IL SETTORE DEL RECUPERO TIENE MA RISENTE DELLA CRISI

Diminuiscono i quantitativi trattati ma aumenta il riciclo sull’immesso al consumo

“Il settore del riciclo rifiuti risente della crisi registrando un calo in termini assoluti dei quantitativi gestiti, dovuto alla flessione della produzione e quindi anche della domanda di materie prime ricavate dai rifiuti, pur a fronte di un progressivo e continuo aumento dei tassi di riciclo in tutte le filiere anche per la contrazione dei consumi; aumentano le esportazioni di materiali riciclati, dirette soprattutto verso i Paesi in forte sviluppo economico (Cina su tutti) che offrono nuovi sbocchi al settore”.
È questa l’immagine in chiaroscuro fotografata dal consueto Rapporto a cura di FISE Unire in collaborazione con la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile: “L’Italia del Riciclo 2010”, presentato quasi contemporaneamente ad ECOMONDO e a Palazzo Montecitorio in occasione di due eventi analoghi. Cerchiamo di sintetizzare il Rappor to, focalizzando l’attenzione sui materiali che principalmente costituiscono oggetto di interesse per il settore del fine vita dei veicoli.
(Ndr. Per maggiori informazioni e per una lettura più completa, si rimanda ai siti: www. fise.org (rubrica “Studi e ricerche”) e www. fondazionesvilupposostenibile.org).
Dunque, secondo lo studio redatto dall’Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti, la causa rappresentata dalla crisi dei mercati internazionali ha sortito un duplice effetto sul comparto del recupero e del riciclo: da un lato si è velocemente spostato il baricentro economico verso i Paesi emergenti (soprattutto la Cina, come si accennava poc’anzi), dall’altro, si è vistosamente contratta la domanda e l’impiego di materie prime seconde ricavate dai rifiuti.
Se si considerano le 6 principali tipologie di materiali oggetto del Rapporto, ovvero: rottami ferrosi, alluminio, carta, legno, plastica e vetro, i dati 2009 indicano che alla fine dell’anno preso in esame si è registrata una flessione dei flussi pari al 24,7%, che tradotto in quantitativi significa 24 milioni di tonnellate contro i 31,88 milioni del 2008!
Della debacle è responsabile principalmente il settore della produzione siderurgica che, avendo registrato un forte calo non ha richiesto ingenti quantitativi di rottami ferrosi come negli anni precedenti. Infatti, le quantità di rottami ferrosi avviate a riciclo nel 2009 assommano a 12.792 milioni di tonnellate (-34,4% sul 2008).
Anche l’alluminio è calato sensibilmente (-27,9%) e gli altri materiali seguono il trend: carta (-10,8%); legno (-4,4%); plastica (-9,9%); vetro (-3,2%).
A parte il caso della carta da macero, che rappresenta un’eccezione d’eccellenza nel panorama italiano, il Paese importa materiali destinati al riciclo per circa 6 milioni di tonnellate e, al 2009, il saldo negativo del commercio estero degli stessi materiali è calato del 60,5%, il che significa che, data la crisi della domanda interna (carta a parte), tutti i settori interessati hanno ridotto le importazioni ed aumentato le esportazioni.
Ma vediamo insieme, come già detto, le principali categorie di rifiuti speciali di interesse per il settore automotive, considerando che vetro e plastica, nel Rapporto, sono riferiti alle raccolte derivanti da RSU.
Veicoli fuori uso
Secondo i dati Eurostat, nel 2007 l’Italia ha raggiunto una percentuale di riuso e riciclo dei materiali provenienti dal trattamento dei veicoli a fine vita, pari all’82,3% ed una percentuale di reimpiego e recupero del 83,1%.
Secondo l’UE (Direttiva 2000/53/CE, l’obiettivo-target di reimpiego e recupero, al 1° gennaio 2015, dovranno essere almeno pari al 95% del peso del veicolo e per anno, mentre quello di reimpiego e riciclaggio dovrà essere almeno pari all’85% del peso del veicolo e per anno.
Dalla demolizione annuale dei veicoli a fine vita si “estraggono” circa 36.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, mentre 96.000 tonnellate sono materiali più facilmente riciclabili (parti in plastica, vetri e pneumatici, carcassa e rottami ferrosi).
Un grosso problema è rappresentato dal car-fluff di frantumazione che rappresenta il 25% in peso del veicolo stesso ed è costituito da una miscela eterogenea di diversi materiali difficilmente separabili. Una soluzione prevista è rappresentata dall’incenerimento a favore del recupero energetico (previo trattamento) e, infatti, attualmente, risultano combuste lecitamente circa 18.000 tonnellate; tuttavia, il perdurare di carenze tecnologiche per il trattamento post frantumazione rende il percorso della valorizzazione energetica del fluff più difficoltoso a fronte dello smaltimento in discarica.
Malgrado la presentazione del Progetto Target Fluff (ipotesi di realizzazione di tre impianti prototipo di scala industriale che sfruttano la tecnologia della pirogassificazione per la valorizzazione energetica del fluff di frantumazione) e nonostante l’impegno dei vari soggetti firmatari dell’Accordo di Programma Quadro per la gestione dei ELV, perdurano ancora alcune problematiche:
• disomogeneità delle norme sul territorio per quanto attiene gli obblighi cui sono sottoposte le aziende di demolizione;
• mancanza di mercati di sbocco dei materiali non metallici (plastica, vetro e pneumatici, soprattutto per questi ultimi si attende da anni il Decreto attuativo che dovrebbe consentire il ritiro gratuito dei PFU presso i centri di autodemolizione); • assenza di impianti industriali per il recupero energetico del fluff che si somma alla limitazione europea circa la sua allocazione in discarica.
