QUANDO IL ROTTAME È ORO
Aumentano le esportazioni di materiali ferrosi e di alluminio e, a farne le spese è lo storico mercato del riciclo metallico che per diversi anni è stato il fiore all’occhiello del sistema Italia.
Che il Bel Paese non fosse particolarmente ricco di ferro e bauxite, è cosa nota dalla rivoluzione industriale, quando le esigenze della neonata industria impongono un aumento delle importazioni di materie prime come il carbon fossile, il ferro, il rame e l’alluminio. Già all’alba della Seconda Guerra Mondiale, a seguito della politica nazionale sostanzialmente autarchica per sopperire alla mancanza di questi preziosi elementi, si innescano dinamiche di riciclaggio ante litteram, che nei quarant’anni a seguire, hanno portato le industrie della Brianza a vertici di eccellenza unici in Europa, per il riciclaggio dei materiali ferrosi e metallici in generale.
Oggi che, aumentata la consapevolezza ambientale, nuovi strumenti normativi, volti alla minimizzazione degli impatti sul territorio, al risparmio delle risorse energetiche e alla riduzione dei consumi, hanno fatto del riciclo una strategia perseguibile e sempre più auspicabile, paradossalmente si assiste a un’inversione di tendenza. La materia prima secondaria, che ha un suo valore e un suo costo di mercato, invece di essere trasformata in loco, purtroppo prende strade diverse, soprattutto quelle volte all’Oriente in espansione economica costante. Si assiste così ad una depauperazione ed a una sottrazione notevole in termini di quantità con risvolti economici non indifferenti e, soprattutto ad una allegra elusione delle regole nazionali ed internazionali in merito all’esportazione e alla circuitazione dei rifiuti. In una nota del 16 febbraio 2005 di China-Italy-Trade.Net, Piattaforma Web per le Aziende e organizzazioni italiane che operano con la Cina, si legge che: “Le importazioni di rottami di alluminio da parte della Cina dovrebbero continuare ad aumentare nel corso dell’anno nonostante la possibile introduzione di restrizioni alle esportazioni dall’Europa a difesa del mercato comunitario”. E ancora: “Secondo uno studio svolto dall’Antaike Information Development di Pechino, nei primi cinque mesi di quest’anno (2005) la Cina ha importato 264.205 tonnellate di scarti di alluminio, con un aumento pari al 70%, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso”. Nella stessa comunicazione un analista di Antaike afferma che: “la domanda cinese di rottami di alluminio è in continua crescita, in parte per sostenere la produzione di alluminio primario, in forte espansione”. Continuando a scorrere la nota di cui sopra si legge che: “l’analista si riferisce alla scarsità di allumina, materia prima utilizzata nella produzione di alluminio e al crescente utilizzo di rottami nel ciclo produttivo. La domanda cinese di rottami si è però tradotta nei paesi esportatori, principalmente Russia, USA e Europa, in una situazione di scarsa offerta e di aumento dei prezzi sul mercato interno. Le reazioni non si sono fatte attendere: lo scorso giugno l’Europa ha proposto l’imposizione di restrizioni all’esportazione verso la Cina, così da proteggere i mercati locali”. Infatti, alla data del 21 settembre 2006, proprio in riferimento all’esportazione di rottami d’alluminio, la Commissione Europea riceve una Interrogazione a firma di Parlamentari italiani (PPEDE) Mario Mauro, Francesco Musotto, Antonio Tajani, Stefano Zappalà e Renato Brunetta, in cui si legge, tra l’altro che: “La questione dell’incontrollata esportazione di rottami di alluminio dall’Europa verso i mercati dell’Estremo Oriente, in particolare Cina, India e Pakistan, ha notevoli ripercussioni sulle attività dell’industria europea. Nel 1998, l’Europa a 15 importava quasi 300.000 tonnellate di rottami che alimentavano l’industria dell’alluminio di riciclo. Da allora la bilancia import/export ha cominciato a pendere verso le esportazioni