Mobilità elettrica: in Italia serve un piano strutturale
Numerose Associazioni della filiera automobilistica e industriale hanno lanciato un appello al Governo auspicando un piano strutturale per la mobilità elettrica nel solco della transizione ecologica.
La mobilità elettrica può essere un incredibile volano di crescita per il Paese e la società, ma la mancanza di una visione strutturale a lungo periodo, che includa i necessari investimenti economici, rischia di rivelarsi un boomerang in termini di competitività e di sviluppo.
Mentre i dati diffusi ad inizio anno circa l’andamento del mercato auto in Italia a dicembre evidenziano l’ennesimo, pesante, calo mensile consecutivo (per maggiori ragguagli si veda l’articolo qui) e, di conseguenza, i soggetti protagonisti dell’automotive nazionale già da tempo hanno allertato circa la necessità di prevedere strategie di sostegno ed incentivazione all’acquisto a lungo termine anche in vista dell’obiettivo comune della transizione ecologica, proprio su questo fronte, nella giornata di ieri (NdR: 17 gennaio), una serie di Associazioni ha pubblicato un Appello al Governo per la costituzione di un piano strutturale di sostegno alla transizione ecologica a partire dalla mobilità elettrica.
ADICONSUM – Associazione Difesa Consumatori APS, ANFIA – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, ANIE – Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche, ASSOFOND – Associazione Italiana Fonderie, CLASS Onlus – Comitato per l’Ambiente e lo Sviluppo Sostenibile; Motus-E (Associazione costituita da operatori industriali, filiera automotive, mondo accademico e movimenti di opinione per fare sistema e accelerare il cambiamento verso la mobilità elettrica) e UCIMU – Associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot, automazione e di prodotti a questi ausiliari, hanno sottoscritto un appello al Governo per definire un piano strutturale per la mobilità elettrica, della quale non si vorrebbe interrompere il trend di crescita degli ultimi anni proprio nel momento in cui è necessaria una sua rapida accelerazione per conseguire la transizione ecologica.
Nelle considerazioni preliminari i soggetti firmatari rimarcano non solo l’assenza di una strategia per la transizione energetica del settore automotive e per lo sviluppo delle necessarie infrastrutture di ricarica nella Legge di Bilancio 2022, ma anche come tale mancanza andrà ad influire negativamente sulla quota di mercato dei veicoli a zero e a bassissime emissioni per l’anno appena iniziato.
“Mentre l’anno scorso è iniziato con una quota del 4,7% e si è concluso con il 13,6% di dicembre – hanno scritto nel documento – quest’anno rischia di assestarsi su valori tra il 6 e il 7%, ben lontani dalle previsioni per gli altri Paesi europei”.
E ancora, la mancanza di una programmazione di interventi e misure adeguate di sostegno ed impulso alla mobilità elettrica rischia, per la compagine dei firmatari, di essere un vero e proprio autogol per l’Italia che sarebbe meno competitiva nel confronto con gli altri Paesi Ue: “dove articolati pacchetti di misure pro mobilità elettrica agevoleranno una rapida accelerazione nell’installazione di una capillare rete di infrastrutture di ricarica anche privata”.
L’auspicato piano d’azione che si richiede al Governo, segue, pertanto, filoni paralleli:
– prosecuzione dell’ecobonus nel triennio 2022-24 con una progressiva rimodulazione degli incentivi nel tempo;
– interventi per le infrastrutture di ricarica private: prosecuzione del credito di imposta del 50% per le utenze domestiche, le piccole imprese e partite IVA e una misura per lo sviluppo della ricarica all’interno dei condomini. Andrebbe inoltre aggiunta l’inclusione delle spese per la ricarica nei sistemi di welfare aziendale, come oggi già avviene per le carte carburante, e la previsione di una specifica tariffa elettrica dedicata alla mobilità privata, simile alla tariffa domestica;
– misure a sostegno della riconversione industriale e dei lavoratori, indispensabili per non perdere competitività (per le imprese della filiera).
L’eventuale rinuncia a questi percorsi metterebbe a serio rischio lo sviluppo della mobilità elettrica in Italia; sviluppo che ha visto il raddoppio del suo valore dal 2018 ad oggi e che, viceversa, potrebbe arrestarsi causando, tra l’altro, il venir meno degli impegni presi dal nostro con l’Ue in materia di riduzione delle emissioni al 2030.
Ma non solo, le Associazioni firmatarie hanno evidenziato fra i rischi ulteriori: il minor accesso alle tecnologie meno inquinanti per una larga fetta di cittadini; la perdita di occupazione conseguente alla riduzione della domanda; il mancato sviluppo dei settori emergenti legati ai servizi connessi all’e-mobility.