TRA EMERGENZA, NECESSITÀ E SOGNI DI POTERE

La tabella di marcia per i trasporti in Europa viaggia alto. Ma rimane il problema dei carburanti e dei loro precursori: tradizionali e alternativi.

L’estrema mobilità di merci e di persone, per quanto sia indice di sviluppo economico, rappresenta, per contro, uno dei fattori di rischio per l’Europa e i Paesi che ne fanno parte.
Se, da un lato, si muovono economie (questo settore impiega direttamente dieci milioni di persone e rappresenta il 5% circa del prodotto interno lordo dell’UE; mentre, in media, una famiglia spende il 13% del proprio bilancio per i trasporti), dall’altro, si ha la necessità di continui consumi di vettori energetici, con ingenti approvvigionamenti di combustibile fossile primario (petrolio e gas naturale); non solo, il perdurare di trasporto su strada (per quanto gli effetti della crisi si sono fatti sentire), determina un continuo aumento di emissioni nocive dovute alla combustione di gasolio e benzina. Per contro, a fronte di un aumento dell’interesse pubblico e privato verso veicoli elettrici e carburanti meno convenzionali (biodiesel), si assiste al perdurare delle difficoltà di approvvigionamento e produzione, mancanza di reti e punti di distribuzione efficaci e costi per impianti ed autoveicoli ancora proibitivi.
In questo contesto, si inserisce il nuovo Piano europeo per i trasporti che intende migliorare la mobilità e l’integrazione delle reti di trasporto dell’UE, riducendo, al contempo, anche le emissioni di gas serra e la dipendenza dalle importazioni di petrolio.

Un nuovo piano europeo per i trasporti
Nelle previsioni degli amministratori europei, le misure contenute nel Piano – che comportano strategie di incoraggiamento per investimenti nel rinnovo delle infrastrutture e per rivedere le modalità del trasporto merci e passeggeri – avranno anche l’effetto di rilanciare la competitività economica e stimoleranno l’occupazione.
Il Piano, che dovrebbe essere realizzato entro il 2050, si concentra sul trasporto urbano e interurbano e sui viaggi sulle lunghe distanze.
Fra gli ambiziosi obiettivi:
l’eliminazione delle auto a benzina dai territori cittadini;
spostare su linee ferroviarie o vie navigabili il 50% del trasporto merci e passeggeri interurbano su distanze di oltre 300 km, attualmente effettuato su strada;
l’implementazione al 40% dei carburanti sostenibili utilizzati dalle compagnie aeree;
la riduzione delle emissioni di carbonio del 40% per quanto riguarda il trasporto marittimo.
Realizzando questi obiettivi, entro il 2050 l’UE prevede di ridurre del 60% le emissioni di gas serra prodotte da tutti i modi di trasporto.

Parola d’ordine: interconnessione!
Accanto alle strategie e alle soluzioni tecniche individuate dai tecnici UE, si prevede, un quadro di riferimento internazionale che punti alla realizzazione di un reale ed efficace collegamento fra trasporto stradale, ferroviario, aereo e fluviale/marittimo al fine del raggiungimento di una rete di trasporto europea più efficiente che faciliti la circolazione delle persone e delle merci, minimizzando l’impatto sul territorio e contribuendo ad un reale risparmio di energia ed emissioni climalteranti.
Il piano prevede che, entro il 2020, i sistemi europei di informazione, gestione e pagamento nel trasporto merci e passeggeri saranno interconnessi. Entro il 2050, tutti i principali aeroporti saranno collegati alla rete ferroviaria, preferibilmente con treni ad alta velocità. I porti marittimi più importanti saranno collegati alla rete ferroviaria del trasporto merci e, se possibile, alle vie navigabili interne.
Inoltre, l’UE estenderà e coordinerà l’applicazione dei principi “chi usa paga” e “chi inquina paga” per finanziare le infrastrutture di trasporto.
Queste, fra l’altro, le ulteriori misure previste:
incoraggiare tecnologie per i motori, carburanti e sistemi di gestione del traffico di nuova generazione;
coordinare entro il 2020 la gestione dei sistemi di controllo del traffico aereo tramite il programma Cielo unico europeo dell’UE, estendendolo ai 58 paesi dello Spazio Aereo Comune Europeo;
installare sistemi intelligenti di gestione dei trasporti;
dimezzare il numero di vittime della strada entro il 2020, portandolo quasi a zero entro il 2050.

