che rientra negli adempimenti previsti dalla normativa per il contenimento di questa forma di inquinamento, è stata effettuata solo in 14 città, mentre 6 hanno approvato il relativo Piano di risanamento e solo 5 hanno predisposto una relazione biennale sullo stato acustico.
Aumenta il “verde”, generalmente buono il “blu”
Qualche buona notizia sul fronte ambientale, c’è: aumentano le aree verdi pubbliche nelle città esaminate dall’indagine e il mare delle principali città e delle loro province risulta generalmente pulito.
Insomma, a ben leggere il Rapporto, non emerge sicuramente un “primo piano” completamente lusinghiero del “Bel Paese” al punto che la presenza di “zone buie” o non completamente “illuminate”, gettano ombre scure sul presente e sul futuro.