Auto elettriche: l’aumento della domanda farà crescere il bisogno di materie prime per le batterie.
Un Rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo documenta la crescente importanza della mobilità elettrica e dei relativi principali materiali utilizzati per produrre batterie ricaricabili per auto, ma avverte anche sulla necessità di risolvere alcune problematiche legate al loro approvvigionamento.
Mentre il mercato mondiale dell’auto e dei veicoli commerciali fa i conti con gli effetti del calo della produzione e delle vendite dovuti alle misure di chiusura degli scorsi mesi, non si arresta, tuttavia, il cammino già imboccato da tempo verso una rivoluzione della mobilità in chiave più sostenibile.
Il trend degli ultimi anni riferito a veicoli ad alimentazione ibrida, fuel cell o totalmente elettrica è in crescita (+ 65% delle vendite nel 2018 rispetto all’anno precedente; dati dall’Agenzia internazionale per l’Energia) e malgrado i volumi attuali siano ancora piuttosto esigui in rapporto a benzina e diesel, è ormai chiaro per tutti gli analisti, che indietro non si torna e che il futuro dello spostamento di merci e di persone sarà sempre più carbon free.
In questo scenario le batterie ricaricabili svolgeranno un ruolo significativo nella transizione globale verso un sistema energetico a basse emissioni di carbonio e contribuiranno a mitigare le emissioni di gas a effetto serra purché le materie prime utilizzate nella loro produzione vengano acquistate e prodotte in modo sostenibile.
É quanto afferma, tra l’altro, il Rapporto “Commodities at a glance: Special issue on strategic battery raw materials” stilato dall’UNCTAD – Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo che mette in evidenza come la domanda di materie prime per la costruzione di batterie per auto elettriche aumenterà decisamente in ragione del prossimo boom degli EV stimato, al 2030 in 23 milioni di veicoli passeggeri.
Non solo, il Rapporto illustra come la domanda di materie prime a monte del pacco batteria crescerà rapidamente man mano che l’importanza del petrolio come fonte di energia diminuirà, come evidenziato recentemente dal crollo dei prezzi a causa dell’eccesso di offerta e della debole domanda conseguente l’emergenza pandemica da coronavirus Covid-19.
Secondo il Rapporto “gli sforzi in corso per ridurre le emissioni di gas a effetto serra dovrebbero stimolare ulteriori investimenti nella produzione di energia verde, che è stata costante negli anni, attestandosi in media a circa 600 miliardi di dollari all’anno“.
Nel segmento del mercato mondiale rappresentato dal catodo per le batteria agli ioni di litio (la tipologia di batteria ricaricabile per auto più comune) si è evidenziata una crescita tale che dai 7 miliardi di dollari stimati al 2018 si dovrebbe arrivare, secondo gli analisti dell’UNCTAD, ai 58,7 miliardi di dollari entro il 2024!
In tutto questo vi sono, tuttavia, dei punti irrisolti come, principalmente, la localizzazione geografica delle maggiori riserve minerali a monte della produzione: cobalto, litio, grafite naturale e manganese, tutti minerali i cui giacimenti principali sono sparsi tra Repubblica Democratica del Congo, Cile, Cina, Brasile, Turchia, Australia, Sudafrica e Ucraina.
Molti di questi sono Paesi instabili dal punto di vista politico, economico e sociale; l’UNCTAD avverte, quindi, che: “La produzione altamente concentrata, suscettibile di interruzioni a causa dell’instabilità politica e degli impatti ambientali negativi, solleva preoccupazioni sulla sicurezza dell’approvvigionamento delle materie prime ai produttori di batterie… (…) le interruzioni dell’approvvigionamento possono portare a mercati più stretti, prezzi più alti e costi più elevati delle batterie per auto, influenzando la transizione globale alla mobilità elettrica a basse emissioni di carbonio“.
D’altro canto se investire di più nelle tecnologie verdi che dipendono meno dalle materie prime per batterie critiche sarebbe la soluzione migliore e potrebbe aiutare a ridurre la vulnerabilità dei consumatori nel fornire carenze nell’attuale mix di materiali come litio e cobalto, ciò ridurrebbe altresì i ricavi dei Paesi che li producono; tanto più che la maggior parte del valore aggiunto alle materie prime utilizzate nella produzione di batterie ricaricabili viene generata al di fuori dei Paesi che producono i materiali.
Il Rapporto analizza, poi gli impatti sociali e ambientali del processo estrazione sottolineando l’urgenza di risolvere le tante zone d’ombra, come, ad esempio, il fatto che: “circa il 20% del cobalto fornito dalla RDC proviene da miniere artigianali in cui sono state segnalate violazioni del lavoro minorile e dei diritti umani. Secondo l’UNICEF, fino a 40.000 bambini lavorano in condizioni estremamente pericolose nelle miniere per un reddito scarso“.
Anche l’utilizzo industriale di risorse preziose come l’acqua è un aspetto di non poco conto: “In Cile – si legge sul sito dell’UNCTAD – l’estrazione del litio utilizza quasi il 65% dell’acqua nella regione del Salar de Atamaca, una delle aree desertiche più aride del mondo, per pompare salamoie da pozzi perforati. Ciò ha causato l’esaurimento e l’inquinamento delle acque sotterranee, costringendo gli agricoltori locali di quinoa e i pastori di lama a migrare e abbandonare gli insediamenti ancestrali. Ha inoltre contribuito al degrado ambientale, ai danni del paesaggio e alla contaminazione del suolo“.
In questo senso, conclude il Rapporto, “Gli impatti ambientali negativi potrebbero essere ridotti aumentando gli investimenti nelle tecnologie utilizzate per riciclare le batterie ricaricabili esaurite“.