CENTRALI NUCLEARI: FAUTORI E DETRATTORI

E intanto l’eolico batte il nucleare

I costi sempre crescenti di petrolio e gas e la necessità di rispettare i parametri imposti dal Protocollo di Kyoto han- no rispolverato la questione della necessità di costruire in Italia nuove centrali nucleari. A riprova di ciò, entrambi i programmi dei 2 maggiori partiti (PDL e PD) parlano di investire sulla ricerca per il nucleare di IV generazione, i cui reattori sarebbero molto più piccoli di quelli tradizionali, meno costosi e richiederebbero tempi molto più brevi di costruzione, inoltre, presenterebbero potenzialità di rischio ridotte grazie ad un minor utilizzo di materiali radioattivi e misure di sicurezza passive. Il neo Ministro allo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, intervenendo all’assemblea di Confindustria, ha dichiarato che entro questa legislatura “intende porre la prima pietra per la costruzione in Italia di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione perché soltanto gli impianti nucleari consentono di produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell’ambiente”. Immediata la reazione di Ermete Realacci, Ministro ombra dell’Ambiente, per il quale, al contrario, “non si può tornare al nucleare in quanto scelta costosa ed ideologica”. Sul dibattito pro o contro nucleare, sono scesi in campo anche illustri personalità del mondo scientifico come il Premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia, e l’oncologo ex Ministro della Salute, Umberto Veronesi.