Dal fossile all’alternativo: una strada in salita.
Abbiamo già visto come da una auspicabile e più larga diffusione di carburanti alternativi in luogo di quelli di derivazione fossile, scaturirebbero vantaggi di varia natura, infatti, se aumentasse il numero degli automobilisti che guidano veicoli elettrici o alimentati a idrogeno e metano invece che a benzina e diesel, l’UE dipenderebbe meno dalle importazioni di petrolio e ridurrebbe le emissioni di gas a effetto serra.
Si consideri che l’84% del petrolio europeo utilizzato in tutte le modalità di trasporto è importato e che nel solo 2011 queste importazioni costavano circa 1 miliardo di euro al giorno. In più, la maggior parte del petrolio importato proviene da regioni instabili, cosa che si traduce in maggior incertezza in termini di approvvigionamento.

Tuttavia, tale diffusione è ostacolata da tre fattori: il costo elevato dei veicoli, lo scarso livello di accettazione da parte dei consumatori e la mancanza di stazioni di ricarica e rifornimento.
Per eliminare questi ostacoli, la Commissione Europea intende fissare obiettivi vincolanti e standard comuni e ha predisposto una serie di proposte che riguardano:
• l’elettricità – un numero minimo di stazioni di ricarica in ogni paese e un connettore universale per ricaricare l’auto in tutta l’UE;
• l’idrogeno – standard comuni per i tubi di rifornimento e gli altri componenti nelle stazioni di servizio di 14 paesi UE;
• il gas naturale liquefatto – stazioni di servizio per i mezzi pesanti ogni 400 Km lungo la prevista rete centrale transeuropea di trasporto saranno necessarie anche stazioni di rifornimento per le navi in tutti i 139 porti marittimi e interni presenti lungo la rete
• il gas naturale compresso – entro il 2020 stazioni di rifornimento con standard comuni accessibili al pubblico in tutta Europa, almeno ogni 150 Km.

I paesi dell’UE potrebbero favorire questi cambiamenti adattando la legislazione e la fiscalità nazionale per incoraggiare gli investimenti dei privati (in questo senso i finanziamenti necessari dell’UE sono già disponibili, forse manca un poco di volontà da parte dei singoli, oppure si patisce ancora la pressione di lobby e potentati del petrolio).
Le proposte della Commissione, tuttavia, non riguardano altri carburanti alternativi che utilizzano infrastrutture esistenti (biocarburanti e carburanti sintetici) o che dispongono già degli impianti necessari (gas di petrolio liquefatto – GPL).

Petrolio e gas non convenzionali: nuove opportunità o vecchie dinamiche di sfruttamento insostenibile?
È cosa certa, sin dagli anni ‘70 che le riserve petrolifere mondiali non sono eterne, né tali sono i depositi di gas metano.
Ancora manca un’adeguata ed economicamente vantaggiosa tecnologia per estrarre metano dai depositi sottomarini di metano idrato e, in più, una notevole quantità di metano intrappolato nel permafrost delle zone paleartiche, viene giornalmente disperso e reso indisponibile a causa dell’aumento della temperatura media globale.
In questa corsa sclerotica contro il tempo, in cui strategie diverse si incrociano e giustappongono, spesso cozzando, tra di loro, da alcuni anni, alcuni ricercatori e gruppi multinazionali hanno messo gli occhi sui depositi di petrolio contenuto nelle sabbie bituminose e nelle argille petrolifere e sugli analoghi depositi di gas naturale contenuto negli strati di scisto della crosta terrestre.
Lo sfruttamento di tali ricchezze rappresenta una fonte di guadagno notevole se si pensa che in soli dieci anni di estrazione gli USA si sono emancipati dal punto di vista energetico (l’88% dei consumi è di origine nazionale e il 58% della produzione deriva dall’uso del gas di scisto) e che, in breve tempo, le possibilità di utilizzo di tali prodotti, potrebbero condizionare pure il settore dell’automobile.

