QUANDO LA SCIENZA (DI TUTTI) COZZA CON GLI INTERESSI (DI POCHI)
Mentre il mondo scientifico e quello dell’informazione si dividono nei due classici schieramenti dei favorevoli e dei contrari, la notizia dell’attribuzione del Nobel per la Pace 2007 ad Al Gore (Vicepresidente degli Stati Uniti durante l’Amministrazione Clinton) e all’IPPC (Intergovernmental Panel On Climate Change), dimostra – se ancora ce ne fosse bisogno – l’importanza che il dibattito globale sul riscaldamento del pianeta e le sue implicazioni ambientali, politiche e sociali, riveste per il presente e, soprattutto, per il futuro dell’umanità. La motivazione che ha spinto i luminari norvegesi ad attribuire il prestigioso riconoscimento ex aequo, ha sottolineato l’ampia credibilità che il Comitato stesso ha valutato ne: “I loro sforzi per costruire e diffondere maggior conoscenza sui cambiamenti climatici provocati dall’uomo”.
Ebbene, quel “provocati dall’uomo” suggella e, in qualche modo, sancisce, l’effettiva responsabilità degli sconsiderati apporti che le attività antropiche determinano in merito alle emissioni climalteranti. Tuttavia, già all’indomani della premiazione, non sono mancate voci contrarie, altrettanto titolate ed ammantate dalla credibilità di paludate e serissime Istituzioni, come nel caso dell’Alta Corte di Londra che riscontrando “nove significativi errori” nell’opera-documentaria promossa da Gore (“Una scomoda verità”, di Davis Guggenheim – Premio Oscar “Miglior documentario lungometraggio” e “Miglior canzone originale”) ha sentenziato che la stessa debba essere considerata come: “opera politicamente di parte”, vietandone, contestualmente la sua diffusione negli istituti scolastici del Regno Unito (sentenza del giudice Michael Burton). Che strano mondo: da un lato si premia qualcuno perché con: “il suo forte impegno testimoniato con attività, conferenze, film, libri, ha rafforzato la lotta ai cambiamenti climatici”, dall’altro se ne stigmatizza la non credibilità negando l’evidenza dei cambiamenti stessi. C’è poi un altro aspetto che merita di essere sottolineato: Governi nazionali ed istituzioni internazionali muovono esperienze, volte alla diminuzione dell’immissione di CO2 in atmosfera (dimostrando, ancora una volta che il problema c’è ed è drammaticamente reale). Anche il settore dell’auto ne è pienamente coinvolto; da diverso tempo, infatti, i produttori hanno “mangiato la foglia” e novelli surfer “cavalcano l’onda verde” delle nuove auto ecologiche, stimolati vieppiù dalle nuove richieste di una clientela più esigente e dalle prescrizioni comunitarie e nazionali volte alla tutela dell’ambiente. In questo scenario ai tecnici delle case automobilistiche si richiedono soluzioni che riducano drasticamente le emissioni di CO2 ed NOx: soluzioni che, ovviamente, devono partire dall’ fonte delle emissioni stesse: i motori ed i sistemi propulsivi. Ebbene per la diminuzione della CO2 prodotta dagli autoveicoli, attualmente le linee di intervento si muovono su due fronti; da un lato si spinge verso carburanti di origine vegetale, che rimmettono in atmosfera la stessa anidride carbonica immagazzinata dalle piante durante i processi vegetativi (vedi articolo di pag…), dall’altro, la ricerca spinge verso nuovi motori sovralimentati (che dovrebbero mandare in pensione i vecchi e tradizionali motori aspirati di maggiore cilindrata) e sistemi stop-start, nonché propulsori ibridi. Per abbattere i deprecati NOx, la ricerca non può che tendere allo sviluppo di nuove generazioni di catalizzatori (e anche da questo punto di vista ci sembra intrigante il Premio Nobel per la Chimica che il Comitato ha attribuito al Prof. Gerhard Ertl dell’Istituto Max Planck di Berlino, per le sue ricerche inerenti lo studio dei processi chimici sulle superfici solide e le importanti applicazioni industriali degli stessi: in pratica, le basi teoriche che hanno permesso lo sviluppo di marmitte catalitiche e celle a combustione). E per quanto riguarda le “polveri sottili”, PM10 e PM 5, responsabili di parecchi danni alla salute dei cittadini, la tecnica, finora, è indirizzata verso filtri antiparticolato di nuova concezione. Ma cosa pensano realmente i costruttori d’auto e quali strategie perseguono per limitare i danni ambientali provocati dalle loro creazioni, peraltro necessarie? A Roma, lo scorso 11 ottobre, presso la Sala Promoteca del Campidoglio, si è svolta l’Assemblea Annuale dell’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (ANFIA), durante la quale, fra i vari argomenti all’ordine del giorno, si è discusso delle problematiche legate alle emissioni di CO2. Eugenio Ranzelli, Presidente ANFIA e Amministratore Delegato di Magneti Marelli, ha espresso parole indicative, come desunto da una News di Quattroruote: “Attualmente – ha dichiarato Ranzelli – solo il 3,5% delle emissioni mondiali di CO2 è causato dall’uomo. Sommando le emissioni delle autovetture (5,5%) e quelle degli autocarri, raggiungiamo l?11,5 % circa delle emissioni antropogeniche, quindi soltanto lo 0,4 sul totale delle emissioni globali di CO2 è causato dall’industria autoveicolistica”. Le centrali elettriche – ha proseguito – sono responsabili del 25% delle emissioni, il riscaldamento domestico del 23% e la combustione di biomasse del 15%”. La volontà di assolvere la categoria non sembra poi così