CONSEGUENZE PER MANCATO ADEGUAMENTO DEI CENTRI RACCOLTA VEICOLI FUORI USO
È noto che il D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209 ha recepito nell’ordinamento nazionale la direttiva 2000/53/CE stabilendo i requisiti dei centri di raccolta e trattamento dei veicoli fuori uso, favorendo il riciclaggio, il recupero dei materiali ed apportando presidi di salvaguardia ambientali e disposizioni a tutela della salute dell’uomo.
La norma in questione prevede che la realizzazione di un nuovo centro di raccolta e trattamento veicoli fuori uso è subordinata alla approvazione di un progetto e al rilascio dell’autorizzazione di cui agli articoli 27 e 28 del D. Lgs. 22/97 (ora articolo 208 del D.Lgs. 152/2006).
Tale norma prevede altresì che nuovi progetti debbono ottenere il parere positivo di compatibilità ambientale (VIA) e rispettare i requisiti urbanistici ed organizzativi contenuti all’allegato I del predetto D.Lgs. 209/2003.
Per gli impianti esistenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209 è stato riservato invece un particolare regime in quanto, pur prevedendo l’articolo 15 l’obbligo dell’adeguamento ai contenuti prescrittivi di cui all’allegato I, è consentito, nelle more, proseguire l’attività(1).
In buona sostanza il legislatore nazionale ha previsto per gli impianti esistenti un periodo transitorio necessario per effettuare le opere ed apportare migliorie sia a livello strutturale che tecnologico, consentendo comunque la prosecuzione dell’attività senza interruzione di sorta.
Il termine per la conclusione delle opere di adeguamento è stato ritenuto congruo in ragione di mesi 18 dalla data di approvazione del relativo progetto da parte della Provincia.
Al termine della esecuzione delle opere, il Direttore dei lavori è tenuto ad inoltrare alla Provincia apposita attestazione, sotto forma di autocertificazione, di rispondenza dei lavori eseguiti con quanto previsto in progetto e nel contempo richiedere al Comune territorialmente competente il certificato di agibilità.
Con il presente intervento si intende argomentare sulle possibili conseguenze amministrative che possono essere contestate ai Titolari dei centri per la mancata ultimazione dei lavori entro i termini di 18 mesi dal rilascio delle autorizzazioni di approvazione del relativo progetto.
La possibilità dell’ applicazione delle sanzioni accessorie trova fondamento nelle disposizione appresso riportate: a) 4° comma dell’articolo 15 del D.Lgs. 209/2003 che, con riguardo alla problematica in questione, prevede che “In caso di mancato adeguamento nei modi e nei termini stabiliti, l’attività è interrotta”;
b) 13° comma dell’articolo 208 del D.Lgs. 152/2006 che recita: ” Ferma restando l’applicazione delle norme sanzionatorie di cui al titolo VI della parte quarta del presente decreto, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione l’autorità competente procede, secondo la gravità dell’infrazione:
a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; b) alla diffida e contestuale sospensione dell’autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente;
c) alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente”.
La emanazione da parte della Pubblica Amministrazione dei provvedimenti accessori a quale delle due disposizioni sopra citate trova presupposto: alla norma tecnica di settore prevista dal D.Lgs. 209/2003 o alla noma applicabile in via generale a tutte le fasi di gestione dei rifiuti prevista dal D.Lgs. 152/2006?
Il dubbio paventato parrebbe, in prima istanza, senza fondamento, mentre da una più attenta lettura delle due disposizioni sembra potersi argomentare come una errata applicazione, oltre che costituire un elemento di impugnativa dinnanzi al TAR per illegittimità del provvedimento di applicazione delle sanzioni accessorie (diffida, sospensione o revoca dell’autorizzazione), abbia pesanti ripercussioni nei confronti del Titolare del centro in questione.
La nuova formulazione del comma 13 dell’articolo 208 del D.Lgs. 152/2006, introdotta con il D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, prevede che, qualora un fatto è previsto sia come violazione alle disposizioni di cui alla parte quarta del titolo VI del citato D.Lgs. sia come violazione alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, la Pubblica Amministrazione dovrà intraprendere nei confronti del trasgressore sia un procedimento di carattere pecuniario (comminando una sanzione amministrativa) o penale (segnalando i fatti all’Autorità Giudiziaria) sia un procedimento sanzionatorio accessorio: diffida, sospensione e revoca dell’autorizzazione.
Nella emanazione del provvedimento accessorio la Pubblica Amministrazione terrà conto del principio della gravità dell’ infrazione rispetto alla commisurazione della sanzione (sospensione o revoca dell’autorizzazione); nella graduatoria un posto rilevante è riservato ai comportamenti che “determinano situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente” e ai quelli reiterati: in questi casi il procedimento amministrativo non potrà concludersi se non con la revoca dell’autorizzazione.
In definitiva la quantificazione della violazione costituisce un elemento indispensabile per stabilire la tipologia della sanzione accessoria, che può oscillare dalla semplice diffida, alla diffida e alla contemporanea sospensione dell’autorizzazione, ma mai alla revoca che è subordinata a due soli casi:
– mancato adeguamento alle disposizioni impartite con la diffida; – reiterate violazioni che comportano situazioni di pericolo alla salute pubblica o all’ambiente.
Pertanto la mancata osservanza delle prescrizioni poste nell’atto di diffida comportano sempre la revoca dell’autorizzazione e mai la sospensione della stessa in quanto tale fattispecie non è prevista dalla norma.
In via generale quindi il mancato adeguamento entro i termini previsti (18 mesi) dal rilascio dell’autorizzazione di approvazione del relativo progetto potrebbe comportare, in applicazione dell’articolo 208 del D.Lgs. 152/2006, la emanazione da parte della Pubblica Amministrazione delle sanzioni accessorie: diffida, revoca dell’autorizzazione.
