ATTENZIONE ALLA CONDUZIONE DELL’IMPIANTO
Una sentenza del TAR Lombardia legittima la revoca dell’autorizzazione in caso di inosservanza delle prescrizioni.
Allorquando si configuri inosservanza delle prescrizioni contenute nell’Autorizzazione provinciale e si configuri, altresì, il caso di conduzione dell’impianto estremamente disordinata tale per cui venga messa in pericolo l’incolumità degli operatori che lavorano nell’area in questione, è legittima la revoca dell’autorizzazione per inosservanza delle prescrizioni.
Lo ha stabilito una Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia (Sez. IV n. 2826 del 21 novembre 2012) nel caso di una richiesta di annullamento quanto al ricorso n. 1601 del 2010:- della disposizione dirigenziale n. 177 del 29.06.2010, recante la revoca dell’autorizzazione all’esercizio di un centro di raccolta e demolizione di veicoli a motore, rimorchi e simili.
Onde consentire ai Lettori una più approfondita analisi della questione, pubblichiamo, alle pagg. seguenti, il testo completo della Sentenza così come desunta dai contenuti del sito:
www.lexambiente.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta) ha pronunciato la presente Sentenza sul ricorso numero di registro generale 1601 del 2010, proposto da (omissis), rappresentati e difesi dagli Avv.ti (omissis)
contro
• Provincia di Milano, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti (omissis);
• Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti (omissis);
• Agenzia Regionale Protezione Ambiente Lombardia (Arpa) – Dipartimento Provinciale di Milano, Regione Lombardia, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, non costituiti in giudizio sul ricorso numero di registro generale 418 del 2009, proposto da (omissis): rappresentate e difese come sopra
contro
• Provincia di Milano, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa come sopra nei confronti di Ministero dell’Ambiente, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato (omissis);
• Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso come sopra;
• Parco Agricolo Sud Milano,
• Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, Regione Lombardia,
non costituti in giudizio.
per l’annullamento quanto al ricorso n. 1601 del 2010:- della disposizione dirigenziale n. 177 del 29.06.2010, recante la revoca dell’autorizzazione all’esercizio di un centro di raccolta e demolizione di veicoli a motore, rimorchi e simili di cui alla disposizione dirigenziale n. 73/2004, a carico della società (omissis); nonché per la condanna della Provincia di Milano al risarcimento dei danni;. quanto al ricorso n. 418 del 2009: della disposizione dirigenziale n. 404 del 6.11.2008, nonché, di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Milano, del Comune di Milano, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2012 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente è titolare di un centro di raccolta e trattamento di carcasse di veicoli a motore, rimorchi e simili, per la gestione del quale ha ottenuto un’autorizzazione per la messa in riserva e recupero di rifiuti speciali non pericolosi (disposizioni dirigenziali nn. 73/2004 e 158/2006).
A seguito dell’apertura di un procedimento per il rilascio di una “variante migliorativa non sostanziale dell’impianto”, l’A.R.P.A. ha effettuato numerosi accertamenti, i quali hanno dato luogo alla diffida n. 137 del 19.4.2007, in cui si invitava l’attuale ricorrente ad utilizzare le aree dell’impianto come previste nella planimetria allegata all’autorizzazione, a dotare tutte le zone dove vengono posizionati rifiuti liquidi di bacini di contenimento per eventuali sversamenti, a fornire tutti i contenitori di etichette che individuino chiaramente il contenuto del rifiuto, ad evitare la sovrapposizione dei veicoli, a non utilizzare una tettoia non ancora autorizzata, ed a mantenere il rapporto di una carcassa da bonificare ogni 8 mq. Si precisava inoltre che “la mancata ottemperanza ad ognuna delle prescrizioni del presente provvedimento porterà alla immediata sospensione dell’autorizzazione ed alla eventuale revoca della stessa”.
A seguito di ulteriori sopralluoghi, in data 7.10.2007 e 30.10.2007, con successiva diffida n. 2 del 3.1.2008 si è imposto alla ricorrente il rispetto di taluni adempimenti già prescritti nella precedente diffida n. 137/2007, ma rimasti inosservati (utilizzo della tettoia abusiva, accatastamento dei veicoli, utilizzo delle aree in difformità dall’autorizzazione), ed altri accorgimenti, conseguenti all’accertamento di nuove irregolarità (cumuli del materiale denominato “fluff”, depurazione fuori dal sito delle acque esauste, triturazione delle sole carcasse bonificate, stoccaggio rifiuti solo su aree impermeabilizzate). Anche in tale occasione la diffida precisava che la mancata ottemperanza alla stessa avrebbe comportato la revoca dell’autorizzazione.
