AGCM: il “Green diesel” non è per nulla “verde”.
Ammonta a 5 milioni di Euro la multa che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha comminato all’Eni per pratica commerciale ingannevole relativa al prodotto Eni Diesel+.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inflitto in data 15 gennaio una maxi multa da 5 milioni di euro all’Eni, colosso multinazionale a prevalente capitale pubblico nazionale, leader nei settori petrolifero e petrolchimico, così come nella produzione e commercializzazione di energia elettrica e di energie rinnovabili.
Oggetto del procedimento un caso di pratica commerciale ingannevole cristallizzata in una campagna pubblicitaria che Eni ha diramato sui media dal 2016 al 2019 inerente il prodotto Eni diesel+.
La decisione dell’Antitrust sanziona, sostanzialmente il messaggio contenuto nella campagna, ovvero, quello di un diesel bio, green e rinnovabile, il cui utilizzo “riduce le emissioni di gas serra fino al 40%“.
Ebbene, tale messaggio – oggetto di un reclamo per pratica commerciale scorretta in violazione del Codice del Consumo da parte di Legambiente, Movimento Difesa del Cittadino, e Transport & Environment – Federazione europea del trasporto e l’ambiente – è stato giudicato, appunto ingannevole a causa dell’utilizzo di un componente derivato da olio di palma grezzo.
Cerchiamo di capire meglio partendo proprio da quanto scrive l’AGCM in una sua Nota.
Innanzi tutto, l’inganno contenuto nei messaggi pubblicitari relativi al prodotto Eni Diesel+ si ravvisa “sia relativamente all’affermazione del positivo impatto ambientale connesso al suo utilizzo, che alle asserite caratteristiche di tale carburante in termini di risparmio dei consumi e di riduzioni delle emissioni gassose“.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha spiegato che l’ingannevolezza dei messaggi è derivata, principalmente: “dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato Eni Diesel+ e la sua componente biodiesel HVO , chiamata da Eni “Green Diesel”, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati“.
Non solo, l’AGCM ha stigmatizzato come il prodotto Eni Diesel + sia sostanzialmente un gasolio per autotrazione “che per sua natura è altamente inquinante e non può essere considerato “green”“, ivi condannando l’utilizzo suggestivo di denominazioni come “green diesel“, “componente green“, “componente rinnovabile” e altre espressioni molto evocative come: “aiuta a proteggere l’ambiente” e “E usandolo lo fai anche tu, grazie a una significativa riduzione delle emissioni“.
C’è poi il capitolo rappresentato dalle dichiarate caratteristiche del prodotto in materia di riduzione delle emissioni gassose.
Espressioni come: “fino al 40%”, delle emissioni di CO2 del 5% in media, e dei consumi “fino al 4%“, non sono risultate confermate dalle risultanze istruttorie, in quanto parziali – scrive l’AGCM – (ad esempio, non per tutte le emissioni gassose e non in tutti i casi la riduzione risultava raggiungere il 40% e, per i consumi, la riduzione era solo in minima parte imputabile alla componente HVO denominata da Eni “Green Diesel”) ovvero non adeguatamente contestualizzate (ad esempio non era adeguatamente chiarito che il vanto di una riduzione delle emissioni di CO2 era riferito all’intero ciclo del prodotto)“.
Last but not least: “nei messaggi veicolati sui media si lasciava intendere che le vantate caratteristiche migliorative del prodotto – da cui erroneamente si lasciava intendere discendesse la natura di prodotto orientato alla protezione dell’ambiente – fossero da attribuire in maniera significativa alla sua componente definita da Eni “Green Diesel”, aspetto anch’esso che non è risultato veritiero“.
Dal canto suo Eni ha avviato l’interruzione della campagna pubblicitaria e si è impegnata a non utilizzare più, con riferimento a carburanti per autotrazione, la parola “green”, tuttavia, in una sua nota fa sapere di riservarsi “di valutare le motivazioni del provvedimento ai fini della sua impugnativa al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio“.
La particolarità di questa Sentenza, salutata con entusiasmo dai soggetti sostenitori del reclamo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato è che quest’ultima segna, di fatto, un punto importante a livello nazionale nel contrasto al fenomeno del greenwashing, intendendo con questo termine la strategia di comunicazione ingannevole utilizzata per costruire un’immagine positiva di se sotto il profilo ambientale allo scopo di creare consenso attorno al proprio operato o ai propri prodotti, distogliendo, al contempo, l’opinione pubblica dagli impatti negativi sull’ambiente.
Ma non solo, il pronunciamento dell’AGCM, affermano i tre soggetti in un comunicato congiunto – “rappresenta un segnale forte nei confronti delle compagnie di combustibili fossili e dei loro tentativi di rappresentare al pubblico i biocarburanti come rispettosi dell’ambiente e addirittura come parte della soluzione alla crisi climatica“.
La partita sulla effettiva sostenibilità dei biocarburanti, in effetti, è ancora tutta da giocare.
“L’Italia – scrivono i tre soggetti autori del reclamo all’Antitrust – è, infatti, il secondo produttore di biodiesel da olio di palma nell’Unione europea. Più della metà (54%) di tutto l’olio di palma e derivati importati in Italia nel 2018 è stata utilizzata per produrre biodiesel“.
Ricordiamo che i due principali Paesi esportatori sono l’Indonesia (principalmente) e la Malesia (in misura minore, ma comunque significativa); due Paesi che avendo puntato molto su questa tipologia di produzione agricola hanno adottato pericolose politiche di deforestazione (e a questo punto il bilancio del carbonio va un po’ a farsi benedire).
E in Europa?
L’attenzione verso l’insostenibilità dell’olio di palma nei prodotti alimentari è cresciuta molto (con un conseguente calo del suo utilizzo nel settore), tuttavia lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la produzione di energia e di biodiesel per autotrazione (+ 3% nel 2018).
“Lo scorso marzo – si legge nel comunicato congiunto – la stessa Unione Europea ha stabilito che l’olio di palma non può essere considerato un combustibile verde e non va incentivato proprio perché causa la deforestazione. Il suo uso verrà gradualmente ridotto a partire dal 2023 con l’obiettivo della completa assenza nel 2030, seppur con alcune esenzioni“.
E tuttavia, in Italia tale uso continua ad essere incentivato, malgrado uno studio della stessa Commissione Ue ha dichiarato che tenendo conto delle emissioni indirette provocate dalla modifica dell’uso nella terra, il biodiesl prodotto con olio di palma e tre volte peggiore per il clima rispetto a un diesel tradizionale.
“Non esiste il diesel green, prodotto con olio di palma o altre colture alimentari perché causa la deforestazione, – ha dichiarato Veronica Aneris, responsabile in Italia di Transport & Environment – Le compagnie petrolifere devono smettere di cercare di indurre in errore cittadini e politici con il falso claim del diesel che rispetta l’ambiente e la salute. Dovrebbero invece investire in soluzioni realmente sostenibili, come l’elettricità rinnovabile e il governo deve fare la sua parte nello spingere le multinazionali dei fossili a dare il giusto contributo nella transizione a emissioni zero“.
Ci auguriamo che questo avvenga in tempi rapidi, accanto ad un doversoso rispetto per i consumatori.