IL CASO DEGLI AUTODEMOLITORI ROMANI

Il responsabile C.A.R. per la Regione Lazio, Vincenzo Pepe,illustra i problemi del comparto nella Capitale

L’Allegato I, relativo all’art. n. 6 (commi 1 e 2) del D. Lgs. del 24 giugno 2003 n. 209, “Attuazione della direttiva 2000/53/ CE relativa ai veicoli fuori uso”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 7 agosto 2003 – Supplemento Ordinario n. 128; riferisce testualmente: “Requisiti relativi al centro di raccolta e all’impianto ai trattamento dei veicoli fuori uso”. Ebbene, al punto 1 (Ubicazione dell’impianto di trattamento), si legge che: “Al fine del rilascio dell’autorizzazione agli impianti di trattamento disciplinati dal presente decreto, l’autorità competente tiene conto dei seguenti principi generali relativi alla localizzazione degli stessi impianti: 1.1.1. il centro di raccolta e l’impianto di trattamento non devono ricadere: a) in aree individuate nei piani di bacino, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, lettera m), della legge 18 maggio 1989, n. 183, e successive modifiche; b) in aree individuate ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, fatto salvo il caso in cui la localizzazione e’ consentita a seguito della valutazione di impatto ambientale o della valutazione di incidenza, effettuate ai sensi dell’articolo 5 del medesimo decreto; c) in aree naturali protette sottoposte a misure di salvaguardia ai sensi dell’articolo 6, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive modifiche; d) in aree site nelle zone di rispetto di cui all’art. 21, comma 1, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, e successive modifiche; e) nei territori sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e successive modifiche, salvo specifica autorizzazione regionale, ai sensi dell’articolo 151 del citato decreto. 1.1.2. Il centro di raccolta e l’impianto di trattamento non devono essere ubicati in aree esondabili, instabili e alluvionabili comprese nelle fasce A e B individuate nei piani di assetto idrogeologico di cui alla legge n. 183 del 1989. 1.1.3.