e lo scorso anno 2005 la situazione si è completamente capovolta: ormai l’Europa esporta quasi 400.000 tonnellate”. L’interrogazione dei succitati parlamentari continua affermando che senza rottami, l’industria del riciclo europea rischia la chiusura di molti impianti, anche perché le produzioni europee di alluminio primario sono assolutamente insufficienti a coprire il fabbisogno di metallo e quello riciclato, quindi è indispensabile alla crescita e allo sviluppo dell’economia europea. “L’alluminio riciclato assolve a compiti di tutela ambientale ed è un basso consumatore di energia – scrivono i parlamentari, e continuano affermando che – Paesi come l’Ucraina e la Russia hanno imposto dei veri e propri blocchi all’esportazione dei propri rottami chiedendo dazi del 50% o addirittura il blocco totale, per proteggere le proprie industrie”. L’interrogazione dei parlamentari si chiude auspicando una regolamentazione delle esportazioni per non “regalare ai Paesi che operano in concorrenza sleale, le nostre risorse e le nostre produzioni”. Al fine di studiare e monitorare il problema, in oggetto e promuovere soluzioni e contromisure, l’OEA (Organisation of European Aluminium Refiners and Remelters), ha istituito il gruppo di lavoro “Asia Task Force” che si è riunito in prima seduta lo scorso 15 febbraio 2006 a Francoforte. Dal meeting è emersa la sostanziale conferma degli allarmi lanciati tempo prima dagli addetti ai lavori: Cina, India e Pakistan sono i collettori e i beneficiari delle ingenti quantità di rottami “sottratti” al mercato europeo. Sul fronte cinese, ad esempio, le esportazioni sono passate dalle 150.000 tonnellate del 2001 alle 320.000 previste per il 2005. Caso emblematico quello del Regno Unito, che da solo ha quadruplicato le esportazioni (da 54.284 tonnellate a 202.131). Se nel 2004 le esportazione europee verso il mercato indiano si stabilizzavano intorno alle 45.000 tonnellate, l’anno scorso si è assistiti alla “partenza” di oltre 117.000 tonnellate. Di fronte a queste cifre, impallidiscono le pure importanti 33.000 tonnellate che il Pakistan ha importato dall’Europa nel solo 2005. E l’Italia; come si inserisce in questo discorso? Dicevamo all’inizio che proprio il Bel Paese può vantare una forte tradizione nella produzione di alluminio riciclato e, ovviamente, in questo nuovo contesto di mercato può ritenersi penalizzata. Infatti, conditio sine qua non per mantenere inalterati i quantitativi di produzione e la redditività del prodotto riciclato, è la possibilità di reperire materia prima a prezzi sostenibili. In un articolo apparso sul numero di marzo 2006 di Aluminium and Its Alloys, si afferma che: “pur non essendoci prove evidenti, si calcola che il prezzo offerto da acquirenti cinesi superi del 5%-30% quello offerto dagli acquirenti europei; senza contare che i cinesi pagano solitamente in anticipo o in contanti”- E ancora: ” Le spese di spedizione dei rottami in Estremo Oriente possono essere addirittura inferiori della metà rispetto a quelle di spedizione e/o consegna nell’Europa meridionale: si parla di 40-50 dollari/tonnellata per trasportare un container di 40 piedi da Rotterdam a Shanghai contro i 75-80 dollari/tonnellata per l’Italia”. Senza contare, poi, che: “esportando rottame l’Italia esporta anche energia: infatti ogni Kg di lingotto di alluminio prodotto da rottame permette di risparmiare circa 15 KW/H rispetto alla produzione di primario”. A questo punto i conti sono presto fatti, piegandoci a nuove regole di mercato e ad una filosofia spicciola che premia il guadagno a breve termine, favoriamo inquietanti circuitazioni di rifiuti che alimentano imprenditorialità occulte e poco verificabili in Paesi dove le norme per la tutela ambientale e la tutela dei lavoratori sono quasi inesistenti e, alla fin fine, anche da un punto di vista strettamente economico, nel lungo periodo, si ritorcono doppiamente contro noi stessi.