A seguito di sopralluogo in data 6.8.2008, si accertava la reiterazione di talune precedenti violazioni già contestate, ed in particolare dell’accatastamento dei veicoli, talvolta superiori a tre strati, della permanenza di cumuli di “fluff”, e il mancato utilizzo delle aree dell’impianto come prescritto nella planimetria autorizzata. Conseguentemente, con ulteriore provvedimento n. 404 del 6.11.2008, si disponeva la sospensione dell’autorizzazione alla gestione dell’impianto, aggiungendo che l’ulteriore inosservanza alle prescrizioni impartite avrebbe dato luogo alla revoca.
La detta diffida n. 404/2008 è stata impugnata nel procedimento R.G. n. 418/2009, nell’ambito del quale, con ordinanza n. 270 del 24.2.2009, è stata accolta la domanda cautelare, disponendosi contestualmente adempimenti istruttori, e rinviando il proseguo del giudizio ad una successiva camera di consiglio.
A seguito di sopralluogo effettuato in data 23.9.2009, con nota prot. n. 83525 del 7.4.2009, la Provincia attestava “la sostanziale ottemperanza ai punti della diffida provinciale” consentendo pertanto la prosecuzione dell’attività della ricorrente. In tale provvedimento si riscontrava tuttavia il persistente mancato utilizzo delle aree, come previsto nell’autorizzazione”, nonché “la presenza di un grosso quantitativo di fluff”, reiterando pertanto l’invito ad adeguarsi alle prescrizioni già impartite, attinenti tali aspetti.
Alla successiva camera di consiglio del 21.4.2009, il Tribunale respingeva la domanda cautelare (ord. n. 480/2009), poiché il detto provvedimento n. 83525/2009 non era a sua volta stato gravato con motivi aggiunti.
A seguito di ulteriori sopralluoghi (8.9.2009, 12.2.2010), alla ricorrente veniva notificata un ulteriore diffida (n. 57 del 3.3.2010), in particolare, onde smaltire il “fluff”, a rispettare le prescrizioni già impartite in materia di accatastamento dei veicoli, a rispettare l’obbligo di etichettatura dei contenitori di sostanze pericolose, ed a destinare le aree dell’impianto come previsto nell’autorizzazione, ribadendo, ancora una volta, che l’inosservanza di tali prescrizioni avrebbe condotto alla revoca dell’autorizzazione stessa.
Nel successivo sopralluogo del 24.3.2010 si accertava l’ulteriore inottemperanza alla precitata diffida n. 57/2010; con la nota prot. n. 1307 del 3.5.2010, si inviava un preavviso di revoca dell’autorizzazione, con invito a produrre eventuali osservazioni, che venivano presentate con nota in data 12.5.2010, svolgendo argomenti sostanzialmente coincidenti con quelli di cui al terzo (v. punti A e B) ed al secondo motivo del presente ricorso (v. punto C). Con ulteriore nota in data 13.5.2010 l’attuale ricorrente “per evitare l’emissione del provvedimento di revoca dell’autorizzazione”, dichiarava espressamente di voler ottemperare a tutte le prescrizioni contenute nel preavviso di revoca prot. n. 1307/2010, nonché a quelle di cui alla diffida n. 57/2010.
Con disposizione dirigenziale n. 177 del 26.6.2010, impugnata con il ricorso R.G. n. 1601/2010, si revocava l’autorizzazione alla gestione dell’impianto. Tale atto era motivato con riferimento alla difformità tra lo stato dei luoghi e la planimetria autorizzata, alla mancata etichettatura sui recipienti contenti rifiuti pericolosi, ed al mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida dirigenziale n. 57/2010 e con le precedenti (n. 137 del 19.4.2007, n. 2 del 3.1.2008 e n. 404 del 6.11.2008).
Con ordinanza n. 4101/2010, in riforma dell’ordinanza del Tribunale, il Consiglio di Stato riteneva che la revoca impugnata si limitava a rappresentare talune difformità, di carattere meramente formale, tra lo stato dei luoghi e la planimetria autorizzata, come tali inidonee a porre in pericolo l’incolumità pubblica, sotto il profilo di possibili danni all’ambiente, accogliendo pertanto la domanda cautelare
All’udienza pubblica del 23.10.2012 le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, il Collegio ritiene di riunire il ricorso R.G. n. 1601/2010 al ricorso R.G. n. 418/2009, per evidenti ragioni di connessione, oggettiva e soggettiva.
