AUTOVEICOLI FUORI USO E PARTI DI RICAMBIO
Cassazione Penale, sez. III n. 194 del 07.01.2013
L’art. 3 comma 3 del D.l.vo 209/2003 richiede che si sia in presenza di veicoli e parti di ricambio “conservati in modo adeguato” anche con riferimento ai veicoli che non sono ”pronti all’uso”. In tale prospettiva l’esame della natura delle auto non circolanti e dei pezzi di ricambio deve avvenire non nell’ottica di verificare la provenienza bensì quale sia il loro impego, con la conseguenza che i veicoli e i pezzi smontati potranno essere ricondotti alla categoria di “ rifiuto” nei casi in cui non appaiano conformi alle finalità di restauro o di reimpiego in considerazione delle caratteristiche intrinseche e delle modalità di conservazione.
In prima approssimazione, si può indicare come veicolo fuori uso, ossia come rifiuto, non solo quello di cui il proprietario si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi, ma anche quello privato della targa di immatricolazione, anche prima della materiale consegna al centro di raccolta e quello in evidente stato di abbandono anche se giacente in un area privata.
Questa interpretazione, ripresa dall’art. 184 comma 3 lett. l) del TUA 152/06 e dall’art. 3 comma 2 lett. c) e d) del D.lgs 209/03, costituisce il punto di riferimento per ancorare la normativa alle situazioni quotidiane. Pertanto, nell’attuale panorama normativo la gestione dei veicoli fuori uso “deve” essere effettuata secondo i criteri di gestione dei rifiuti. Ciò determina numerosi problemi applicativi per gli operatori del settore. I materiali che vengono trattati hanno un considerevole valore economico e il fine della gestione non è quello del mero smaltimento bensì quello del recupero e del reimpiego. Questa prima considerazione unita al fatto che un veicolo vecchio o usurato ma potenzialmente ancora idoneo per circolare, nell’attuale mercato dell’auto ha un valore irrilevante mentre, non appena viene classificato “fuori uso” acquista un valore superiore. Generalizzando, una vettura comune con dieci anni di vita, nel nostro mercato automobilistico ha, ormai, un valore simbolico, mentre la stessa vettura considerata come pezzi di ricambio e matalli di recupero assume un valore superiore. Tuttavia l’“operazione commerciale” della demolizione e successiva gestione viene considerata dalla norma secondaria rispetto a quella del trattamento di rifiuti.
In particolare la vendita delle parti di ricambio costituisce un importante settore di un mercato che incontra notevoli difficoltà legate alla vigente normativa. Gli operatori di settore, che come in quasi tutti i settori dell’economia subiscono gli effetti della crisi globale, hanno legittimamente sviluppato filoni di mercato con paesi esteri in cui la commercializzazione dei ricambi usati è importante.
In alcuni paesi europei e in molti stati Africani la tipologia del parco veicoli circolante insieme alla prassi di mantenere in esercizio per lungo tempo i veicoli ha reso il mercato dei componenti di veicolo florido e ancora oggi potrebbe avere livelli significativi.
Pertanto il fenomeno delle esportazioni di parti di ricambio usate è parte di un mercato ricorrente. Altrettanto ricorrenti, però, sono i casi di contestazione di violazione della normativa sul trattamento dei rifiuti da parte degli organi addetti al controllo. Nonostante l’oggetto delle transazioni commerciali siano appunto merci accompagnate da documenti fiscali, ricevute di pagamento, contratti commerciali, per quanto si è già detto la normativa che viene applicata è quella sul trattamento dei rifiuti.
Ma come si spiega la contestazione di violazione in ambito di rifiuti nella commercializzazione di merci accompagnate da regolari fatture e documenti doganali e con un considerevole valore economico sebbene la normativa regolamenti il trattamento dei veicoli fuori uso e non dei ricambi che ne vengono estratti?
La precitata normativa sulla gestione dei rifiuti e dei veicoli fuori uso dispone che, sebbene si trattino beni economicamente rilevanti continui ad applicarsi la normativa sui rifiuti anziché, per esempio, le norme sul trasposto o sulla commercializzazione delle merci pericolose, stante la pericolosità attribuita dal TUA ai veicoli fuori uso.
