VEICOLI A FINE VITA: QUANDO SONO RIFIUTI
La Corte di Cassazione fa chiarezza sul momento in cui il bene diventa rifiuto nel caso in cui l’automezzo non sia ancora stato consegnato ad un centro di raccolta autorizzato
La corte di Cassazione torna a fare chiarezza su un tema intorno al quale tuttora sembra perdurare una certa mancanza di informazione: la definizione di rifiuto per quanto concerne i veicoli a fine vita e le disposizioni che ne regolano i processi di trattamento, di trasporto e di smaltimento/ recupero. L’occasione è stata offerta dalla sentenza che ha chiuso la causa di richiesta di annullamento di una precedente ordinanza del Tribunale di Verona contro il proprietario di un’area sequestrata dalla Guardia di Finanza del capoluogo veneto. In sostanza, nell’area in questione si era rilevata un’attività illecita di gestione di rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzata, nonché di spedizioni transfrontaliere di rifiuti, mentre l’imputato sosteneva che i rifiuti in questioni erano “merci destinate alla spedizione” (attività dell’impresa in questione). La Corte, che ha confermato quanto deciso dal Tribunale di Verona, ha classificato l’area quale discarica, e l’attività che ivi si svolgeva come traffico transfrontaliero non autorizzato di veicoli fuori uso. La sentenza non solo ribadisce quando il veicolo a fine vita diventa rifiuto a tutti gli effetti, ma fa chiarezza nel caso specifico in cui ci si dovesse trovare nel “limbo” nel quale ricade l’automezzo che non è stato ancora consegnato ad un centro di raccolta autorizzato.
Di seguito riportiamo il testo della sentenza. Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano La Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Penale Udienza Camera di Consiglio del 11/03/2009 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri: Dott. Onorato Pierluigi Dott. Petti Ciro Dott. Teresi Alfredo Dott. Marmo Margherita Dott. Marini Luigi Presidente; Consigliere; Consigliere; Consigliere; Consigliere ha pronunciato la seguente Sentenza sul ricorso presentato da Odion Osas Mark, avverso ordinanza del 07/11/2008 Tribunale della Libertà di Verona (Omissis) Fatto e diritto Con decreto del 13 ottobre 2008 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona convalidava il sequestro preventivo disposto in via di urgenza dalla Guardia di Finanza di Verona in data 6 ottobre 2008 e disponeva il sequestro preventivo di un’area della superficie di circa 3.000 mq sita in Palù, via Pila Acquabona, nei confronti di Odion Osas Mark, indagato con altra persona in relazione ad un’attività di gestione di rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzata, nonché di spedizioni transfrontaliere e traffico di rifiuti in violazione: a) dell’art. 256, comma 1 lettere a e b del D. Lgs 152 del 2006 e 81 cpv. 110 c.p; b) dell’art. 259 comma 1 D. Lgs 152 del 2006, 81 cpv. e 110 c.p.; c) dell’art. 260 comma 1 del D. Lgs. n. 152 del 2006, 81 cpv. 110 c.p; d) dell’art. 13 comma 1 del D. Lgs n. 209 del 2003, 81 cpv c.p. 110 c.p. (per fatti accertati in Verona il 6 ottobre 2008). Con ordinanza del 7 novembre 2008 il Tribunale del riesame convalidava il sequestro preventivo. Ha proposto ricorso per Cassazione Odion Osas Mark chie- dendo l’annullamento dell’impugnata ordinanza. Tanto premesso il Collegio rileva che, con il primo motivo, il ricorrente rileva che il Tribunale di Verona, sotto il profilo indiziario, aveva ritenuto che i beni rinvenuti sul terreno fossero da considerare come rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzati e che quindi sussistesse il fumus in ordine alle violazioni degli artt. 256 comma 1 lettera a e b, dell’art. 259 comma 1, dell’art. 260 comma 1 del D. Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 e dell’art. 13, comma 1 del D. Lgs. n. 209 del 24 giugno 2003. Rileva il ricorrente che, ai sensi dell’art. 2 del DPR del 10 settembre 1982, n., 915, si definiva come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umana o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono e che nella definizione data da tale decreto presidenziale emergeva chiaramente l’associazione tra il concetto di rifiuto e quello di abbandono. Successivamente, con D. Lgs. del 5 febbraio 1997, n. 22, in attuazione anche della Direttiva 91/156/CEE, è stato definito come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’Allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. Su questa materia la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con la sentenza dell’11 novembre 2004, nella causa C 457/02 si era pronunciata espressamente affermando che: “affinché un residuo di produzione o di consumo sia sottratto alla qualifica di rifiuto sarebbe