Riduzione della CO2 degli autoveicoli: i costruttori europei chiedono di rivedere le tempistiche.
La filiera automotive europea, nel pieno della crisi da coronavirus scrive alla presidente della Commissione Ue per perorare un rinvio delle norme sulla riduzione delle emissioni; ma non tutti sono d’accordo.
L’industria automobilistica europea comincia a fare i drammatici conti con queste prime settimane di pandemia globale da Covid-19 che ha imposto una graduale e diffusa paralisi sociale, dell’industria e del tessuto produttivo rappresentato dalla piccola e media impresa.
La grande industria manifatturiera, in specie, sembra essere quella maggiormente colpita dagli stop e dall’assenza di manodopera, ma anche dallo stallo del mercato e dal crollo dei consumi.
E se già nel primo bimestre 2020 si contano i danni ingenti della caduta della domanda di nuove immatricolazioni, le proiezioni degli analisti sono piuttosto fosche per i prossimi mesi, allorquando, si teme, la crisi economica ingenerata dagli effetti di contenimento del contagio si faranno sentire in tutti i settori e, quello automobilistico, in particolare, si prepara allo spettro di un calo a doppia cifra.
In un contesto di forte preoccupazione dove anche le grandi kermesse internazionali vengono ogni giorno posticipate o annullate, la scorsa settimana, in data 25 marzo, le associazioni europee che raggruppano i costruttori di autoveicoli, i fornitori, i produttori di pneumatici, i concessionari e i riparatori uniti sotto le sigle: ACEA – European Automobile Manufacturers’ Association; CLEPA – European Association of Automotive Suppliers; ETRMA – European Tyre & Rubber Manufacturers’ Association e CECRA – European Council for Motor Trades and Repairs, hanno scritto una lettera congiunta alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.
Il documento (inviato per conoscenza anche a Margrethe Vestager, Vice presidente esecutivo per un’Europa pronta per l’era digitale; Frans Timmermans, Vice presidente esecutivo per il Green Deal Europeo; Valdis Dombrovskis, Vice presidente esecutivo per una economia la servizio delle persone; Thierry Breton, Commissario per il mercato internazionale; Adina Vălean, Commissario per il Trasporto), accanto ad una presentazione dello stato dell’arte del settore europeo, richiede alla Commissione il rinvio delle norme sui limiti di emissione di CO2 allo scarico che sono entrate in vigore dal 1° gennaio di quest’anno.
Ma andiamo con ordine.
Le associazioni, ricordando alla Presidente della Commisione Ue che “l’automotive è uno dei settori di punta in Europa. Direttamente e indirettamente, esso dà lavoro a 13,8 milioni di persone nell’Unione europea. Ciò rappresenta il 6,1% di tutti i posti di lavoro nell’UE (…) investe ogni anno 57,4 miliardi di euro in ricerca e sviluppo e genera un surplus commerciale di 84,4 miliardi di Euro per l’Unione Europea“, sottolineando altresì che l’impatto dell’epidemia sul settore non ha precedenti.
Le associazioni, nel rimarcare le gravi ripercussioni della crisi in un settore ad alta densità di capitali ove molte aziende fanno affidamento su frequenti rifinanziamenti per finanziare le loro operazioni e nella previsione di dover affrontare significativi problemi di liquidità nel breve e medio termine in assenza di nuovi ricavi, hanno accolto “con favore l’adozione da parte della Commissione del quadro di aiuti di Stato temporanei, la sua raccomandazione in merito all’attivazione della sospensione del patto di stabilità e crescita e la sua proposta di indirizzare 37 miliardi di euro nell’ambito della politica di coesione dell’UE alla lotta contro la crisi del coronavirus nonché le iniziative intraprese dalla Banca centrale europea e dalla Banca europea per gli investimenti per mantenere liquidità nel sistema finanziario e nell’economia“.