In ambito di gestione e commercializzazione dei pezzi di ricambio usati occorre altresì tenere in considerazione gli orientamenti della Corte di Cassazione che ha trattato la questione. In sintesi: i principi di orientamento per l’attività di autodemolizione sono rivolti a considerare la fonte di provenienza del pezzo di ricambio e non l’impiego che ne deve essere fatto. Inoltre, il fine che si comprende è di evitare che la procedura di recupero finisca per avere effetti negativi sull’ambiente. Pertanto, sempre partendo dalle abrogate disposizioni del “Decreto Ronchi” anche la vigente normativa speciale di cui al decreto 209/2003 in particolare l’art. 6 prevede una chiara indicazione delle fasi di intervento. Le tre fasi tipiche, 1) messa in sicurezza; 2) smontaggio; 3) stoccaggio, sono incentrate a garantire un elevato livello di tutela ambientale. Il reimpiego, altro principio cardine dell’impianto normativo sulla tutela ambientale, in campo di recupero dei pezzi di ricambio, viene considerato quale ipotesi di “rango inferiore”. L’art. 15, comma 7 del D.lgs. n. 209/2003 consente il commercio delle parti di ricambio recuperate in occasione dello svolgimento delle operazioni di trattamento del veicolo fuori uso, ad esclusione di quelle che hanno attinenza con la sicurezza dello stesso veicolo individuate nell’allegato III. I gruppi di merci riguardano: impianto frenante; sterzo; sospensione anteriore/posteriore; trasmissione e varie altri parti, dell’impianto di alimentazione e cinture, pretensionatori air bag. Tali parti possono essere cedute solo agli iscritti alle imprese esercenti attività di autoriparazione di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 122 (autoriparatori) e possono essere utilizzate solo se sottoposte alle operazioni di revisione singola previste dal D.lvo 30 aprile 1992, n. 285, art. 80. Ulteriormente, dell’effettiva utilizzazione di tali parti di ricambio da parte degli autoriparatori, deve risultare da fatture rilasciate al cliente.
In altre parole dal testo normativo appare che non è consentito il commercio delle parti di ricambio di cui al citato allegato III. Salvo il disposto del successivo comma che consentendo la cessione ad alcuni soggetti qualifica i ricambi merci suscettibili di commercializzazione.
Alla luce di tale previsione normativa una considerazione: i pezzi di ricambio attinenti alla sicurezza, dopo le fasi di smontaggio e stoccaggio, sono merci e non continuano ad essere rifiuti. In linea con il poco chiaro disposto normativo, tali ricambi, una volta staccati dal veicolo/rifiuto ritornano ad essere merci e tali rimangono anche nel periodo in cui sono stoccate sugli scaffali dell’azienda che li ha in disponibilità, con un valore commerciale per l’impresa che li detiene ma tali merci possono essere cedute solamente a determinati soggetti. L’eventuale cessione di queste merci a soggetti differenti rispetto a quelli individuati dalla norma, per esempio ad un grossista che a sua volta intende cedere i ricambi al singolo autoriparatore, è una fattispecie che può modificare la natura del bene? Cioè, cedere ammortizzatori ad un autoriparatore essendo espressamente consentito fa si che si configuri una transazione commerciale mentre la cessione del medesimo bene in violazione del divieto di cessione cosa configura? Una transazione commerciale in violazione della previsione normativa è idonea a far riqualificare il bene oggetto di cessione quale rifiuto?
Allo stato l’orientamento è quello di considerare le attività di cessione di ricambi attinenti alla sicurezza a soggetti che non siano i c.d. autoriparatori, quale attività di “gestione di rifiuti” sebbene si tratti indiscutibilmente di merci accompagnate da regolare fattura, rientrate in un ciclo commerciale quali cespiti attivi o scorte di magazzino.