sufficiente che esso sia o possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza danni all’ambiente, vuoi previo trattamento, ma senza che occorra tuttavia un’operazione di recupero”. La normativa italiana attualmente in vigore, ossia il D. Lgs. del 3 aprile 2006, n. 152 all’art. 183, comma 1, prevede che si debba intendere per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’Allegato A alla parte IV del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. Rileva il concorrente che, alla luce di tale normativa, non era possibile sussumere il fatto attribuitogli in nessuna fattispecie di reato contestata poiché soltanto nel caso in cui i beni gestiti dall’indagato dovessero considerarsi rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzati potrebbero eventualmente configurarsi i reati contestati. Nel caso in esame, invece, rileva il concorrente, i beni gestiti da esso indagato, non erano assolutamente trattati come rifiuti e come veicoli fuori uso non autorizzati, ma come merci destinate alla spedizione, rientrando tale attività tra quelle svolte dall’impresa ricorrente. L’autoveicolo guasto, ma riparabile o usato, da vendere a terzi non può essere infatti qualificato come rifiuto ma lo e soltanto nel caso in cui si trovi nelle condizioni tali da non conservare più tale caratteristica. Nel caso in esame si trattava di beni che lo stesso ricorrente recuperava per poi riutilizzare nell’ambito nelle attività consentite dalla legge che svolgeva l’impresa di cui egli era titolare, non risultava che fossero stati trattati come rifiuti o come veicoli fuori uso e non autorizzati, sicché non sussisteva il fumus commissi delicti. Rileva il Collegio che il motivo è infondato. Il Tribunale del riesame, infatti, a fronte di analoghi rilievi dell’indagato, con adeguata motivazione, dopo aver rilevato che ai fini del provvedimento di sequestro è sufficiente la sussistenza del fumus ovvero dell’astratta configurabilità dei reati contestati (SU 29 gennaio 1997 n. 23) ha rilevato che, nel caso in esame, i reati configurati erano sicuramente ipotizzabili posto che dalle indagini espletate direttamente dai verbalizzanti, dall’esame del materiale fotografico, dal- le dichiarazioni acquisite, dalle presenza di due bisarche atte al trasporto di rifiuti e pronte per il carico, gliindagati erano stati individuati come soggetti che si occupavano del traffico transfrontaliero non autorizzato di veicoli fuori uso. Per quel che attiene alla qualità di rifiuto dei veicoli fuori uso trova applicazione il principio affermato da questa Corte, (v. per tutte Cass. Pen. Sez. III Sentenza 23 giugno 2005, n. 33789 Bedini, rv. 232480), secondo cui: “a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 209 del 2003, con il quale è stata recepita in Italia la Direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, deve essere considerato fuori uso il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, nonché quel- lo che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata”. Questa Corte ha ulteriormente specificato (Cass. Pen. Sez. III Sentenza 30 settembre 2008, n. 41835, Russo, rv 241503) che “l’attività di raccolta di veicoli fuori uso in assenza di autorizzazione, già prevista come reato dall’art. 51, com- ma primo lettera a del D. Lgs. n. 22 del 1997 è nuovamente considerata tale dall’art. 256 comma primo D. Lgs. n. 152 del 2006”. Va quindi respinto il primo motivo di ricorso. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che il Tribunale di Verona in sede di riesame non aveva formalizzato espressamente alcuna motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari. Considerato che non era stato provato che i beni gestiti da esso ricorrente fossero stati trattati come rifiuti o come veicoli fuori uso non auto- rizzati, non si riteneva che sussistesse il pericolo che la libera disponibilità dei beni potesse aggravare o protrarre le conseguenze di qualche reato o agevolare la commissione di altri. Anche il secondo motivo va respinto. Premesso che la richiesta di riesame è stata proposta genericamente dall’indagato per quel che attiene al periculum in mora con il mero richiamo all’insussistenza del fumus in ordine al reato con- testato (v. pag 5 della memoria difensiva), sicchè il Tribunale del riesame non era tenuto ad una specifica motivazione, rileva che comunque le esigenze cautelari erano chiaramente evidenziate dal GIP con riferimento al grave pericolo di inquinamento ambientale e di reiterazione della condotte criminose. Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al paga- mento delle spese processuali. Rigetta il ricorso e condanna il ri- corrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, addì 11 marzo 2009.