PEZZI DI RICAMBIO USATI PROVENIENTI DA AUTOVETTURE DESTINATE ALLA ROTTAMAZIONE IN AFRICA
Cassazione penale, 18 dicembre 2012; n. 49107
È consentito il commercio di parti di ricambio recuperate in occasione dello svolgimento delle operazioni di trattamento del veicolo fuori uso, ad esclusione di quelle che hanno attinenza con la sicurezza dello stesso veicolo e che sono individuate all’allegato 3 del D.L.vo 209/2003. Tali parti possono infatti essere cedute solo agli iscritti alle imprese esercenti attività di autoriparazione, di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 122 e possono essere utilizzate solo se sottoposte alle operazioni di revisione singola previste dal D. L.vo 30 aprile 1992, n. 285, art. 80 (codice della strada). Inoltre, l’utilizzatore delle parti di ricambio di cui ai commi precedenti da parte degli autoriparatori deve risultare da fatture rilasciate al cliente.
La gestione dei veicoli fuori uso normata dalle disposizioni contenute nel D. Lgs. n.209/2003 e dal D. Lgs. 152/2006, in ossequio della direttiva comunitaria 2000/53/CE continua ad essere un argomento di variegata interpretazione giurisprudenziale.
Nell’attuale panorama interpretativo la gestione dei veicoli fuori uso “deve” essere effettuata secondo i criteri di gestione dei rifiuti.
In ambito di gestione e commercializzazione dei pezzi di ricambio usati occorre altresì tenere in considerazione gli orientamenti della Corte di Cassazione che ha trattato la questione.
In sintesi: i principi di orientamento per l’attività di autodemolizione sono rivolti a considerare la fonte di provenienza del pezzo di ricambio e non l’impiego che ne deve essere fatto.
Inoltre, il fine che si comprende è di evitare che la procedura di recupero finisca per avere effetti negativi sull’ambiente.
Il reimpiego, altro principio cardine dell’impianto normativo sulla tutela ambientale, in campo di recupero dei pezzi di ricambio, viene considerato quale ipotesi di “rango inferiore”. L’art. 15, comma 7 del D. Lgs. n. 209/2003 consente il commercio delle parti di ricambio recuperate in occasione dello svolgimento delle operazioni di trattamento del veicolo fuori uso, ad esclusione di quelle che hanno attinenza con la sicurezza dello stesso veicolo individuate nell’allegato III.
I gruppi di merci riguardano:
• impianto frenante;
• sterzo;
• sospensione anteriore/posteriore;
• trasmissione e varie altri parti dell’impianto di alimentazione e cinture, pretensionatori air bag.
Tali parti possono essere cedute solo agli iscritti alle imprese esercenti attività di autoriparazione di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 122 (autoriparatori) e possono essere utilizzate solo se sottoposte alle operazioni di revisione singola previste dal D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 80. Ulteriormente, dell’effettiva utilizzazione di tali parti di ricambio da parte degli autoriparatori, deve risultare da fatture rilasciate al cliente.
In altre parole dal testo normativo appare che non è consentito il commercio delle parti di ricambio di cui al citato allegato III. Salvo il disposto del successivo comma che consentendo la cessione ad alcuni soggetti qualifica i ricambi merci suscettibili di commercializzazione.
Allo stato l’orientamento è quello di considerare le attività di cessione di ricambi attinenti alla sicurezza a soggetti che non siano i c.d. autoriparatori, quale attività di “gestione di rifiuti” sebbene si tratti indiscutibilmente di merci accompagnate da regolare fattura, rientrate in un ciclo commerciale quali cespiti attivi o scorte di magazzino. Nello specifico oggetto di esame della Corte, si trattava anche di parti di ricambio attinenti alla sicurezza vendute a soggetti africani, ma solo commercianti, rivenditori, che acquistavano pezzi di ricambio usati per destinarli in Africa, depositandoli su di un terreno, in Italia, condotto in comodato da un terzo. Quindi la Corte ha confermato il provvedimento di sequestro, impugnato dai ricorrenti, in quanto legittimamente motivato, perché merce oggetto di non commerciabilità, sostenendo l’inapplicabilità degli artt. 7 e 8 del D. Lgs. 209/2003, che riguardano solo il reimpiego e recupero dei veicoli fuori uso e la loro gestione, e ritenendo l’applicabilità dei commi 7 e 8 dell’art. 15 /209.
La Suprema Corte ha stabilito che è corretto il richiamo al D. Lgs. 203 del 2009, art. 15, nei commi 7 e 8, il quale consente il commercio delle parti di ricambio recuperate in occasione dello svolgimento delle operazioni di trattamento del veicolo fuori uso, ad esclusione di quelle che hanno attinenza con la sicurezza dello stesso veicolo e che sono individuate nell’allegato 3°. Tali parti possono infatti essere cedute solo agli iscritti alle imprese esercenti attività di autoriparazione, di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 122 e possono essere utilizzate solo se sottoposte alle operazioni di revisione singola previste dal D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 80 . Inoltre, l’utilizzazione delle parti di ricambio di cui ai commi predetti da parte degli autoriparatori deve risultare da fatture rilasciate al cliente.
Per quanto è dato conoscere la decisione della Corte sugli aspetti sopra esposti che esulano dalla legittimità e dall’ammissibilità del proposto ricorso, appaiono imprecisi ed approssimativi. Le valutazioni richiamate in sentenza strettamente connesse alla commerciabilità dei ricambi e sulla commerciabilità di componenti attinenti alla sicurezza – non essendo stati affrontati in modo dettagliato – anche in quanto la Corte non è stata chiamata a pronunciarsi principalmente su tale aspetto, ad una superficiale lettura può trarre in errore. Pur in ossequio al tenore della pronuncia per quanto riguarda la commerciabilità dei ricambi con paesi esteri la questione appare tutt’altro che chiarita dalla decisione in questione. La cessione di parti di ricambio attinenti alla sicurezza vendute a soggetti che poi ne fanno un commercio legittimo e regolare nei loro paesi d’origine rimane una problematica aperta.
Avv. Rosa BertuzziConsulente Ambientale
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