Dovere di accertamento dell’autorizzazione

Nel caso di conferimento a terzi la cautela è doverosa e protegge da eventuali corresponsabilità nel reato di illecita gestione

Colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che gli stessi siano debitamente autorizzati allo svolgimento di dette attività, con la conseguenza che l’inosservanza di tale elementare regola di cautela imprenditoriale è idonea a configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in assenza del prescritto titolo abilitativo.
È quanto emerge dalla lettura della Sentenza della Corte di Cassazione, III Sezione Penale, n. 29727/13 depositata in cancelleria l’11 luglio 2013.
Nel caso in esame, si richiama come la responsabilità nella gestione di rifiuti sia disciplinata dall’art.188 d.lgs.152\06, il quale indica gli oneri incombenti su produttori e detentori dei rifiuti.
Al terzo comma sono previste alcune esenzioni di responsabilità, tra le quali figura quella operante in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, ma a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all’art. 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore ovvero, alla scadenza del predetto termine, abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario (ora è stabilito che il produttore sia in possesso del formulario).
In precedenza la stessa Corte ha già avuto modo di chiarire che il detentore dei rifiuti può affidare la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti ad altri soggetti privati affinché svolgano per suo conto tali attività, ma in tal caso ha l’obbligo di controllare che gli stessi siano autorizzati alle attività di raccolta e smaltimento o recupero e, qualora tale doverosa verifica sia omessa, il detentore risponde a titolo di colpa, per inosservanza della citata regola di cautela imprenditoriale, dei reati configurati dall’illecita gestione.

 

A maggior informazione dei Lettori, pubblichiamo, di seguito, un estratto della Sentenza, desunto dal sito: www.lexambiente.it

 

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da (omissis)
avverso la sentenza n. 500197/2009 Trib. Sez. Dist. di San Donà di Piave, del 28/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in pubblica udienza del 04/06/2013 la relazione fatta dal Consigliere (Omissis); Udito il Procuratore Generale (omissis) che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi

 

 RITENUTO IN FATTO

 

1. Il Tribunale di Venezia – Sezione Distaccata di San Donà di Piave, (con sentenza del 28.6.2011 ha affermato la responsabilità penale di (omissis) che condannava alla pena dell’ammenda, in ordine al reato di cui all’art. 256, comma 1, Lett. a) d.lgs. 152\06 perché, nelle loro qualità titolari di imprese, individuali o collettive, avevano conferito i rifiuti prodotti presso un impianto di gestione in regime semplificato non abilitato a riceverli, gestito da (omissis) il cui legale rappresentante era stato separatamente giudicato (fatto accertato in Jesolo nel dicembre 2006). La pronuncia viene impugnata dagli imputati, avendo (omissis) proposto appello, convertito in ricorso per cassazione ed (omissis) presentato, congiuntamente, ricorso per cassazione.  

 

2. (omissis) deduce, con un primo motivo, il vizio di motivazione, rilevando che il giudice del merito avrebbe valorizzato esclusivamente alcuni dati emersi nel corso dell’istruzione dibattimentale, tralasciandone altri di rilievo, ponendo così l’accento sulla circostanza che egli si era avvalso di (Omissis) esclusivamente per ragioni di convenienza economica, senza considerare che egli si era preventivamente assicurato che i rifiuti prodotti potessero essere conferiti a detta società. Con un secondo motivo denuncia la violazione di legge, osservando come, nel corso del processo, fosse emerso che il conducente del mezzo con il quale vennero trasportati i rifiuti aveva modificato il codice CER apposto sui formulari (da 12 0l 21 a 04 0? 09) senza che fosse effettuato alcun accertamento sulla effettiva tipologia del rifiuto e sulla possibilità della (omissis) di riceverlo e che tale circostanza avrebbe dovuto essere valutata al fine di considerare la sua buona fede

 

3. (omissis) deducono, con un primo motivo di ricorso, he il giudice avrebbe erroneamente escluso la sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 48 cod. pen., essendo stati tratti in inganno dal trasportatore circa la sussistenza del richiesto titolo abilitativo per lo smaltimento dei rifiuti mediante l’esibizione dell’autorizzazione al trasporto, che contemplava i codici CER dei rifiuti conferiti e la verbale dichiarazione di essere in possesso anche dell’autorizzazione per lo smaltimento.  Con un secondo motivo di ricorso rilevano che, nelle more dell’impugnazione, il reato si e estinto per intervenuta prescrizione.  