Tuttavia, ricordano anche che per fronteggiare l’emergenza produttiva, economica, finanziaria e occupazionale che grava e graverà sul settore, è chiaro che: “altre attività andranno a soffrirne (…) Ciò sconvolge i piani che avevamo fatto per prepararci al rispetto di quelli esistenti e future leggi e regolamenti dell’UE entro i termini applicabili stabiliti in tali regolamenti“. “Crediamo – afferma la lettera congiunta – che sia necessario apportare alcune modifiche ai tempi di tali leggi … (…) tuttavia, non è nostra intenzione mettere in discussione le leggi in quanto tali né quelle sugli obiettivi di sicurezza stradale, né quelle relative alla mitigazione dei cambiamenti climatici e protezione dell’ambiente“.
Orbene, giova ricordare che già da tempo l’Europa s’è data una serie di ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni allo scarico il più recente dei quali è entrato in vigore il 1° gennaio di quest’anno e prevede che il 95% di tutte le auto nuove vendute in Ue deve essere pari o inferiore agli obiettivi medi di 95g CO2/Km.
Tale obiettivo rientra fra le principali strategie che l’Europa sta perseguendo per conseguire la riduzione delle emissioni climalteranti direttamente imputabili alla circolazione delle auto, tenendo presente che il biossido di carbonio dei motori rappresenta il 14% delle emissioni complessive di gas climalteranti dell’Ue e il 70% delle emissioni del trasporto stradale.
Molto critica, in questo senso, la risposta che è arrivata da Transport & Environment – Federazione europea per il trasporto e l’ambiente, la quale ha stigmatizzato come infondate le motivazioni della filiera automotive rilevandovi, un effetto “potenzialmente dannoso per la sostenibilità a lungo termine e la competitività dell’industria automobilistica in Europa“.
Il calo delle vendite, spiegano da T&E, non influisce automaticamente sulla conformità alle norme, se mai è la tipologia di auto vendute, non certo il loro numero reale. In questo senso l’associazione punta il dito contro le strategie di vendita delle case automobilistiche che, negli ultimi anni, hanno spinto maggiormente su auto di più alta cilindrata (con relativi consumi ed emissioni maggiori) per aumentare i margini di profitto.
Tuttavia, ricorda la Federazione, in tempi di crisi (come già avvenuto in passato), la domanda si dovrebbe spostare su modelli più piccoli e meno potenti con conseguenti minori emissioni, mentre, in parallelo, aumenta e aumenterà il mercato degli EV – anche sostenuto da iniziative auspicabili di sostegno all’acquisto e incentivi alla rottamazione che quasi sicuramente dovranno essere posti in essere per sostenere il comparto nel dopo-emergenza.
Tra l’altro, sostiene T&E, in seno ai produttori europei non dovrebbe esserci una così piena concordanza di intenti e di approccio nei confronti delle norme Ue sulla CO2 se è vero che i tre colossi teutonici Volksvagen, Daimler e BMW si sono smarcati dalla posizione dell’ACEA.
“Mentre la ripresa economica generale è cruciale, non dovremmo permettere ad alcuni produttori automobilistici opportunisti di usare la crisi per ripristinare senza vergogna gli obiettivi climatici dell’UE per le automobili – ha dichiarato Julia Poliscanova, direttore veicoli puliti e del gruppo di ricerca sui trasporti sostenibili T&E – Tutti e tre i produttori di automobili tedeschi, VW, Damiler e BMW, hanno giustamente riconosciuto che non è necessario“.
“È troppo presto per giudicare gli impatti del Coronavirus sull’industria automobilistica, ma vendere meno auto non influirà sul rispetto della legge. Ciò che conta è il tipo di auto che vendi. Eventuali incentivi per aumentare la domanda una volta ripresa la vita normale dovrebbero essere mirati alle auto a zero emissioni. Ciò contribuirà a mantenere i posti di lavoro in Europa, a contenere l’inquinamento e ad aumentare la competitività della nostra industria automobilistica“.
Ci auguriamo che la crisi epocale che stiamo vivendo non sia un pretesto per derogare agli impegni sottoscritti a tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente; perché da questa crisi, con fatica, si uscirà, ma in quella climatica, che riguarda tutti, si rischia di rimanere impastoiati a lungo e con ben altri effetti in termini economici e sociali.