Per ciascun sito di ubicazione sono valutate le condizioni locali di accettabilita’ dell’impianto in relazione ai seguenti parametri: a) distanza dai centri abitati; a tal fine, per centro abitato si intende un insieme di edifici costituenti un raggruppamento continuo, ancorche’ intervallato da strade, piazze, giardini o simili, costituito da non meno di venticinque fabbricati e da aree di uso pubblico con accessi veicolari o pedonali sulla strada; b) presenza di beni storici, artistici, archeologici e paleontologici. 1.1.4. Nell’individuazione dei siti idonei alla localizzazione sono da privilegiare: 1) le aree industriali dismesse; 2) le aree per servizi e impianti tecnologici; 3) le aree per insediamenti industriali ed artigianali. 1.2. Le regioni devono favorire la rilocalizzazione del centro di raccolta e dell’impianto di trattamento ubicati in aree non idonee, individuando, a tal fine, appositi strumenti di agevolazione. 1.3. L’area prescelta per la localizzazione del centro di raccolta e dell’impianto di trattamento deve essere servita dalla rete viaria di scorrimento urbano ed essere facilmente accessibile da parte di automezzi pesanti. Tali disposizioni, che il Legislatore Europeo e quello nazionale hanno evidentemente introdotto per salvaguardare le aree abitate da attività imprenditoriali di gestione di rifiuti potenzialmente pericolosi, si traducono, per quegli operatori ubicati in aree non rispondenti alle caratteristiche sopra elencate, in un solo termine: delocalizzazione. Un termine efficiente e rassicurante in prima battuta, perché suggerisce la facilità e l’immediatezza dello spostamento attraverso una dinamica apparentemente semplice; come se fosse facile spostare un’impresa, con tutte le sue infrastrutture da un luogo all’altro…! Eppure, questa è la situazione, paradossale, che vivono molte imprese di autodemolizione, alcune delle quali datano quasi 40 anni di attività, ubicate nel tessuto cittadino della Capitale. Il tempo e lo sviluppo economico, infatti, hanno giocato un brutto tiro ai vecchi centri di rottamazione che, se fino a qualche decennio fa erano operativi in periferia o al margine estremo della città, oggi, a causa dell’urbanizzazione caotica dagli anni ’50 in poi, si ritrovano in un contesto a tutti gli effetti cittadino e quindi non rispondente alle caratteristiche imposte dalla normativa di riferimento. È il caso della Autodemolizioni Vincenzo Pepe, ditta operativa nel settore dal 1973, con una capacità di rottamazione per una media di 4.000 autoveicoli l’anno, che da lungo tempo opera con una autorizzazione semestrale da parte della Regione, così come la quasi totalità delle imprese consorelle del settore ubicate nell’urbe. Con il titolare, Sig. Pepe Vincenzo, tra l’altro responsabile per la Regione Lazio della Confederazione Autodemolitori Riuniti (C.A.R.) abbiamo voluto approfondire l’argomento cercando di capire qual è lo stato dell’arte degli autodemolitori romani e quali strategie stanno perseguendo quest’ultimi per garantire la sopravvivenza delle proprie imprese, il ritiro degli autoveicoli e la bonifica/recupero dei materiali così come impone la legge. Sig. Pepe, qual è attualmente la situazione degli auto- demolitori romani? Attualmente stiamo tutti lavorando in una situazione molto precaria dal momento che sussite una delibera comunale che impone la delocalizzazione delle nostre aziende, ma, di fatto, ancora non si è trovata una soluzione circa l’ubicazione futura. Consideri che proprio per ovviare a questa situazione di stallo, ci viene concessa ogni 6 mesi una autorizzazione dall’apposito Commissario regionale, che però, ad oggi, è tuttora in attesa di rinnovamento. (ndr: durante la stampa di questo Notiziario ci è giunta notizia dell’avvenuto rinnovo). Dagli uffici competenti giungono notizie relative a firme da apporre a breve nei documenti attesi, ma, di fatto, ancora non abbiamo la certezza di continuare a lavorare nel pieno rispetto delle regole. Pensi cosa potrebbe succedere se, da un qualsiasi controllo degli Organismi preposti, dovesse emergere che si lavora in assenza di autorizzazione: potrebbero farci chiudere immediatamente! C’è poi il gran problema del sovrastoccaggio dovuto al rallentamento del mercato causato dalla crisi economica. Ovviamente è un problema che ci accomuna a tutti i col- leghi italiani. Ma questi ritardi a cosa sono dovuti? Non lo sappiamo. È chiaro che ci stiamo informando, ma le risposte che riceviamo dalle continue telefonate ci spiegano che i documenti devono essere sottoscritti dagli Amministratori preposti. A dir la verità, un ritardo quasi fisiologico c’è sempre stato, magari compensato da documenti retroattivi, però questa situazione ci preoccupa. Lei si immagina, in tutto il territorio della Capitale Roma, cosa significhi per un cittadino non trovare un centro dove consegnare il proprio automezzo a fine vita? Certo, proprio per questo le vostre imprese sono necessarie, senza considerare il valore aggiunto in termini di competenza circa il trattamento/recupero di materiali riciclabili. Ma quali strade state perseguendo per risolvere questa situazione? Siccome il problema riguarda tutti è giocoforza che nel tempo si siano create situazioni di aggregazione di imprese che, se non altro, manifestano una capacità dialogica maggiore nei confronti di enti ed Istituzioni. Sono nati così dei Consorzi di autodemolitori, io stesso con altre 13 imprese faccio parte di un gruppo che sta tentando di ottenere qualche sicurezza nel merito della propria sopravvivenza futura. In sostanza abbiamo firmato un Accordo di Programma con l’Amministrazione Comunale che, a partire dall’esigenza della delocalizzazione, ha individuato un’area apposita dove far sorgere questa aggregazione di imprese deputata alla raccolta/trattamento di veicoli a fine vita. Dunque, la situazione è in via di risoluzione? Non direi proprio. Purtroppo, l’Accordo non è stato ancora compiutamente realizzato, dal momento che, quando alcuni cittadini hanno saputo dove sarebbe stato realizzato il Centro, hanno fatto pressione presso la Regione Lazio – Assessorato all’Ambiente per bloccare l’iniziativa. Dal momento che l’area individuata dall’Amministrazione comunale, sin dal 1997, quale deputata a servizi di rottamazione, confina, nelle immediate vicinanze, con un territorio tutelato a Parco, a livello regionale si è deciso un ampliamento dell’area-parco, includendovi il terreno che, inizialmente, sarebbe dovuto toccare alle nostre imprese. In questo momento non sappiamo più dove andare. Abbiamo fatto ricorso alla decisione regionale che, peraltro, non tiene conto del Piano Regolatore Comunale, né dell’Accordo di Programma sopra detto, il quale, sottoscritto in febbraio coinvolgeva ed impegnava non solo la nostra categoria, ma anche quella dei Produttori ed altri stakeholders della filiera. E sul versante degli adeguamenti strutturali ed impiantistici imposti dalla normativa, quali difficoltà avete incontrato? È un po’ un circolo vizioso, noi otteniamo delle autorizzazioni a “tempo determinato”, per le quali ci impegniamo a delocalizzare, ma, allo stesso tempo, dobbiamo investire sui centri attuali per apportare le dovute modifiche strutturali ed impiantistiche previste dalla legge…Solo che per far partire i lavori bisogna avere le autorizzazioni, e queste, tardano e sono comunque precarie… Si può immaginare un tempo entro il quale questa situazione sarà risolta? Credo di no. Come Consorzio abbiamo dato il via ad una iniziativa che si oppone alla delibera della Regione Lazio e nel frattempo abbiamo ottenuto dagli Enti preposti l’approvazione dei progetti concernenti la strada di accesso all’area individuata e ai capannoni che ospiteranno gli impianti. È un bel progetto e mi auguro che quanti, in Regione, avranno la possibilità di analizzarlo, ne sappiano cogliere la validità e l’utilità. Purtroppo, devo riconoscere che in parecchi anni nessun Governo locale, regionale o nazionale ha saputo rispondere a questa situazione che riguarda la categoria degli autodemolitori. Sicuramente ci sono da prendere decisioni scomode, ma è un fatto che forze politiche diverse non hanno saputo dare una risposta precisa ad una situazione piuttosto pesante, non solo per le nostre imprese, ma anche per i cittadini e il territorio.


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