“L’Italia del Riciclo 2020”: lontani gli obiettivi Ue per i veicoli fuori uso
Nel settore ELV continuano a pesare alcune problematiche irrisolte che, come Paese, ci allontanano dagli obiettivi europei e gravano tanto sulle performance ambientali nazionali quanto sulle spalle delle imprese serie.
Presentato stamane, nel corso di un evento digitale: “L’Italia del Riciclo 2020“, il consueto Rapporto a cura di FISE UNICIRCULAR (Unione Imprese Economia Circolare) e della Fondazione Sviluppo Sostenibile, giunto alla XI edizione e che presenta i dati sullo sviluppo del riciclo dei rifiuti (suddivisi per filiera) e che, quest’anno, poi, si è arricchito di un’indagine preliminare sugli effetti della pandemia nei diversi settori.
Nel Rapporto, una sezione, ovviamente, è completamente dedicata ai veicoli fuori uso che rappresentano un comparto gravato da non poche problematiche e che, nonostante una certa stabilità nei numeri relativi a reimpiego e riciclo, è ancora lontano dagli obiettivi europei (peraltro in buona compagnia con altre filiere).
I RAEE, infatti, hanno raggiunto il 38% di raccolta (+10%), ma ancora distanti dall’obiettivo 2019 fissato al 65%; idem per pile e accumulatori che si attestano al 43% (appena 2 punti percentuali sotto il target fissato), ma per i veicoli a fine vita la percentuale di reimpiego e riciclo è ancora al di sotto dell‘85% in peso del veicolo (obiettivo al 2015 fissato dall’art. 7, comma 2, del D.Lgs. 209/2003).
E ancora appare lontano l’obiettivo del recupero totale del 95% a causa dell’assenza di forme di recupero energetico; una mancanza che decisamente compromette la possibilità di raggiungere il target complessivo di recupero.
Cresce, invece, la filiera del recupero degli oli minerali esausti, la cui raccolta è arrivata al 47%, così come, per quanto riguarda gli Pneumatici Fuori Uso (PFU), la raccolta ha raggiunto l’obiettivo nazionale, avviando a recupero di materia 151.000 tonnellate e a recupero energetico 116.000 tonnellate.
Ma vediamo insieme una sintesi dei numeri e dello stato dell’arte del settore del fine vita dei veicoli che, proprio quest’anno ha vissuto l’entrata in vigore del nuovo D. Lgs. n. 119 (3 settembre 2020), che reca: “Attuazione dell’articolo 1 della direttiva (UE) 2018/849, che modifica la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso” e che ha modificato il D. Lgs. 209/2003 al fine di recepire la modifica della direttiva sui veicoli fuori uso.
Dagli ultimi dati disponibili (relativi al 2018) emerge che, quell’anno il numero dei veicoli immatricolati, rientranti nel campo di applicazione del D. Lgs. 209/2003, ha presentato un decremento del 3% rispetto al 2017, arrivando a 2,1 milioni di veicoli.
L’età media del parco circolante è cresciuta di 0,3 anni, da 12,6 a 12,9; coì come sono cresciute le cancellazioni dal PRA (+5%) e l’età media dei veicoli cancellati (da 15,6 a 15,7 anni).
Nell’ultimo triennio preso in esame sono aumentate le esportazioni dei veicoli, passate dalle 437.481 unità nel 2016 a ben 498.548 nel 2018; una problematica, questa, più volte segnalata dagli organi competenti europei ai vari Paesi membri e che l’Italia ha affrontato con la modifica dell’art. 103 Codice della Strada (Legge di Stabilità 2016; art. 1, comma 964) che prevede che chi vende un veicolo all’estero non lo può radiare dal PRA finché non prova che è stato reimmatricolato in un altro Paese.
Successivamente, segnala il Rapporto, con Nota dell’Agenzia delle Dogane del 7 giugno 2016 si era precisato che il DAE (Documento di Accompagnamento Esportazione) non poteva da solo comprovare l’avvenuta esportazione all’estero di un veicolo, occorrendo ulteriore prova dell’avvenuta uscita del veicolo dal territorio doganale dell’UE attraverso il sistema di tracciamento dei movimenti di esportazione (o di transito) e dall’MRN (Movement Reference Number).
Il Rapporto di FISE UNICIRCULAR e FSS ricorda che dal 1° gennaio di quest’anno è entrata in vigore la disposizione secondo cui un veicolo poteva essere radiato per esportazione solo se aveva superato la revisione da non più di 6 mesi, ma tale disposizione è stata modificata dopo soli pochi mesi e a partire dal 15 settembre scorso è sufficiente che il veicolo sia in regola con gli obblighi di revisione o sia stato sottoposto, nell’anno in cui ricorre l’obbligo della revisione, ad omologazione e che non sia pendente un provvedimento di revisione singola.
