Riciclaggio delle batterie al piombo: la Commissione europea individua un possibile “cartello”
Dopo una indagine iniziata nel settembre del 2012, la Commissione Europea ha spiccato cinque comunicazioni di addebito ad altrettante Società sulle quali gravano sospetti di violazione delle norme UE in materia di accordi restrittivi e abuso di posizione dominante ai danni di piccole e medie imprese di autodemolizione di quattro Paesi membri.
Che i rifiuti costituiscano le “miniere d’oro” del presente e del futuro è cosa nota tanto agli economisti quanto alle imprese, sempre più stimolate tanto dalle politiche nazionali ed internazionali volte alla minimizzazione degli impatti delle attività industriali sull’ambiente, quanto dalla necessità contingente di approvvigionarsi di materia a basso costo.
Eppure, non è “tutt’oro quel che luce” e spesso le cronache ci informano di quanto il business nel settore del riciclo dei rifiuti, spesso sia inquinato da pratiche molto lontane dall’etica d’impresa e dalle stesse leggi.
Una notizia che ci ha colpito per la gravità delle implicazioni sul mercato è arrivata ieri (mercoledì 24 giugno) quando, da Bruxelles, la Commissione europea ha informato cinque imprese di riciclaggio del piombo sospettate di aver partecipato a un accordo per l’acquisto di piombo-acido da rottami di batterie, in violazione delle norme comunitarie in materia di cartelli e abuso di posizione dominante.
In sostanza, la Commissione, dopo una serie di indagini a sorpresa iniziate già nel settembre del 2012, sospetta cinque società di riciclaggio del piombo derivante da accumulatori di aver partecipato, tra il 2009 e il 2012, ad una intesa avente per fine un accordo di fissazione del prezzo di acquisto dei rifiuti di batterie esauste in Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi. La stessa Commissione ha affermato, nella sua comunicazione degli addebiti, che tali società hanno agito d’intesa concordando i prezzi o coordinando le loro pratiche tariffarie al solo fine di mantenere margini di profitto più elevati. Tali società avrebbero, quindi, diminuito i prezzi pagati ai demolitori (rappresentati, per lo più da piccole e medie imprese).
Un tale comportamento, nella misura in cui è suscettibile di ridurre il valore delle batterie al piombo usate vendute dai rottamatori avrebbe comportato, in definitiva, un danno economico per questi ultimi. Se tale dinamica risultasse comprovata questa costituirebbe una violazione delle norme UE che proibiscono pratiche commerciali anticoncorrenziali come la complicità sui prezzi e la ripartizione del mercato (così come regolati dell’articolo 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europeo).
Nei casi di presunte violazioni delle norme comunitarie in materia di accordi restrittivi e abuso di posizione dominante la comunicazione degli addebiti è un passo formale nelle indagini della Commissione. La procedura prevede che la Commissione informi le parti interessate dei presunti addebiti nei loro confronti; successivamente queste hanno la facoltà di esaminare i documenti del fascicolo della Commissione, a rispondere per iscritto e chiedere un’audizione per presentare le loro osservazioni sul caso ai rappresentanti della Commissione e alle autorità nazionali garanti della concorrenza.
Nel caso in cui, dopo che le parti interessate hanno esercitato i propri diritti di difesa, la Commissione concluda che vi siano prove sufficienti dell’esistenza di un’infrazione, essa può adottare una decisione di interdizione e comminare alle parti una ammenda pecuniaria fino al 10% del fatturato annuo globale dell’impresa interessata.
In Europa, quasi tutte le batterie al piombo vengono riciclate una volta che non sono più utilizzate e le batterie derivanti dagli autoveicoli, costituiscono la maggioranza di queste. Le Società di riciclaggio rifiuti acquistano batterie da diversi fornitori e ne estraggono il piombo che poi può essere riutilizzato per realizzare nuovi prodotti nell’ottica della minimizzazione dei rifiuti e della valorizzazione delle risorse derivanti da riciclo e riutilizzo.
Prendere le distanze dallo stadio di “rifiuto” ed imboccare la via del Ciclo di vita di un prodotto, rientra, ovviamente, nella futura strategia della Commissione Ue per l’economia circolare, ma tale evoluzione, prima ancora che con le resistenze di una vecchia cultura che vedeva nell’ambiente un ostacolo e un costo, deve misurarsi con l’approccio poco etico di quanti, ancora, mettono il “dio denaro” davanti ad ogni azione da intraprendere; senza curarsi del fatto che, il proprio guadagno personale è costruito sulla pelle di tanti altri.