distante, tanto più che a livello europeo l’ultimo Rapporto della Federazione Europea per il Trasporto e l’Ambiente ha evidenziato che dall’analisi dei dati 2006 emerge il fatto inquietante che le emissioni di CO2 delle auto vendute in Europa sono calate dello 0,2 %, attestandosi sui 160 g/Km contro un limite, per le vetture omologate Euro 4, di 140 g/Km, D’altro canto, durante la stessa Assemblea dell’ANFIA, l’atorevole intervento del Ministro del Commercio ,Internazionale e per le Politiche Europee, Emma Bonino, la dice lunga sulla dicotomia dei sentimenti e delle visioni in atto. Da un lato il Ministro plaude ai risultati raggiunti nel comparto italiano delle vendite: “Le esportazioni italiane stanno trainando la crescita del Paese e il vostro settore sta dando un contributo importante” ha dichiarato ai partecipanti all’Assemblea ANFIA. Proseguendo “nei primi sei mesi di quest’anno il valore dell’export del solo comparto autoveicoli, rimorchi e semirimorchi è stato superiore a 14,7 miliardi di Euro, un miliardo e mezzo in più rispetto ai primi sei mesi del 2006, pari ad un incremento di oltre l’11%”. Dall’altro non si perita di indicare: “così come non possiamo chiedere ad un Paese di ridurre le emissioni in modo irrealistico o troppo costoso, o di aumentare la quota di rinnovabili in modo arbitrario, non possiamo imporre limiti che creino gravi squilibri nella competitività dell’industria automotive europea, ovvero che avvantaggino segmenti di questa industria a danno di altre”. “Gli obiettivi – ha proseguito – debbono essere perseguiti in modo equilibrato e con un calendario di impegni realistico”. Intanto, nel dibattito che rimarrà sicuramente aperto nei prossimi mesi, almeno fintanto che la Commissione Europea non licenzierà i risultati dei lavori preparatori per la regolamentazione comunitaria per la circolazione dei veicoli, il potenziamento della sicurezza stradale e la riduzione dell’impatto ambientale (sembra che si ponga un limite di 120 g/Km), sono entrati i produttori europei di pneumatici rappresentati dall’ETRMA (European Tyre and Rubber Manufacturers Association), i quali, a partire dai loro prodotti, si sono impegnati alla riduzione del 5% delle emissioni di anidride carbonica e all’abbassamento di 2 decibel della rumorosità dei pneumatici. Nel dettaglio, come spiegato in una lettera di Francesco Gori, Presidente ETRMA al Vice commissario Europeo per l’Impresa e l’Industria, Gunther Verheugen, i produttori di pneumatici si sono impegnati formalmente a mettere in campo tutte le tecnologie disponibili per intervenire sulla struttura e sulle mescole dei pneumatici in modo da intervenire drasticamente sull’attrito con la superficie stradale, causa, quest’ultimo di consumi, produzione di polveri sottili e rumorosità. L’Unione Europea, infatti, ha richiesto espressamente di ridurre di 8 decibel il rumore causato dal rotolamento dei pneumatici e, contestualmente, l’eliminazione degli oli aromatici dagli ingredienti che costituiscono la gomma delle ruote. Ebbene, cosa rispondono i produttori coinvolti? Con la classica “botta al cerchio e alla botte”: da un lato si aprono leggermente alle richieste della Commissione, dall’altro si autoassolvono puntando il dito su soluzioni alternative, come intervenire su un diverso tipo di asfalto per ridurre l’impatto acustico e lo spolverìo dei pneumatici, implementare i controlli sulla pressione dei pneumatici stessi onde ottimizzarne l’aderenza, ecc. In più, si ribadisce la necessità di rivedere i limiti imposti da Bruxelles per manifesta impraticabilità ed irraggiungibilità. Intanto, mentre in Europa ci si trastulla “giocando a tu per tu, fra il vizio e la virtù”, parafrasando il poeta satirico Giuseppe Giusti, dall’Oriente giunge la notizia di un brevetto della Yokohama, la “Super-Nanopower” una nuova “ricetta” per la mescola dei pneumatici che utilizzando succo di agrumi consente di risparmiare l’80% di petrolio e di ridurre del 18% l’attrito, rispetto ad un pneumatico convenzionale. Tale tecnologia è già stata applicata ad un modello disponibile attualmente solo in Giappone (come si desume da un articolo apparso il 3 ottobre su Greenreport.it), e dalla sperimentazione si è dimostrato quanto la nuova miscela abbia tutte le caratteristiche di impermeabilità, resistenza all’attrito, tenuta della pressione e leggerezza del peso specifico; tutte qualità che, a parità dei vecchi pneumatici, garantiscono un minor impatto ambientale. Ora, ci sembra che come accaduto in altre sedi e per altre problematiche (come, ad esempio, la termovalorizzazione dei rifiuti), quando si parla di interesse di parte, contrapposto al benessere pubblico, in qualche misura sia sempre il primo a prevalere, anche se, ufficialmente, nessuno mette in dubbio la necessità del contrario. Forse, per tornare agli argomenti d’apertura di questo articolo, occorre prendere atto che la salvaguardia del pianeta e delle sue componenti biologiche (noi compresi), non è una questione perennemente demandabile a non ben identificati “Altri”. Tutti dovrebbero fare la propria parte, anche a discapito di qualche piccolo interesse di bottega. Al Gore ed il suo Nobel per la Pace, da oggi, ce lo ricordano: salvare la terra e adoperarsi per questo fine, non è un discorso politico o solo economico; è, soprattutto: “una questione morale!”.