I) Quanto al ricorso R.G. n. 418/2009, il medesimo deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, come da richiesta della stessa ricorrente (memoria del 21.9.2012).
II) Quanto al ricorso R.G. n. 1601/2010, osserva preliminarmente il Collegio che il provvedimento impugnato è stato preceduto da un lungo iter procedimentale, sviluppatosi nell’arco di oltre tre anni, nell’ambito del quale la ricorrente ha pervicacemente omesso di ottemperare alle numerose diffide rivoltegli dalla Provincia, ad utilizzare le aree come previsto nella planimetria allegata all’autorizzazione, ed a fornire tutti i contenitori di etichette che individuino chiaramente i rifiuti ivi contenuti.
La ricorrente, nel corso degli anni, ha peraltro commesso ulteriori violazioni delle prescrizioni a cui era tenuta in forza dell’autorizzazione, ed alle quali si è tuttavia adeguata col tempo, come dato atto nella citata nota prot. n. 83525 del 7.4.2009. Tuttavia, anche in tale occasione, così come del resto anche in seguito, la Provincia ha riscontrato il persistente mancato utilizzo delle aree, come previsto nell’autorizzazione, nonché la presenza di irregolarità per quanto concerne il trattamento dei rifiuti, reiterando così l’invito ad adeguarsi alle prescrizioni già impartite.
Non può pertanto essere condivisa l’affermazione della ricorrente secondo cui le diffide precedenti alla nota provinciale del 7.4.2009 avrebbero perso di efficacia (v. pag. 6 della memoria del 18.11.2011), in conseguenza del carattere sostitutivo di tale atto, rispetto ai precedenti provvedimenti.
Al contrario, la diffida n. 137 del 19.4.2007, la diffida n. 2 del 3.1.2008, la diffida n. 404 del 6.11.2008, la stessa nota prot. n. 83525 del 7.4.2009, e la successiva diffida n. 57 del 3.3.2010, hanno tutte intimato alla ricorrente di adibire gli spazi del centro in conformità alle planimetrie autorizzate, nonché a trattare i rifiuti e le carcasse come previsto dalla normativa vigente e dall’autorizzazione, avvertendo che, in caso di mancato adeguamento, si sarebbe proceduto alla revoca dell’autorizzazione.
La ricorrente non ha mai contestato i predetti accertamenti, anzi, nelle proprie osservazioni ex art. 10 bis L. n. 241/90 ha dichiarato espressamente di voler ottemperare a tutte le prescrizioni impartite, con ciò confermando l’esistenza del quadro fattuale prospettato dall’Amministrazione, e ciò onde evitare l’emissione del provvedimento di revoca dell’autorizzazione, dando così prova di essere cosciente delle conseguenze derivanti dalla propria inottemperanza (v. nota del 13.5.2010).
III) La mancata impugnazione delle viste diffide, sia nei termini di decadenza che nell’ambito del presente giudizio, incidentalmente, induce Collegio a dubitare fortemente in ordine all’ammissibilità del ricorso, attesa la diretta e concreta lesività di provvedimenti che rechino la comminazione, per il caso di inosservanza del precetto ivi contenuto, di misure autoritative, da adottarsi in danno del destinatario (C.S. Sez. V 9.9.2005 n. 4648, v. anche C.S. Sez. III 17.4.2012 n. 2200, secondo cui il provvedimento di decadenza, adottato nei confronti del pubblico dipendente inadempiente alla diffida, è atto consequenziale ed a contenuto meramente accertativo rispetto a quest’ultima, la cui mancata impugnazione nei termini di legge rende inammissibile il ricorso proposto avverso di esso). Le resistenti non hanno tuttavia sollevato alcuna eccezione di inammissibilità, che il Collegio può esimersi del sollevare d’ufficio, poiché, la mancata contestazione delle predette diffide, al di là dei suoi riflessi in rito, rende il ricorso comunque infondato nel merito, per le ragioni specificate nel proseguo.
IV) Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90, non essendovi traccia nel provvedimento impugnato, né delle osservazioni presentate dalla ricorrente, né delle ragioni per le quali le stesse sarebbero state respinte.
Il motivo è infondato, poiché la norma che si assume violata va interpretata alla luce del successivo art. 21 octies comma 2 della L.n. 241/90, il quale, nell’imporre al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento, e di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, rende irrilevante la violazione delle disposizioni sul procedimento o sulla forma dell’atto allorché il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (C.S. Sez. V 3.5.2012 n. 2548).