Taluni esperti di diritto amministrativo sostengono (e non a torto) che nel caso in questione trova fondamento la norma speciale prevista dal comma 4 articolo 15 D.Lgs. 209/2003) che prevede ”In caso di mancato adeguamento nei modi e nei termini stabiliti, l’attività è interrotta”, la quale risulta direttamente applicabile senza cioé la necessità da parte dell’Amministrazione di emanare ulteriori provvedimenti (diffida, sospensione o revoca).
Infatti l’articolo 227 del D.Lgs. 152/2006, avente per oggetto: “Rifiuti elettrici ed elettronici, rifiuti sanitari, veicoli fuori uso e prodotti contenenti amianto”, nel regolamentare la gestione di queste particolari categorie di rifiuti, prevede che: “Restano ferme le disposizioni speciali, nazionali e comunitarie relative alle altre tipologie di rifiuti, ed in particolare quelle riguardanti:
a) omississ; b) omississ; c) veicoli fuori uso: direttiva 2000/53/CE e decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, ferma restando la ripartizione degli oneri, a carico degli operatori economici, per il ritiro e trattamento dei veicoli fuori uso in conformità a quanto previsto dall’articolo 5, comma 4, della citata direttiva 2000/53/Ce”.
Trova quindi applicazione la disposizione speciale di cui al D.Lgs. 209/2003 e l’accertamento da parte degli Organi di Polizia nella sede del centro non può limitarsi alla compilazione del semplice rapporto, ma sussiste l’obbligo di effettuare (o quanto meno di proporre all’A.G.) il sequestro dell’intero impianto di autodemolizione.
È evidente che il sequestro dell’impianto ha ripercussioni economiche sull’Impresa per il fermo impianto, diffondendo altresì una immagine negativa tra gli addetti del settore.
Tuttavia la P.A. prima ancora di formalizzare qualsiasi sanzione di carattere accessorio non può non tenere conto delle prescrizioni poste nell’atto di approvazione del relativo progetto di adeguamento, verificando attentamente la struttura, le condizioni , la durata, le operazioni di trattamento consentite nell’autorizzazione.
Qualora tale verifica, anche sulla base degli elaborati tecnici approvati, giunga a conclusioni che taluna delle attività autorizzate si svolge in modo autonomo ed indipendente, si ritiene che non sarà oggetto di interruzione in quanto tale limitazione è riferita essenzialmente alle operazioni connesse con la gestione del veicolo fuori uso. In conclusione, il mancato rispetto del termine di ultimazione dei lavori di adeguamento, previsto nell’autorizzazione di approvazione del progetto, comporta, in via generale, l’interruzione dell’attività senza la necessità da parte della Pubblica Amministrazione di emanare ulteriori provvedimento trovando applicazione la norma di carattere speciale (4° comma art. 15 D.Lgs. 209/2003) rispetto alla norma generale (comma 13° art. 208 del D.Lgs. 152/2006).
Quella parte dell’impianto che assoggettata all’adeguamento resterà inattiva sino alla conclusione dei relativi lavori che dovranno comunque essere autorizzati dalla Pubblica Amministrazione previa rimozione degli ulteriori vincoli che si frappongono ad esempio richiesta dissequestro da parte dell’A.G..
Nel caso in cui la Pubblica Amministrazione determina la chiusura definitiva dell’impianto, sarà data informazione al Comune territorialmente competente affinché adotti i necessari provvedimenti perché l’area possa essere restituita all’originaria destinazione urbanistica.
Valuterà il Comune la necessità di intraprendere le procedure per accertare la consistenza dei valori di inquinamento del suolo e se, nel caso, imporre all’Impresa titolare del centro le necessarie opere di bonifica.
(1) Recita l’ articolo 15 del D.Lgs. 209/2003 :” Il titolare del centro di raccolta o dell’impianto di trattamento in esercizio alla data di entrata in vigore del presente decreto, entro sei mesi dalla stessa data, presenta alla Regione competente per territorio domanda di autorizzazione corredata da un progetto di adeguamento dell’impianto alle disposizioni del presente decreto. Detto progetto comprende un piano per il ripristino ambientale dell’area utilizzata, da attuare alla chiusura dello stesso impianto.
La Regione, entro i termini stabiliti dall’articolo 27 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, conclude il procedimento e si pronuncia in merito al progetto di adeguamento. In caso di approvazione del progetto, la Regione autorizza l’esercizio dei relativi lavori, stabilendone le modalità di esecuzione ed il termine per la conclusione, che non può essere, in ogni caso, superiore a 18 mesi, a decorrere dalla data di approvazione del progetto.
Nel caso in cui, in sede di procedimento, emerge che non risultano rispettati i soli requisiti relativi alla localizzazione dell’impianto previsti dal presente decreto, la Regione autorizza la prosecuzione dell’attività, stabilendo le prescrizioni necessarie ad assicurare la tutela della salute e dell’ambiente, ovvero prescrive la rilocalizzazione dello stesso impianto in tempi definiti.
La Provincia competente per territorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, procede all’ispezione degli impianti in esercizio alla stessa data che effettuano l’attività di recupero di rifiuti derivanti da veicoli fuori uso di cui all’articolo 6, comma 5, al fine di verificare il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di esercizio previste dal presente decreto e, se necessario, stabilisce le modalità ed i tempi per conformarsi a dette prescrizioni, consentendo, nelle more dell’adeguamento, la prosecuzione dell’attività
In caso di mancato adeguamento nei modi e nei termini stabiliti, l’attività è interrotta.