“Italia del Riciclo 2017”: per i target UE alla filiera ELV manca la quota di recupero energetico

L’annuale Rapporto promosso e realizzato da FoSS e FISE Unire evidenzia che, a 20 anni dall’introduzione della prima disciplina organica che ha consentito la nascita, l’evoluzione e la crescita di un settore che nel tempo è divenuto industriale, raggiungendo livelli di eccellenza nel riciclaggio dei rifiuti, il nostro Paese ha raggiunto livelli di eccellenza nel riciclaggio dei rifiuti, mentre si confermano le difficoltà della filiera dell’auto fuori uso a raggiungere il target europeo di recupero totale (95% al 2015), anche a causa dell’assenza di forme di recupero energetico.

riciclo

È stato presentato oggi (14 dicembre 2017) a Roma nel corso di un Convegno il Rapporto “L’Italia del Riciclo”, l’annuale studio promosso e realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (FoSS) e da FISE Unire (l’Associazione che rappresenta le aziende del recupero rifiuti), giunto quest’anno all’8a edizione, che costituisce l’unico Rapporto sul riciclo dei rifiuti nel nostro Paese e rappresenta una delle fonti a cui la Commissione UE fa riferimento per analizzare lo stato di evoluzione delle politiche di sostenibilità ambientali in Italia.

Il 2017 segna, inoltre, i 20 anni dall’emanazione del Decreto Legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997 e, pertanto, il tradizionale approfondimento, curato da Ecocerved, è stato dedicato ad una riflessione sui cambiamenti intervenuti nel mondo del riciclo e delle imprese che in esso hanno operato in questo lasso di tempo.
La seconda parte del Rapporto, realizzata con la partecipazione attiva delle diverse filiere del riciclo, fornisce un quadro complessivo aggiornato sul riciclo dei rifiuti nel nostro Paese e individua le dinamiche europee e internazionali dei mercati dei materiali riciclati e le tendenze in atto, attraverso l’analisi dettagliata del contesto economico nazionale ed internazionale.
Un ulteriore elemento caratterizzante del Rapporto di quest’anno, il focus sulle certificazioni di contenuto di materiale riciclato nei prodotti.

L’Italia, e l’Europa più in generale, è alla vigilia di un ambizioso rilancio delle politiche di gestione dei rifiuti, verso una maggiore circolarità delle risorse. I nuovi e più ambiziosi target proposti dal Pacchetto sull’Economia Circolare e la contemporanea adozione di modalità uniformi per il calcolo del riciclato avranno sicuramente un forte impatto sul mercato, ma anche sul sistema Paese nel suo complesso. Ulteriore, auspicabile, effetto positivo sarà anche quello di contribuire a stabilizzare la domanda e i prezzi dei materiali riciclati, fornendo maggiori certezze agli investitori.
La crescita continua dell’industria italiana del riciclo, unita alla prossima approvazione del Pacchetto europeo sull’Economia Circolare offre l’opportunità al nostro Paese e al sistema delle imprese del recupero e del riciclo di passare da sistema ausiliario alla gestione dei rifiuti ad anello strutturale del modello di economia circolare, con effetti positivi per l’ambiente, l’economia e l’occupazione – ha dichiarato Andrea Fluttero, Presidente di FISE Unire – Per dare concretezza a questa prospettiva occorre risolvere una serie di problemi, come il collocamento delle sempre maggiori quantità di materie prime e di scarti che risultano dal riciclo. Servono i decreti End of Waste ed è necessario affrontare sia il problema dell’oscillazione dei prezzi delle materie prime, sia quello dei costi di smaltimento delle frazioni di scarto. Bisogna completare la dotazione impiantistica sull’intero territorio nazionale, superando le resistenze delle comunità locali spesso strumentalizzate e far dialogare il mondo della progettazione/produzione con i settori del recupero/riciclo”.

Dal Rapporto emerge che l’industria nazionale del riciclo consolida la propria crescita, avviando a riciclo nel 2016 il 67% degli imballaggi e trattando quantitativi crescenti di rifiuti provenienti da raccolte differenziate (umido e tessile) e da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (AEE).
Nelle diverse filiere nazionali degli imballaggi il riciclo si è mantenuto, anche nel 2016, su un buon livello, raggiungendo quota 8,4 milioni di tonnellate (il 3% in più rispetto al 2015) pari al 67% dell’immesso al consumo.
La crescita più significativa si è registrata nelle filiere dell’alluminio (+5%), dell’acciaio (+4%) e del legno (+4%), mentre si sono confermate le eccellenze nel tasso di riciclo della carta (80%) e dell’acciaio (77,5%).
Nel 2016 la frazione organica, che da sempre rappresenta la porzione principale dei rifiuti urbani avviati a recupero, ha gradualmente incrementato il suo peso rispetto al totale dei rifiuti che entra nel circuito della raccolta differenziata con una percentuale che è cresciuta, passando dal 40% del 2011 al 41,2% nel 2016 e raggiungendo i 107,6 kg per abitante.
Con riferimento agli Pneumatici Fuori Uso (PFU), i tre principali Consorzi nazionali nel 2016 hanno garantito l’avvio a recupero di 135 mila tonnellate di materia e l’avvio a recupero energetico di 173 mila tonnellate.
Si conferma l’eccellenza italiana degli oli minerali usati, con oltre il 99% degli oli gestiti avviati a rigenerazione, mentre cresce anche la raccolta degli oli vegetali esausti che tocca le 65 mila tonnellate (+5% vs 2015).
Anche settori più “giovani”, come quello dei rifiuti tessili, vedono crescere la raccolta (133 mila tonnellate, +3,3% vs 2015) con quasi il 73% dei Comuni che ha effettuato il servizio di raccolta differenziata.
Secondo gli ultimi dati resi disponibili da EUROSTAT e relativi al 2014, la raccolta pro-capite di RAEE da superficie domestica ha raggiunto i 3,5 kg per abitante l’anno (l’85% dei quali destinato a recupero energetico o di materia), mentre è stato raccolto il 39% dell’immesso al consumo di pile e accumulatori portatili.
Con riferimento allo stesso anno, un’analisi realizzata da Ecocerved evidenzia una produzione di rifiuti inerti da costruzione e demolizione pari a 54 milioni di tonnellate di cui il 90% avviati a recupero di materia.