Come sopra esposto, il provvedimento impugnato è fondato sulla reiterazione di inadempimenti, la cui sussistenza, non è stata contestata dalla ricorrente, che ne ha addirittura riconosciuto l’esistenza nella detta memoria del 13.5.2010, impegnandosi a rimuoverli, ciò che avrebbe pertanto reso superflua una ulteriore comunicazione dell’esistenza di tali mancanze.
V) Con il secondo motivo si deduce l’illegittimità dell’art. 208 c. 13 lett. c) del D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, poiché, mentre la determina n. 57/2010 imponeva il ripristino delle condizioni autorizzate nei soli settori A, C, F, G, ed I dell’impianto, il provvedimento impugnato avrebbe aggiunto anche prescrizioni riguardanti i settori B e D, da cui la mancata conformità tra diffida e revoca.
Il motivo è infondato, dato che la sostanziale difformità dello stato dei luoghi rispetto a quanto autorizzato è stata contestata fin dall’aprile 2007, e successivamente reiterata dalle diffide che si sono succedute nell’arco di oltre tre anni, mai contestate, con riferimento all’esistenza delle dette difformità, né impugnate dalla stessa ricorrente, la quale in occasione di ogni diffida è stata avvisata di come la mancata ottemperanza avrebbe dato luogo alla revoca dell’autorizzazione. Anche se il motivo fosse fondato, per avere l’Amministrazione contestato per la prima volta la difformità della destinazione di alcune aree rispetto a quanto prescritto nell’autorizzazione, il provvedimento impugnato sarebbe ugualmente legittimo, laddove richiama espressamente numerose diffide precedenti, in cui si invitava la ricorrente ad adeguare l’impiego di numerose altre aree dell’impianto dalla stessa gestito.
VI) Con il terzo motivo si lamenta la violazione della norma precitata, potendo disporsi la revoca di un’autorizzazione come quella per cui è causa solo qualora il mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida si accompagni a “reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente”, che non sarebbero in alcun modo state individuate, né nel provvedimento impugnato, né negli atti pregressi. Tutte le contestazioni addebitate alla ricorrente atterrebbero in definitiva “ad una gestione semplicemente disordinata del centro di raccolta”, e come tali inidonee a sorreggere il provvedimento impugnato.
Anche tale motivo è infondato, essendosi invece emersa nel corso del procedimento la detta pericolosità.
La nota A.R.P.A. del 10.12.2009, allegata alla diffida n. 57/2010, afferma infatti che “la conduzione dell’impianto risulta estremamente disordinata ed in certe aree l’accatastamento caotico delle varie componenti derivanti dalle operazioni di bonifica e del materiale triturato in uscita rendono pericoloso per gli operatori lo stazionamento e l’operatività in prossimità delle aree”.
Parimenti, la relazione dei tecnici provinciali del 26.2.2010, redatta a seguito del sopralluogo del 12.2.2010 ha rilevato “una conduzione dell’impianto estremamente disordinata a rischiosa per gli operatori”. Analogamente, in una sentenza penale di condanna pronunciata a carico dell’attuale ricorrente da parte del Tribunale Ordinario di Milano, per la commissione di vari reati legati allo svolgimento delle proprie attività, tra cui, per inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione della Provincia di Milano n. 158/2006 e della disposizione dirigenziale n. 404/2008, proprio perché la stessa non utilizzava le aree della sua impresa secondo le prescrizioni di tale autorizzazione, si afferma che la stessa accatastava i propri materiali “in modo pericoloso per gli operatori che lavoravano e permanevano all’interno dell’area”.
Il ricorso va pertanto respinto.
La ricorrente chiede altresì la cancellazione ex art. 89 c.p.c. di talune espressioni utilizzate dalla difesa della Provincia, in ordine al “sorgere di ragionevoli dubbi sulla capacità della ditta ad assicurare il rispetto delle modalità operative previste nell’autorizzazione stessa”, che deve tuttavia essere respinta, anche alla luce delle considerazioni svolte nella citata sentenza penale di condanna pronunciata a suo carico.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in considerazione del complessivo andamento della controversia
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, previa riunione del ricorso R.G. n. 1601/2010 al ricorso R.G. n. 418/2009, dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso R.G. n. 418/2009, e respinge il ricorso R.G. n. 1601/2010.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2012.