 

4. (omissis) deduce che dall’istruzione dibattimentale sarebbe emerso che, nel corso dei sopralluoghi presso la (omissis) non è stata mai accertata la presenza di rifiuti aventi caratteristiche corrispondenti a quelli da lui prodotti e che i rifiuti conferiti erano stati subito trasferiti lo stesso giorno presso altro centro di raccolta, cosicché non sarebbe stata posta in essere alcuna attività diversa dal mero trasporto. Con un secondo motivo di ricorso assume di essere stato anch’egli indotto in errore circa il possesso, da parte del legale rappresentante della (omissis) del prescritto titolo abilitativo operando, anche nel suo caso l’ipotesi di cui all’art. 48 cod. pen. Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dell’impugnazione.
All’odierna udienza il difensore presente ha dedotto l’intervenuta prescrizione del reato.  

 

CONSIDERATO IN DIRITTO  

 

I ricorsi sono inammissibili.
Va preliminarmente rilevato che l’impugnazione di (omissis) è stata presentata presso la Corte di appello di Venezia e reca l’intestazione «Avanti la Corte d’appello di Venezia» mentre il corpo del testo e strutturato come ricorso per cassazione, retando il richiamo, per ciascun motivo, all’art. 606 cod. proc. pen.
Essa, inoltre, risulta sottoscritta dal solo difensore, (omissis), il quale non risulta iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, sebbene rechi in calce l’atto di nomina del medesimo difensore sottoscritto dall’imputato.
Tali evenienze non ostano all’ammissibilità del ricorso che deve essere invece esclusa, come si dirà in seguito, per altre ragioni.
Invero, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, il ricorso sottoscritto da difensore cassazionista che rechi a margine l’atto di nomina del difensore firmato dall’imputato deve intendersi da questi proposto personalmente (Sez. III n. 28961, 18 luglio 2012). Il principio, pienamente condiviso dal Collegio, e stato affermato richiamando quanto stabilito dalle Sezioni Unite con riferimento al mandato difensivo apposto in calce all’atto di impugnazione, richiamandone l’implicito ma evidente valore di condivisione della dichiarazione e dei motivi di ricorso. giuridicamente ritenuti come fatti propri dall’imputato che se ne assume la paternità (SS.UU. n. 47803. 23 dicembre 2008).
Si e inoltre affermato che qualora un provvedimento giurisdizionale sia impugnato con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente stabilito. Il giudice che riceve l’atto di gravame deve limitarsi. secondo quanto stabilito dall’art. 568. comma quinto cod. proc. pen.. Alla verifica dell’oggettiva impugnabilità del provvedimento e dell’esistenza della volontà di impugnare, intesa come proposito, di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, conseguentemente, trasmettere gli atti al giudice competente astenendosi dall’esame dei motivi al fine di verificare, in concreto, la possibilità della conversione (Sez. V n. 21581. 25 maggio 2009; Sez. III n. 19980. 12 maggio 2009; Sez. III n.2469. 17 gennaio 2008; Sez. IV n. 5291. 10 febbraio 2004; Sez. V n. 27644. 26 giugno 2003; Sez. IV n.17374. 14 aprile 2003; Sez. II n.14826. 28 marzo 2003; Sez. II n. 12828. 19 marzo 2003; sez. III n.17474. 9 maggio 2002 55. UU. n. 45371. 20 dicembre 2001).
Si e peraltro precisato che l’istituto della conversione della impugnazione previsto dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.. ispirato al principio di conservazione degli atti. determina unicamente l’automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l’atto convertito deve avere  requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez. I n. 2846. 9 luglio 1999. V. anche ex pl. Sez. III n. 26905, 16 giugno 2004; Sez. IV n. 5291, 10 febbraio 2004).

 

Nella fattispecie l’atto di impugnazione, pur presentando i requisiti propri del ricorso, risulta basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità ed, in ogni caso manifestamente infondati.
Altrettanto deve dirsi con riferimento all’impugnazione del (omissis), la quale è diretta alla Corte di appello di Venezia ed espressamente qualificata come appello dall’imputato.

