UN TRAFFICO CHE DANNEGGIA L’AMBIENTE … E NON SOLO!

Secondo le stime 2010 del Consorzio Ecopneus, sono 100.000 le tonnellate di pneumatici fuori uso (PFU) che ogni anno vengono trattati in maniera illegale nel nostro Paese.
Una quantità ingente che viene sottratta alla filiera del recupero e del riciclo per perdersi nella pratica di abbandono abusivo nel territorio o in altre dinamiche di smaltimento illecito (abbancamento in discariche abusive, distruzione tramite incendio, affondamento i mare, ecc.) e che, se fosse adeguatamente recuperata potrebbe dar luogo a nuovi prodotti o beni senza attingere dalla materia prima.
Trattando ancora di numeri va evidenziato che dall’anno 2005 ad oggi le discariche abusive individuate ed interessate dal fenomeno di cui sopra sono ben 1.049; si va dalle discariche di ridotte dimensioni dove gli operatori con i quali si fanno affari sono piccole imprese: gommisti, meccanici ed intermediari, che con la certezza di risparmiare qualche euro, percorrono la strada dell’illecito; fino alle discariche di grandi dimensioni che presuppongono la presenza di organizzazioni criminali dedite a tali traffici.
Si ipotizza che allo stato attuale il piccolo imprenditore che vuole disfarsi dei PFU senza ovviamente tenere conto delle normative, paghi in media dai 50 ai 100 euro a carico, mentre per compiere questa operazione in maniera legale, dovrebbe avvalersi di una ditta specializzata, registrare l’avvenuta consegna e pagare circa 1 euro a pneumatico.
Tale dinamica non è certo circoscritta ad un determinato territorio, anzi, le indagini intraprese negli ultimi anni dagli uffici competenti dimostrano che sono diverse le Regioni italiane coinvolte in questo malaffare, così come diversi sono i porti, terminali e/o punti di partenza verso méte internazionali (Cina, Hong Kong, Malesia ed inoltre India, Russia, Egitto, Nigeria e Senegal).
Quali sono gli svantaggi che derivano da questa situazione e quali effetti hanno sulla nostra già provata economia interna?
Le conseguenze economiche che derivano dal “copertone selvaggio” interessano diversi ambiti: si va dal mancato pagamento dell’IVA per le attività di smaltimento, alla vendita illegale (con conseguenze dirette di concorrenza sleale per le imprese sane che operano nello stesso mercato), alle perdite di utili causate alle imprese di trattamento made in Italy, agli oneri per la bonifica dei siti illegali di smaltimento…
Stiamo parlando di un giro di affari che sfiora i 143,2 milioni di euro all’anno, dei quali 140 riguardano il mancato pagamento del IVA sulle vendite e circa 3,2 milioni di euro per il mancato pagamento dell’IVA sugli smaltimenti.
Gli utili persi dall’imprenditoria del trattamento – che sono costretti a lavorare a ciclo ridotto, poiché i PFU fuoriescono in maniera illegale – si computano nella misura di 150 milioni di euro l’anno.
Infine i costi di bonifica delle discariche abusive di PFU sequestrati nel quinquennio 2005- 2010 (che di solito vanno a carico dei contribuenti) ammontano a 400 milioni di euro.
Il danno economico complessivo che “bussa alla porta” dell’imprenditore e della finanza pubblica si aggira intorno ai 2 miliardi di euro, una cifra astronomica.
Inoltre, il traffico illegale di PFU, come già avvenuto per altri materiali da riciclo, è divenuto, col tempo, sempre più appannaggio di organizzazioni criminali, come dimostrano le numerose notizie apparse sui giornali italiani che si sono espressi in merito a questo argomento.
È un fatto che l’attività di gestione illecita dei rifiuti ha raggiunto utili invidiabili a scapito – come sopra spiegato – dell’economia onesta ed ovviamente dell’ecosistema.
In questo senso, l’ultima segnalazione della stampa, in termini di tempo, è arrivata verso la fine del 2011, quando, nel porto di Taranto un’operazione messa in atto dalla Guardia di Finanza con la collaborazione dell’Ufficio Antifrode dell’Agenzia delle dogane ha scoperto un enorme carico di rifiuti (PFU, giocattoli e altri rifiuti di beni in plastica) destinati al mercato illegale delle discariche abusive.
