LE CITTÀ IN PERENNE STATO DI ALLERTA A CAUSA DELLE POLVERI SOTTILI
Anche nel 2007 è scattato l’allarme polveri sottili nella maggior arte delle città italiane dove sono stati superati i limiti imposti dalla Legge
Nella classifica di Legambiente su 63 capoluoghi monitorati 50 hanno superato il valore limite medio giornaliero di 50 μg/m3; previsto per il PM10, per più di 35 giorni nell’arco di un anno: Torino è in testa con addirittura 190 superamenti, ma sono le regioni della pianura Padana quelle in cui si registrano i valori più elevati. Da questi dati emerge palesemente che le misure finora adottate dagli amministratori locali (blocchi del traffico; targhe alterne; Domeniche a piedi) non sono stati sufficienti a risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico nelle città. A livello nazionale, il trasporto su gomma è responsabile del 30,5% delle emissioni nazionali di anidride carbonica, che in questo settore tra il 1995 ed il 2005 sono aumentate del 12%. Secondo il Protocollo di Kyoto, l’Italia entro il 2012 dovrebbe ridurre del 6,5% le emissioni di gas serra rispetto a quelle relative al 1990. In realtà nel settore dei trasporti sono aumentate di oltre il 25%, quindi per pareggiare i conti si dovrebbero ridurre di un terzo le emissioni dei trasporti entro il 2010 e di un ulteriore terzo nei 10 anni successivi. A questo proposito la Commissione europea ha adottato una proposta legislativa sui nuovi standard di emissione di CO2 per le auto fissando un limite di 130 gr per km al 2012, con un’ulteriore riduzione di 10g/km da raggiungere attraverso una migliore efficienza dei carburanti, del sistema di condizionamento e dei pneumatici. Le polveri sottili hanno effetti nocivi sulla salute, come conferma l’inserimento nel nuovo Codice di Deontologia (2007) dell’Ordine dei Medici, di un articolo dedicato a “Educazione alla salute e rapporti con l’ambiente”. Questo significa che nel diagnosticare le malattie i medici dovranno tener conto di dove vivono i pazienti e a che livello di inquinamento sono quotidianamente esposti. Secondo lo studio dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), presentato nel Giugno del 2006, nelle 13 città italiane con una popolazione superiore ai 200.000 abitanti, si sarebbero potute risparmiare circa 2.300 morti premature, solo rispettando i limiti previsti dalla legge sul PM10. Oltre all’alto tasso di mortalità, alle malattie e alla riduzione dell’aspettativa di vita, c’è anche da tener presente la perdita della produttività economica, intesa sia come diminuzione dei giorni lavorativi, sia come spesa pubblica relativa ai molti ricoveri dovuti all’inquinamento. La colpa dei danni sanitari provocati dalle polveri è da attribuire alla componente più sottile, cioè di PM2,5 che: arriva nella profondità dei polmoni e quindi a contatto col sangue; concentra quasi tutta la superficie di scambio del particolato; è la sola componente ad essere correlabile con la mortalità a lungo termine.
a maggior parte della massa delle polveri è costituita dalle polveri maggiori di 2.5 micron, quindi, è possibile che l’abbattimento del PM10 potrebbe dare benefici ben inferiori al previsto, se si concentrasse sulle frazioni più grosse senza intaccare quelle più piccole, ma più attive biologicamente. Anche in Europa la situazione non è rosea, infatti, il Rapporto Ecosistema Europa 2007 di Legambiente e Ambiente Italia mostra che su 30 città europee nel 45% delle città le concentrazioni medie annue di polveri sottili superano la soglia stabilita dalla legge ed anche per gli ossidi di azoto la situazione non cambia di molto. Il 10 Dicembre 2007 l’Europarlamento ha varato la nuova Direttiva sulla qualità dell’aria la quale ha introdotto delle novità: è stato definito il limite di 25 μg/m3 per le polveri fini (PM2,5) da raggiungere entro il 2015; inoltre, le deroghe sul raggiungimento dei limiti sono state ridotte a tre anni, mentre prima erano molto più estese. Fino ad oggi, almeno in Italia, interventi efficaci per migliorare radicalmente la qualità dell’aria ancora non sono stati messi in atto. Sarebbe necessario ridurre il numero di auto in circolazione, garantendo al tempo stesso ai cittadini una maggiore libertà di movimento all’interno dei centri urbani. In Italia il tasso di motorizzazione