Ma la “limitazione” alla cessione di parti di ricambio trova già una sua ragione nel disposto normativo della citata legge 122/1992 sulla disciplina degli autoriparatori. L’art 6 precisa che il proprietario o possessore dei veicoli o dei complessi di veicoli a motore deve avvalersi, per la manutenzione e la riparazione dei medesimi, di imprese iscritte nel registro, salvo i casi indicati nel secondo periodo del comma 2 dell’articolo 1 della legge 122/1992 e fatta eccezione per gli interventi di ordinaria e minuta manutenzione e riparazione.
Il proprietario o il possessore di veicoli o complessi di veicoli che non si avvale, per la manutenzione e la riparazione, di imprese iscritte nel registro, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire centomila a lire cinquecentomila. Sono esclusi dalla sanzione eventuali interventi di ordinaria e minuta riparazione.
In forza di ciò appare corretta la previsione che riserva l’utilizzo dei ricambi ai soli soggetti abilitati in quanto autoriparatori ma, francamente, appare fuorviante ritenere che anche la cessione/vendita (e quindi non l’impiego) possa essere vietata a coloro che autoriparatori non sono.
La normativa permette un’ulteriore considerazione. In particolare appaiono normate e sanzionati gli interventi di riparazione effettuati da soggetti che non siano riparatori. Così anche il testo del decreto 209/03 differenzia la cessione di parti di ricambio e la loro utilizzazione. Infatti la cessione delle parti di ricambio attinenti alla sicurezza può avvenire solamente a favore di soggetti che, in forza di legge, possono poi legittimamente impiegarli per le riparazioni come disposto dalla legge 122/1992. Inoltre, per gli interventi di riparazione che vedano impiegati parti di cui all’allegato III del d.lvo 209/2003, i veicoli devono essere sottoposti a revisione ex art. 80 c.d.s..
Per es. se si effettua la sostituzione della pompa della benzina esterna-componente elencato nel citato allegato III quindi cedibile solamente all’autoriparatore- il veicolo dovrà essere sottoposto a revisione mentre per lo stesso intervento però per una pompa per gasolio- cedibile a chiunque essendo esclusa dall’allegato III ma utilizzabile solamente dall’autoriparatore visto il disposto normativo della 122/92- il veicolo non dovrà essere sottoposto a revisione.
Fatte queste considerazioni, la cessione di ricambi di cui all’allegato III a favore di soggetti che regolarmente operino quali autoriparatori o grossisti stranieri – secondo le disposizioni normative del paese di origine- ma che non figurino iscritti in quanto tali anche in Italia sembrerebbe non consentita. Alla luce della disposizioni sulla libera circolazione delle merci l’attuale limite che la norma lascia intravedere e che parte della giurisprudenza conferma appare quantomeno anacronistico.
Un ulteriore sfaccettatura della norma è rinvenibile nella parte in cui consente la commercializzazione di tutte la parti del veicolo quando queste siano destinate ai c.d. veicoli d’epoca o storici. La Corte di Cassazione, sez. III penale n. 194/13 depositata il 07.01.2013 ha ritenuto sussistere una deroga per quei veicoli che vengono definiti d’epoca o di interesse storico o collezionistico. Queste categorie non sono da considerare tra la categoria dei veicoli rifiuto quando siano conservati in modo adeguato, pronti all’uso ovvero in pezzi smontati. La Corte ha così rilevato la sussistenza di un interesse legato alla tutela e alla valorizzazione delle auto storiche per le quali l’assenza di ricambi nuovi o in produzione consente la piena utilizzazione di tutte le parti ancora esistenti. Così i veicoli ed i ricambi potranno essere ricondotti alla categoria di “rifiuto” nei casi in cui non appaiano conformi alle finalità di restauro e di reimpiego in considerazione delle caratteristiche intrinseche e delle modalità di conservazione.
Su quest’ultima conclusione della Corte non può che ravvisarsi una sorta di sintesi del c.d. elemento soggettivo di cui all’art. 6 dell’abrogato “Ronchi” oggi art. 183 D.lvo 152/06.
Avv. Rosa BertuzziConsulente Ambientale
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