Pneumatici Fuori Uso
Sono 325.000 le tonnellate di PFU generate in Italia nel 2009 (una leggera flessione sulla media dell’ultimo decennio, dovuta alla crisi e alla riduzione del trasporto su gomma).
Di queste, solo il 74% viene adeguatamente trattato; il restante 26% viene abbandonato illegalmente o destinato a distruzione illegale.
Aumenta l’esportazione di granuli di PFU come combustibile nei cementifici dei Paesi in via di sviluppo, dinamica favorita dall’insufficienza del mercato interno e dall’aumentata presenza di traders stranieri di rifiuti in Italia.
Si stima che la quantità di PFU e derivati in uscita dal Bel Paese è pari a circa 70.000 tonnellate/anno. Tale messe che sfugge al riciclo nostrano per essere distrutta potrebbe essere valorizzata in maniera più compatibile per la produzione di asfalti modificati, materiale elastico da intaso per superfici sportive in erba artificiale, galoppatoi elastomerici ed altre tipologie di applicazione per le quali varie sperimentazioni sono già in atto da tempo.
Pile e Accumulatori
L’obiettivo di riciclaggio che ci impone l’Europa (25% al 2012), sembra ancora piuttosto distante. Dopo la positiva esperienza del COBAT (4.500 Comuni dotati di un centro di raccolta per i cittadini; 500 ipermercati dotati di servizio raccolta per gli acquirenti di nuove batterie d’avviamento; 28 Porti serviti con circa 52 isole ecologiche installate per la raccolta di batterie esauste), con D. Lgs n. 188/2008, si è provveduto a riallineare la norma italiana con quella europea disciplinando raccolta, trattamento, riciclaggio e smaltimento dell’intero comparto delle pile e degli accumulatori e dei loro rifiuti, diversamente da quanto accaduto fino a quel momento in Italia (laddove la gestione di questo tipo di rifiuto era limitata, allora, solo al segmento delle batterie al piombo).
Tra le novità presenti nel Decreto suddetto è introdotta la responsabilità della raccolta, trattamento e riciclo/smaltimento dei rifiuti, esclusivamente ai produttori di batterie e accumulatori, i quali sono obbligati ad istituire e finanziare adeguati sistemi (individuali e collettivi) in grado di garantire l’efficacia della filiera.
In sintesi, il Decreto prevede la possibilità dell’insorgenza di una pluralità di sistemi che operino contemporaneamente all’interno della stessa filiera.
Per quanto concerne i rifiuti di pile e accumulatori industriali, il Decreto prevede che i sistemi garantiscano il ritiro gratuito presso gli utilizzatori finali, mentre per quanto riguarda gli accumulatori dei veicoli, gli stessi sistemi devono garantire il loro ritiro gratuito sia presso i detentori del rifiuto (elettrauto, meccanici, industrie…), sia presso centri di raccolta istituiti ad hoc.
Al fine di coordinare l’azione dei soggetti operanti sul territorio, dovrebbe essere istituito un Centro di Coordinamento apposito, che però, a tutt’oggi, ancora non è stato ufficializzato.
Oli Minerali Esausti
Il Rapporto FISE-Unire dichiara che nel 2009 si è registrato un quantitativo di olio immesso al consumo pari a 399.000 tonnellate (100.000 tonnellate in meno rispetto al 2008). Tuttavia, considerando che una parte del consumo sfugge ai controlli, si stima che il dato reale sfiori le 44.000 tonnellate. Anche la raccolta dell’olio esausto segna una flessione rispetto al 2008 pari al -8,6%.
Sempre nel 2009 le quantità di oli usati lavorati presso gli impianti industriali di raffinazione è stata pari a 155.900 tonnellate, dalle quali si sono ricavati 99.800 tonnellate di oli rigenerati (circa il 25% del totale dell’immesso al consumo).
Il COOU (Consorzio Obbligatorio Oli Usati) dichiara che 39.918 tonnellate di oli esausti non rigenerabili sono state vendute come combustibili nei cementifici italiani, mentre la parte residuale di oli che contengono sostanze particolarmente inquinanti e difficilmente separabili dalla matrice (circa 191 tonnellate) sono stati avviati a termodistruzione.
L’anno caratterizzato dalla crisi economica (tuttora in atto) ha visto la drastica riduzione dei consumi con lavorazioni in decisa contrazione: i livelli di utilizzo degli impianti sono scesi all’82% (rispetto ad una più entusiastica produzione media del 95% che ha caratterizzato il triennio 2005 – 2008). Questo ha provocato una contrazione delle lavorazioni, tornate ai livelli del 1995!. Insomma, sempre più le industrie del riciclo ed i comparti annessi sembrano trainare il settore delle “economie verdi” e dei green jobs, tuttavia, non si può non considerare quanto: ritardi nell’applicazione delle norme, ambiguità e disarmonie fra le norme stesse che regolano il comparto ambientale, assenza di stimoli nei mercati interni per i prodotti derivanti dal riciclo (in conseguenza dei vantaggi economici all’uso di materie prime vergini), continuino a costituire un serio ostacolo al decollo delle pratiche di recupero e riciclo.
Curioso, altresì, che un Paese storicamente povero di materie prime, piuttosto che sfruttare la ricchezza rappresentata dai rifiuti e dalle materie prime seconde, preferisca, sulla base di vantaggi economici a breve termine, delegare il riciclo ad altri Paesi per poi riacquistare a caro prezzo i prodotti derivati.
Speriamo che la crisi (che non accenna peraltro a diminuire), ci insegni non solo a consumare di meno (quello, lo stiamo già facendo), ma anche a consumare meglio.

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