sale, tanto che la media si attesta a 62 auto ogni 100 abitanti. Considerando l’intero parco dei veicoli, nel 2006 addirittura c’è stato il sorpasso: ci sono più mezzi a motore che conducenti. Oggi esistono molti strumenti che i Sindaci potrebbero utilizzare per sviluppare un trasporto pubblico efficiente, differenziato e competitivo, rispetto al mezzo privato. Accanto ai tradizionali autobus, filobus e tram si possono mettere in campo: car sharing; taxi collettivi; intermodalità tra bicicletta e metrò. Occorrerebbe, inoltre, incentivare il trasporto su rotaie. Uno studio dell’ACI ha, però, evidenziato come “le spese per trasporti realizzate in Italia nel corso degli ultimi 25 anni sono state prevalentemente destinate a supportare investimenti tipici delle lunghe distanze, piuttosto che intervenire a favore della mobilità urbana”. L’inquinamento da monossido di carbonio e da benzene è un fenomeno tipicamente circostanziato, per cui i provvedimenti su scala locale come blocchi del traffico o targhe alterne sono efficaci, mentre l’inquinamento da PM10, ozono e biossido di azoto è, al contrario, un fenomeno di vasta area, in alcuni casi addirittura transfrontaliero, per cui le azioni a carattere locale non sono sufficienti. Inoltre, essendo la presenza di questi inquinanti in atmosfera mediata da reazioni chimiche e fisiche, la loro dinamica è più lenta e, quindi, provvedimenti limitati nel tempo, oltre che nello spazio, hanno scarsa efficacia.
La normativa attuale (Decreto Legislativo 351/99) attribuisce alle Regioni la valutazione e la gestione della qualità dell’aria, che, in alcuni casi, sono state delegate alle Province. Però, come già detto, per alcuni inquinanti gli ambiti territoriali entro cui avvengono le dinamiche che generano le criticità sono in genere sovraregionali, da qui la necessità di valorizzare la connessione tra livello centrale e livello regionale/provinciale e il recepimento della nuova Direttiva sulla qualità dell’aria rappresenta, in questo senso, una buona opportunità per strutturare in maniera più efficace questa connessione. Oggi i livelli di PM10 dei principali capoluoghi italiani sono consultabili, fatte alcune eccezioni, su siti Internet di Comuni, Province, Regioni e ARPA.
Basandosi su questi dati, Legambiente ha stilato una classifica delle città più inquinate che vede al primo posto Torino e all’ultimo Viterbo.
I trasporti rappresentano il settore che maggiormente concorre, ancor più di quello industriale, al peggioramento della qualità dell’aria nelle città, infatti da essi proviene la gran parte delle emissioni di ossidi da azoto, monossido di carbonio, composti organici volatili non metanici, polveri sottili.
Il “contributo” maggiore è dato dal trasporto stradale, ma non vanno trascurati altri mezzi di trasporto legati alle attività marittime, ferroviarie, aeroportuali, militari e agricole.
Il trasporto su gomma rappresenta il 55% delle emissioni totali di monossido di carbonio, il 45% circa di quelle di ossidi di azoto e poco meno del 30% delle emissioni delle polveri sottili (PM10) e dei composti organici volatili non metanici.
Tra i veicoli, la fonte di emissione più pesante è quella delle automobili che rappresentano il 45,4% degli ossidi di azoto da trasporto stradale ed il 67,7% di monossido di carbonio.
Anche pneumatici, freni e manto stradale contribuiscono nella misura del 24% alle emissioni di PM10, così come l’evaporazione di carburante dai veicoli rappresenta il 21% delle emissioni dei composti organici volatili non metanici da trasporto stradale.
Tra il 1995 ed il 2005, le polveri sottili sono diminuite grazie alle nuove tecnologie adottate dalle case automobilistiche, ma sono nettamente aumentate (circa il 10%) quelle derivanti dall’usura di freni, pneumatici e manto stradale.
Per diminuire le emissioni di anidride carbonica le case automobilistiche devono puntare sulla riduzione del peso delle auto. A parità di percorrenze, di cilindrata e di alimentazione un veicolo di nuova generazione ha un impatto ambientale molto minore rispetto al passato, ma questo aspetto positivo rischia di essere meno promettente dell’atteso se continuerà ad aumentare il numero delle auto in circolazione e, soprattutto, quelle di grossa cilindrata, più pesanti e con maggiori consumi.