Naturalmente gli effetti di tali misure sul fenomeno delle esportazioni illecite si potranno valutare solo nel prossimo futuro.
Ad ogni modo la criticità rappresentata dall’esportazione illegale di veicoli fuori uso continua ad essere fra le principali problematiche che affliggono il settore e che rappresenta non solo una non indifferente questione ambientale, ma soprattutto economica, giacchè tale pratica sottrae notevoli quantità di materiali e ricambi usati senza contare le centinaia di migliaia tonnellate di rottami ferrosi che, diversamente, sarebbero nell’immediata disponibilità dell’industria siderurgica nazionale.
Non indifferente, neppure la questione dell’elusione fiscale sottesa a tale dinamica, dal momento che, come sottolinea il Rapporto: “non sempre il veicolo radiato per esportazione viene reimmatricolato all’estero, in certi casi nemmeno esportato, andando a eludere la normativa fiscale, di responsabilità civile e ambientale“.
Senza contare che, in questo caso, le parti di ricambio derivate vanno ad alimentare mercati illeciti con grave nocumento di coloro che operano nell’illegalità e a ulteriore discapito della sicurezza.
Fra le altre criticità che affliggono il settore, il Rapporto “L’Italia del Riciclo 2020” rimarca il peggioramento del livello qualitativo del materiale in ingresso nei centri di demolizione che va ad aggravare ulteriormente una situazione già fortemente problematica; si allude qui, al fatto che, con allarmante frequenza, molti veicoli a fine vita arrivano ai centri di raccolta autorizzati già privati dei più golosi pezzi di ricambio.
Permane, infine, la questione ancora irrisolta dell’avvio a recupero energetico del fluff così come la difficoltà di promuovere il riciclaggio di alcuni componenti dei veicoli il cui disassemblaggio risulta particolarmente oneroso (cruscotti e relative imbottiture, rivestimenti di sedili e relative imbottiture, ecc.).
Gli estensori del Rapporto sottolineano, quindi, la necessità di porre mano ad “urgenti interventi normativi” in grado di:
– contrastare pratiche scorrette ed illegali;
– fermare l’emorragia dei veicoli all’estero;
– monitorare e regolamentare la vendita online di parti di ricambio;
– garantire una stretta tracciabilità dei rifiuti derivanti dal trattamento dei veicoli stessi;
– rendere maggiormente fruibili e più adeguate le informazioni che il produttore deve fornire agli autodemolitori per identificare e trattare i diversi componenti dei veicoli;
– favorire la creazione dei mercati dei materiali derivanti dalla lavorazione dei rifiuti provenienti dalla demolizione dei veicoli (esempio, plastiche e vetri);
– premiare gli impianti performanti sia ambientalmente che in termini di obiettivi per incentivare la qualificazione della filiera;
– permettere il recupero energetico del fluff, derivante dalla frantumazione dei veicoli fuori uso e avviato principalmente a smaltimento presso discariche nazionali.
“È necessaria in particolare – ha evidenziato Paolo Barberi, Presidente di FISE UNICIRCULAR – la rapida definizione dei decreti nazionali per le diverse filiere End of Waste e la semplificazione delle procedure di controllo sulle autorizzazioni End of Waste, caso per caso… Il sistema italiano del riciclo è in grado di affrontare i nuovi e più ambiziosi target europei per l’economia circolare purché si facciano ulteriori sforzi per migliorare la qualità delle raccolte e di conseguenza dei materiali da riciclo, venga promosso l’uso dei prodotti “circolari” e siano recuperati i ritardi e le carenze impiantistiche ancora presenti in alcune zone del Paese“.
“Per sviluppare l’economia circolare, favorire innovazione e nuovi investimenti sarebbe molto utile ridurre i tempi troppo lunghi , a volte di anni, per le autorizzazioni di attività di riciclo di rifiuti che generano prodotti (End of waste) affidate, caso per caso, alle Regioni e oggi sottoposte ad un doppio regime di controllo a campione, non previsto dalle Direttive europee e non richiesto in nessun altro Paese europeo“, ha dichiarato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. “Nell’uso delle risorse europee del Recovery fund è inoltre necessario finanziare la ricerca e l’innovazione delle tecniche di riciclo in settori critici che hanno importanti potenzialità ambientali e di sviluppo (…), nonché finanziare l’innovazione per migliorare la riciclabilità di alcuni prodotti e per aumentare l’impiego di materiale riciclato in sostituzione di materie prime vergini“.