L’operazione denominata “Golden Plastic” ha portato alla luce uno dei maggiori traffici verificatosi nel nostro Paese negli ultimi anni, con il coinvolgimento di numerose aziende distribuite in ben 13 Regioni italiane e tre Paesi asiatici.
Gli italiani coinvolti avevano escogitato un sistema articolato di manomissione e falsificazione della documentazione che classifica la merce. Compravano il materiale destinato alla discarica a prezzi ridotti, per poi rivenderlo ai “mercanti d’Asia” ad un prezzo addirittura 350 volte superiore.
La prima avvisaglia giunse quando nel porto di Taranto, nel 2009 fu individuato e sequestrato il primo container di rifiuti plastici diretto in Cina.
Nell’inchiesta “Golden Plastic” sono 114 i container sequestrati in diverse parti d’Italia, per un totale di oltre 2 milioni e mezzo di chilogrammi di rifiuti speciali composti da plastica, gomma e pneumatici usati, ma il volume del traffico ricostruito dagli inquirenti supera i 1.000 container in quasi tre anni.
In questa operazione risultano, al momento, 54 cittadini italiani arrestati e 4 cittadini cinesi, questi ultimi, accusati di essere referenti per l’Italia per quanto concerne le attività di intermediazione e raccolta.
I container venivano spediti da diversi porti italiani tra i quali: Taranto, Gioia Tauro, Palermo; Catania, La Spezia, Napoli, Genova e Livorno.
Questa operazione evidenzia che, tranne per alcuni porti della Regione Liguria e della Toscana, il traffico illecito di rifiuti e qui nello specifico di PFU interressa in via primaria il sud del nostro Paese.
Ma vediamo quali sono, in dettaglio, le Regioni d’ Italia che presentano una maggiore densità di siti illegali per lo smaltimento di PFU.
La Puglia, la Campania, la Calabria e la Sicilia sono quelle che hanno più discariche illegali con una concentrazione che supera il 63%, per una superficie complessiva pari al 70,4% di quella sequestrata in tutto il nostro territorio dalle Forze dell’Ordine.
La Puglia è in testa per il numero di discariche poste sotto sequestro, con ben 230 siti ed è quasi il 22% del totale nazionale.
Al secondo posto si classifica la Calabria con 159 discariche illegali, la segue in questa strada al Sicilia con 141 siti illegali, ed infine la Campania con 131.
Per il Centro d’Italia vi è il Lazio con 77 discariche illegali e fra le Regioni del Nord troviamo il Piemonte con 37 siti posti sotto sequestro.
Fino a poco fa, l’assenza di un sistema integrato di gestione a livello nazionale ha provocato una situazione che pone sotto gli occhi di tutti alcune criticità: dal mancato controllo sui flussi globali attraverso i vari passaggi della filiera, all’insufficiente utilizzo del PFU e dei suoi derivati, fino alla completa assenza di un’ottimizzazione tra le componenti del sistema: la raccolta, il recupero e il rimpiego degli stessi.
Reimpiegare lo pneumatico porta un vantaggio economico perché ad esempio la gomma proveniente dal riciclo del pneumatico a fine vita, è un materiale che prevede diverse applicazioni.
Una di queste è l’uso del polverino di gomma per la realizzazione di asfalto drenante e fonoassorbente. Inoltre, se realizzato in questa maniera, il fondo stradale ha una maggiore durata, e presenta una riduzione dei costi di manutenzione (oltre che di attrito e quindi di emissioni per gli autoveicoli che vi corrono sopra).
Dunque, abbandonare PFU nel territorio, è causa di una serie di danni che oltre all’ambiente provocano una serie di pesanti effetti negativi su vari settori dell’economia e dello sviluppo.
È per questa ragione che si auspica un’azione univoca delle Forze dell’Ordine per un’intensificazione dei controlli e di una normativa severa e anche sanzionatoria che vada a punire chi percorre queste strade illecite che sono uno svantaggio economico ed ambientale pesante.
Allo stesso tempo, si auspica un sistema di gestione del riciclo di tali rifiuti, efficace ed economicamente vantaggioso per tutti i soggetti coinvolti.

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