Stima dei depositi mondiali di gas di scisto.
Dati del Joint Research Centre (JRC) in miliardi/m3

tabella stima depositi mondiali gas scisto

Tuttavia l’estrazione di tali combustibili, che avviene con la tecnica della fratturazione idraulica (sostanzialmente un processo secondo il quale acqua addizionata di sabbia e sostanze chimiche quali: acido idrocloridico, acido muriatico, glutaraldehyde, persolfato di ammonio, n,n-dimethyl formaldeide, distillato di petrolio, etilidrossietilcellulosa, acido citrico, cloruro di potassio, carbonato di sodio o di potassio, glicoletilene, isopropanolo; viene pompata ad alta pressione nelle rocce per liberare il gas che viene quindi captato), presenta non pochi problemi di origine ambientale: primo fra tutti l’enorme consumo di acqua e di energia, la dispersione in atmosfera di gas inutilizzati che vengono combusti appena fuori del pozzo di estrazione, la dispersione nel terreno di sostanze inquinanti, il fatto che la tecnica di estrazione preveda vaste aree di intervento e non singoli pozzi localizzati ed, infine, il non trascurabile effetto di destabilizzazione degli strati rocciosi con possibili conseguenze dal punto di vista sismico.
Recentemente, il dibattito ha acceso anche la vecchia Europa dove il fabbisogno energetico e la necessità di risparmiare, da un lato, e spingere la produzione, dall’altro, impongono una rivoluzione culturale nel settore dei combustibili e del loro utilizzo.
Ebbene, con un colpo di mano il Parlamento Europeo, ignorando una richiesta di moratoria di ben 75 eurodeputati, ha deciso che ogni Paese membro avrà il diritto di decidere se sfruttare o meno questa opportunità di estrazione che, di fatto, viene considerata ìsicura e pulitaî da Strasburgo.
La partita è di quelle serie se si considera che le stime delle scorte europee indicano ben 14.000 miliardi di m3 disponibili (con maggiori concentrazioni nei territori di Francia e Polonia) e, tuttavia, manca ancora un accordo comune fra i 29 Paesi.
Tanto per rendere l’idea della confusione che regna sovrana in Eurolandia, si considerino i moti contrari prodotti da più soggetti della stessa istituzione negli ultimi mesi:
• tre Studi approntati dalla Commissione che pur indicando positivamente come lo sfruttamento dei gas non convenzionali potrebbe rappresentare fino al 60% del consumo europeo, affermano che i rischi connessi ai processi di estrazione e i danni ambientali conseguenti, impongono un quadro di regolamenti severo;
• un Rapporto preliminare della Commissione Industria che, senza mezzi termini dice che l’Europa non dovrebbe interferire troppo nelle politiche energetiche dei singoli Stati e che lo sfruttamento del gas di scisto potrebbe contribuire fortemente alla riduzione delle emissioni climalteranti;
• una iniziativa della Commissione Ambiente che approva un progetto di risoluzione che tende ad un maggior rigore nelle misure in materia di protezione dell’ambiente e della salute dei cittadini e le responsabilità connesse dell’Industria per eventuali danni.

A questo punto, a pochi giorni dalla fine del 2012 la Commissione Europea ha indetto una Consultazione pubblica proprio sui combustibili fossili non convenzionali (come, ad esempio il gas di scisto), una mossa tatticamente ineccepibile che ìrimanda la pallaî nella mischia e invita tutti gli interessati (individui, organismi e autorità pubbliche) ad esprimere le proprie opinioni sulle opportunità e le sfide che possono scaturire dallo sviluppo di progetti in questo ambito e sulle migliori modalità per affrontare i problemi fin qui emersi.
La consultazione, che resterà aperta fino al 20 marzo 2013, è disponibile in tutte le 23 lingue dell’Unione europea sul sito della Commissione.
Con questa iniziativa, la Commissione europea mira ad assicurare che eventuali ulteriori sviluppi dei combustibili fossili non convenzionali siano accompagnati da opportune misure di salvaguardia della salute, del clima e dell’ambiente che garantiscano a cittadini e operatori la massima chiarezza sul piano giuridico e della prevedibilità, contribuendo in questo modo a fare sì che i benefici potenziali – in termini di sicurezza economica ed energetica – possano essere conseguiti senza ripercussioni per la salute e l’ambiente. Le domande in cui si articola la consultazione riguardano aspetti quali le opportunità e i problemi, le possibili misure per ridurre i rischi per la salute e l’ambiente, le misure per migliorare la trasparenza delle operazioni oltre a raccomandazioni generali relative agli interventi a livello UE.