 

Motivi di ricorso sono, invero, interamente articolati in fatto, con ripetuti richiami ad atti e documenti il cui esame è precluso a questa Corte, suggerendone una lettura alternativa a quella effettuata dal giudice del merito.
Quest’ultimo, con motivazione del tutto coerente e scevra da cedimenti logici, ha posto in evidenza come all’accertamento del fatto si sia pervenuto attraverso l’esame incrociato di alcuni documenti (stampato giacenze, registri di carico e scarico, formulari e documentazione fotografica) all’esito del quale era emerso che la società presso cui erano stati conferiti i rifiuti non era autorizzata a riceverne di quella tipologia.
Il giudice del merito ha altresì ritenuto che gli imputati erano venuti meno al dovere di puntuale informazione che l’attività professionalmente svolta gli imponeva, ben potendo rilevare, essendo loro noto il soggetto destinatario del rifiuto, se questi era debitamente autorizzato a riceverlo ed ha anche confutato. sulla base delle ulteriori acquisizioni probatorie e, segnatamente, delle dichiarazioni rese da un teste indotto dalla difesa di (omissis) (una dipendente dell’imputato), le deduzioni da questi svolte rispetto alla sua posizione, osservando che la stessa testimone aveva precisato come la decisione di conferire i rifiuti alla (omissis) fosse stata dettata dalla mera convenienza economica e che ella aveva fatto rilevare al datore di lavoro come la ditta destinataria «forse non era in grado» di ricevere il rifiuto «ma costava meno … ».

 

Va ulteriormente rilevato che la decisione impugnata oltre che adeguatamente motivata risulta anche giuridicamente corretta.
Le responsabilità nella gestione di rifiuti é infatti disciplinata dall’art. 188 d.lgs.152\06, il quale indica gli oneri incombenti su produttori e detentori dei rifiuti.
Il terzo comma della richiamata disposizione prevedeva all’epoca dei fatti (e prevede attualmente) alcune esenzioni di responsabilità, tra le quali figura quella operante in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero ? di smaltimento, ma a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all’art. 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore ovvero, alla scadenza del predetto termine, abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario (ora è stabilito che il produttore sia in possesso del formulario).
A tale proposito questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il detentore dei rifiuti può affidare la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti ad altri soggetti privati affinché svolgano per suo conto tali attività, ma in tal caso ha l’obbligo di controllare che gli stessi siano autorizzati alle attività di raccolta e smaltimento o recupero e, qualora tale doverosa verifica sia omessa, il detentore risponde a titolo di colpa, per inosservanza della citata regola di cautela imprenditoriale, dei reati configurati dall’illecita gestione (Sez. III n. 8018, 1 marzo 2012, non massimata; Sez. III n. 6101, 7 febbraio 2008; Sez. III n. 21588, 1 aprile 2004. Si vedano anche: Sez. III n.8367, 25 febbraio 2008; Sez. III n. 44292, 28 novembre 2007; Sez. III n. 44291, 28 novembre 2007; Sez. III n. 16016, 19 febbraio 2003 non massimate).
La responsabilità non è evidentemente esclusa dal fatto che il terzo sia munito di autorizzazione, ma relativa a rifiuti diversi da quelli oggetto di conferimento, perché ciò si risolve nella mancanza di autorizzazione per i rifiuti conferiti; né si configura come una inammissibile forma di responsabilità oggettiva, conseguendo viceversa alla negligenza nella verifica della esistenza di specifica autorizzazione (così Sez. III n. 18030, 11 maggio 2007, non massimata. V. anche Sez. III n. 18038, 11 maggio 2007 citata anche nella decisione impugnata).  

 

Nel caso in esame il Tribunale ha fatto dunque buon uso dei principi dinanzi ricordati, rilevando, sulla base delle emergenze probatorie, con argomenti in fatto congruamente sviluppati, che gli imputati erano perfettamente in grado di porre in essere tutte le verifiche e le cautele che l’ambito professionale entro il quale sono inseriti necessariamente richiedono e che avrebbero potuto effettuare adoperando una pur minima diligenza ed, anzi, che nel caso di (Omissis) la possibile irregolarità del conferimento che si andava effettuando era stata avvertita anche da una semplice dipendente addetta al settore contabile dell’azienda, le cui osservazioni erano state disattese per mera convenienza economica.
Correttamente è stata dunque esclusa dal giudice del merito l’induzione in errore da parte del soggetto cui i rifiuti venivano conferiti (circostanza addotta da Omissis), non potendo i detentori dei rifiuti, in presenza del preciso onere loro imposto dalla legge, fare affidamento sulle rassicurazioni verbali del trasportatore.

 

Deve in definitiva ribadirsi il principio secondo il quale colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che gli stessi siano debitamente autorizzati allo svolgimento di dette attività, con la conseguenza che l’inosservanza di tale elementare regola di cautela imprenditoriale  è idonea a configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in assenza del prescritto titolo abilitativo.

 

I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento. in favore della Cassa delle ammende. della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000.00
In ogni caso, l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione (Sez. IV n. 18641. 22 aprile 2004).

 

p.q.m.  

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così
 deciso in data 4.6.2013


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