Alla dichiarazione di Veronesi secondo il quale “il nucleare è una scelta inevitabile e sicura, per tutto il mondo e per l’Italia in particolare”, è seguita la risposta di Rubbia. “Veronesi si occupi di oncologia – ha detto il Premio Nobel – lasciando il nucleare a chi ne ha la competenza”. Secondo Rubbia, finché non si troverà un’alternativa alla fissione con l’uranio, ad esempio la fissione con il torio (metallo leggermente radioattivo reperibile in natura), è preferibile puntare sull’energia da fonti rinnovabili, soprattutto sul solare. In seguito all’esito del referendum del 1987, ad un anno circa dall’incidente di Chernobyl, l’Italia fu il primo Paese industrializzato ad uscire dal nucleare. Vennero così chiuse le 4 centrali nucleari di Trino Vercellese (VC), Latina (LT), Caorso (PC) e Garigliano (CE). Oltre alle centrali dismesse, sul territorio italiano ci sono ancora alcuni impianti destinati al trattamento del combustibile e alla ricerca scientifica, che hanno anche la funzione di depositi per le scorie. Per il loro smantellamento, fissato entro il 2015, si è calcolata una spesa di 862 milioni di Euro. Il ripristino delle centrali nucleari da alcuni è visto come la panacea di tutti i mali, da altri come il ritorno di un incubo. Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), a Ottobre 2007 erano 439 i reattori operativi che contribuiscono al 15% della produzione elettrica mondiale: il Paese leader per numero di reattori attivi sono gli USA con 104 impianti (19% di produzione di energia elettrica nazionale), seguiti da Francia con 59 (78% di produzione di energia elettrica nazionale) e Giappone con 55 (30% di produzione di energia elettrica nazionale). Ne risultano poi altri 32 in costruzione, di cui soltanto 2 nella Comunità europea, uno in Finlandia e l’altro in Bulgaria. Secondo Legambiente, i fautori del ritorno al nucleare devono ancora risolvere i soliti problemi legati a questa tecnologia: – la sicurezza delle centrali; – la gestione dei rifiuti radioattivi; – lo smantellamento degli impianti; – la protezione degli impianti da eventuali attacchi terroristici; – il rischio della proliferazione di armi nucleari; – l’esaurimento delle scorte di uranio; – i costi di un KWh da produzione elettronucleare. Dai dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, dal 1992 al 2005, il nucleare da fissione (l’energia si ricava spaccando nuclei d’Uranio) ha usufruito del 46% degli investimenti in ricerca e sviluppo; quello da fusione del 12% (è processo fisico analogo a quello che avviene nel Sole, che liberando neuroni produce grandi quantità di energia, ma a differenza della fusione la radioattività delle piccole quantità di neuroni viene smaltita in un periodo tra 50 e 100 anni) mentre alle rinnovabili è stato destinato solo l’11% del totale. Un altro nodo irrisolto dell’energia nucleare è il tempo di realizzazione delle centrali, non inferiore ai 10 anni con le probabili proteste delle popolazioni interessate dall’insediamento. La questione più spinosa rimane, comunque, lo smaltimento delle scorie radioattive. A seconda della concentrazione di radioattività e del tempo di decadimento, si parla di rifiuti a bassa, media ed alta attività. I rifiuti più pericolosi sono, ovviamente, quelli ad alta attività, tipici del processo di combustione dell’uranio nei reattori. Si stima che attualmente nel mondo ci siano 250mila tonnellate di rifiuti altamente radioattivi in attesa di essere sistemati in siti di stoccaggio, accantonati in depositi temporanei o lasciati, addirittura, negli stessi siti dove sono stati prodotti. I depositi di scorie sono circa 80 in tutto il mondo, ma l’unico deposito geologico, dove viene garantito l’isolamento dei rifiuti radioattivi di media ed alta attività, si trova nel New Mexico (USA), sebbene ne siano allo studio altri in diversi Paesi. Oltre al problema della collocazione, è necessario rendere inutilizzabile il materiale fissile di scarto per la possibile costruzione di bombe. Gli spostamenti necessari a portare a destinazione l’uranio ed i residui radioattivi allo smaltimento sono momenti di particolare criticità sia per eventuali furti che attentati. Dal 1993 sono stati individuati 650 casi di traffici illegali di materiale radioattivo, la maggior parte dei quali irrilevanti, ma 11 riguardanti materiale nucleare. Non dimentichiamo, inoltre, che esiste un rapporto tra nucleare militare e civile, perché durante la produzione di energia, le centrali forniscono anche materiale radioattivo utile per la costruzione di bombe. Tra gli anni ’50 ed ’80 si sono veri- ficati oltre un centinaio di incidenti nucleari, 20 dei quali gravi. Sul ver- sante militare si tratta soprattutto di sottomarini e portaerei che sono affondati, portando con sé decine di siluri e testate nucleari, mentre sul versante civile si registrano una serie di eventi accidentali. Spesso gli incidenti minori non vengono divulgati, quindi la lista ufficiosa potrebbe essere più lunga di quella ufficiale, inoltre, sulle conseguenze degli incidenti manca ancora oggi un dato ufficiale che consideri non solo le morti, ma anche l’impatto sulla salute dei cittadini nel lungo periodo. L’UE ha fissato l’obiettivo per l’Italia di raggiungere entro il 2020 il 17% di produzione di energia da fonti rinnovabili e l’energia nucleare non è considerata tale. “L’energia nucleare non è considerata una fonte rinnovabile, pertanto non è calcolata nel mix di fonti con il quale ciascun Paese deve raggiungere i target concordati”, ha ribadito Ferran Tarradellas – portavoce del commissario UE Andris Piebalgs – interpellato sul programma del PDL che prevede il ritorno dell’Italia alla produzione di nucleare. In un articolo pubblicato su “The Economist” si parla di “seconda chance per il nucleare sulla scorta dei nuovi reattori in costruzione nei Paesi emergenti e in Finlandia e sul ripensamento in atto in Paesi come USA, Gran Bretagna ed Australia”. I motivi per il settimanale britanni- co sono vari. Innanzitutto di natura geopolitica per non dipendere piu da zone instabili – Medio Oriente ed Europa dell’Est – per gli approvvigionamenti energetici, ma anche ambientali (l’obbligo del rispetto dei parametri imposti dal protocollo di Kyoto) ed economici, infatti, gli impianti più moderni hanno un fattore di produzione del 90%, contro il 50% delle centrali progettate negli anni ’70. Inoltre le nuove caratteristiche di “sicurezza passiva” consentirebbero, in situazione di emergenza, di spegnere un reattore senza bisogno dell’intervento umano. Anche “The Economist”, però, riconosce le difficoltà che presenta il ritorno al nucleare, innanzitutto i sostanziosi investimenti che le aziende difficilmente saranno disposte ad accollarsi a fronte di molto probabili opposizioni da parte delle popolazioni interessate dall’installazione di centrali nucleari. I fautori del nucleare, pur ri- conoscendo che da 20 anni sono state costruite pochissime centrali, soprattutto in Occidente, sostengono che lo sviluppo di questa fonte di energia è stato limitato perché una volta raggiunto un mix produtti- vo ottimale, non è più necessario realizzare nuovi impianti. Ma ora che molte centrali costruite negli anni ’60 e ’70 sono diventate obsolete, la necessità degli approvvigionamenti di energia, l’elevato costo degli idrocarburi e gli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti stanno rilanciando il nucleare. A metà Aprile a Bruxelles si è tenuta una Conferenza internazionale organizzata da Feratom, che ha riunito politici ed esperti di tutto il mondo per discutere delle più recenti politiche in campo nucleare e dei problemi ambientali inerenti. Uno degli interventi più attesi era quello del commissario UE Andris Piebalgs che ha affermato “l’importanza dell’energia nucleare per la riduzione delle emissioni di CO2”, ma anche ricordato che “è necessario rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri dell’UE sui problemi di sicurezza e di salute legati alle installazioni nucleari, così come in materia di trattamento delle scorie nucleari”. Favorevole ad un ritorno del nucleare in Italia anche Ugo Spezia, segretario generale dell’Associazione Italiana Nu- cleare (AIN) che ritiene eccessivi i timori sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi. “La gente – ha detto – tende a rifiutare ciò che non conosce. Credo che per convincere sarebbe sufficiente far vedere co- me sono fatti e funzionano i depositi attualmente attivi in Francia, Spagna e Svezia”. Mentre prosegue vivacemente il dibattito sul nucleare, arriva la notizia che nel 2007 a livello globale, dal punto di vista del numero dei nuovi impianti, l’eolico ha battuto il nucleare! Lo scorso anno sono stati installati 20mila megawatt di eolico contro 1,9 megawatt di energia nucleare. Nonostante nel corso dell’anno, le pale eoliche funzionino per un numero inferiore di ore rispetto agli impianti nucleari, nel 2007 l’eolico ha prodotto più elettricità del nucleare. “Considerando anche l’apporto del solare foto- voltaico e termico – ha detto Gia ni Silvestrini, Direttore del Kyoto Club – si può affermare che tra il 2008 ed il 2012 (periodo che chiude la prima fase degli accordi del Protocollo di Kyoto) il contributo delle fonti rinnovabili sarà 4 volte superiore al contributo prodotto dalle centrali nucleari costruite nello stesso periodo”. Il trend è confermato dagli USA, dove il 30% di tutta la potenza elettrica installata nel 2007 deriva dal vento e il Dipartimento Federale dell’Energia prevede che entro il 2030 l’eolico raggiungerà una quota pari al 20% di elettricità, creando, inoltre, posti di lavoro per 500.000 persone. Anche in Europa alcuni Paesi puntano sull’eolico come la Danimarca (21% di elettricità dall’eolico), la Spagna (12%), il Portogallo (9%) e la Germania (7%).

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