E in Italia?
Pochi scisti e sabbie bituminose, ma alla pochezza di materie prime siamo abituati da sempre, quello che ci ha sempre caratterizzato è la creatività e la capacità di trovare soluzioni alternative.
Certo, la posta in gioco è molto alta e il territorio, da solo, non ce la farebbe a sostenere una filiera produttiva in grado di azzerare il fabbisogno energetico e di carburante per imprese del Paese, tuttavia, l’iniziativa del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio scorso, va nella direzione della sostenibilità e dei presupposti di cui al nuovo Piano Europeo dei trasporti.
Infatti, è stata autorizzata dal CdM la stipula di un Protocollo di intesa per promuovere alcuni importanti progetti nel campo della chimica industriale da fonti rinnovabili, che consentiranno di produrre biocarburanti di 2a e 3a generazione, senza utilizzare idrocarburi fossili come materia prima.
Un accordo siglato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero dell’Ambiente, il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, il Ministero dell’Istruzione, il Ministro della Coesione territoriale e il Gruppo Mossi & Ghisolfi SpA.
Si tratta, si legge nel Comunicato stampa diramato dalla Segreteria del MATTM, di progetti coerenti sia con le politiche dell’Unione Europea, che con la direttiva EU 28/2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili – adottata dall’Italia – che prevede un obbligo di immissione in consumo di miscele di carburanti contenenti il 10% di biocomponenti entro il 2020, sia con la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN), che ha impresso una forte spinta alla diffusione dei biocarburanti al fine di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione di lungo periodo.
Con la firma del Protocollo – si legge nel documento diffuso dal CdM – le parti auspicano di contribuire alla crescita di un’industria ecologica nazionale, conservando e incrementando il vantaggio competitivo della tecnologia e della ricerca italiane nel settore dei biocombustibili e dei prodotti biochimici: ci si propone, inoltre, di accrescere l’occupazione stabile e professionalmente qualificata e di contribuire al risanamento ambientale, alla valorizzazione sostenibile delle risorse agricole e alla riduzione delle emissioni nocive. L’attuazione del Protocollo, velocizzando i necessari procedimenti autorizzatori e favorendo la collaborazione tra amministrazioni e impresa, consentirà lo smobilizzo di ingenti investimenti privati, italiani e internazionali, volti alla realizzazione di siti produttivi ecocompatibili e di un’intensa attività di ricerca e di sviluppo tecnologico, in simbiosi con il sistema pubblico di alta formazione. L’iniziativa può costituire un utile precedente per altri analoghi progetti di promozione della Green economy nazionale”.

Verso una non-conclusione
Secondo teorie che spaziano dalla matematica alla filosofia, trovando applicazioni sistematiche nelle varie branche della ricerca scientifica, un problema è lineare se lo si può scomporre in una somma di sotto-problemi indipendenti tra loro. Quando, invece, i vari componenti/aspetti di un problema interagiscono gli uni con gli altri così da rendere impossibile la loro separazione per risolvere il problema passo-passo e “a blocchi”, allora si parla di non-linearità.
È assodato che tutti gli aspetti fondanti della nostra esistenza quotidiana hanno un riflesso diretto sull’ambiente circostante, né potrebbe essere altrimenti, visto che la nostra e tutta la vita che ci circonda procede in un “sistema chiuso” che chiamiamo Terra.
In questo senso, ogni scelta politica, sociale, industriale., di massa o individuale, determina un effetto sull’intero sistema, tanto più quando si tratta di trasformare risorse fisiche quali quelle minerali.
Se il nostro pianeta e la vita che qui si è sviluppata, procedono per continue trasformazioni chimico-fisiche, interne, c’è un fattore esterno, gratuito, in grado di far da motore quasi inesauribile (ovvero, anche quello avrà un termine, ma si parla di millenni) il sole!
Oh bella! Che scoperta, diranno alcuni.
Tuttavia, si ha l’impressione che questa scoperta non sia tenuta debitamente in considerazione da troppa gente se si continua a dibattere e cavillare nel proporre trucchetti e giravolte per continuare ad illudere tutti che in un modo o nell’altro il progresso tecnologica ci consentirà di “cavar sangue dalle rape”, quando, la tecnologia ce l’avremmo già e la fonte disponibile, sta in bella vista sopra le nostre teste.

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