L’industria italiana del riciclo ha raggiunto un buon livello e vede nel futuro prospettive di crescita consistenti – ha affermato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – Ma per affrontare le sfide poste dalla circular economy deve fare un salto di qualità per migliorare le sue capacità di attivare e di usufruire di politiche di sistema con progetti di diffusione di migliori tecniche di filiera, per mobilitare le risorse finanziarie necessarie alla nuova fase di sviluppo e per trovare maggiori sbocchi di mercato per i prodotti del riciclo. Solo così sarà possibile raggiungere gli obiettivi previsti dal Pacchetto europeo sull’Economia Circolare”.

Per quanto riguarda i Veicoli Fuori Uso (ELV), la filiera resta ancora lontana dal target europeo di recupero totale (del 95% al 2015), anche a causa dell’assenza di forme di recupero energetico.
Secondo le informazioni fornite dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), nel 2015 il numero dei veicoli immatricolati, rientranti nel campo di applicazione del D.Lgs. n.209/2003, presenta un incremento del 15,5% rispetto all’anno precedente, arrivando a 1,7 milioni di veicoli. L’età media del parco circolante passa da 11,6 anni a 12,6 anni, mentre le cancellazioni dal P.R.A. (Pubblico Registro Automobilistico) nel 2015 fanno registrare un incremento di quasi il 6% rispetto all’anno precedente e l’età media dei veicoli cancellati si mantiene sugli stessi valori del 2014, circa 14,8 anni. I dati ACI relativi alle radiazioni secondo le principali cause (demolizione, esportazione e altre cause) nel 2016 evidenziano come, a fronte di un aumento totale delle radiazioni, sia presente un aumento delle radiazioni per demolizione e una, seppur minima, diminuzione delle radiazioni per esportazione.

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Le esportazioni dei veicoli, comunque, sono notevolmente diminuite nell’ultimo triennio, passando da circa 754.000 veicoli nel 2013 a circa 504.000 nel 2015. Sulla questione occorre evidenziare che il Parlamento europeo e la Commissione europea hanno più volte focalizzato l’attenzione sul fenomeno delle esportazioni dei veicoli usati chiedendo agli Stati membri di mettere in atto strumenti di controllo e dissuasione delle esportazioni illecite. Una modifica dell’art. 103, del D.Lgs. n. 285/1992 “Nuovo codice della strada” contenuta nella Legge di Stabilità 2016 (art. 1, comma 964) ha previsto che chi vende un veicolo all’estero non lo possa radiare dal P.R.A. finché non prova che è stato reimmatricolato in un altro Paese. In particolare, per l’esportazione in Paesi extra UE l’Agenzia delle Dogane, con Nota n. 65802, del 7 giugno 2016, ha precisato che, fermo restando l’idoneità della bolla doganale e fattura con vidimazione doganale prevista dalle circolari ACI, l’avvenuta esportazione all’estero di un veicolo non può essere comprovata dal semplice DAE (Documento di Accompagnamento Esportazione) rilasciato dall’Ufficio doganale di esportazione, essendo necessario acquisire anche la prova dell’avvenuta uscita del veicolo dal territorio doganale dell’UE attraverso il sistema di tracciamento dei movimenti di esportazione (o di transito) e dal Movement Reference Number (MRN). Le radiazioni per esportazione in Paesi terzi, tra il 2014 ed il 2015, mostrano una flessione considerevole (-60%), passando da 83.459 veicoli a 33.399. Tale flessione potrebbe essere attribuita a quanto stabilito dall’Agenzia delle dogane.

Secondo i dati ISPRA, l’analisi dell’andamento delle percentuali di reimpiego, riciclaggio e recupero, a partire dal 2006, dopo l’iniziale miglioramento dovuto forse a una risposta positiva dell’intera filiera alla nuova legislazione e ai target europei, nonché a una fase di adattamento rispetto al metodo di dichiarazione delle informazioni, mostra, negli anni successivi, una sostanziale stabilità. Le carenze strutturali registrate si sono, dunque, perpetuate negli anni e nessun progresso si è registrato in particolare per il recupero energetico. Nel 2015 la percentuale di reimpiego e riciclaggio raggiunge l’84,6% del peso medio del veicolo, in linea con il target dell’85% previsto per il 2015 dall’art. 7, comma 2, del D.Lgs. 209/2003. Decisamente lontano, invece, appare il target del 95% previsto al 2015 per il recupero totale, infatti i dati attestano una percentuale pari all’84,7% evidenziando l’assenza di forme di recupero energetico che compromette pesantemente la possibilità di raggiungimento del target complessivo di recupero.
Il rifiuto prodotto dagli impianti di frantumazione rappresenta la frazione principale avviata a smaltimento e costituisce uno tra i maggiori problemi dell’intera filiera. Una corretta decontaminazione degli autoveicoli, viste le caratteristiche di potere calorifico possedute dal fluff, costituito essenzialmente da materiali organici, ne consentirebbe un efficace recupero energetico.

Per quanto concerne le problematiche cha affliggono il settore è importante ricordare che l’esportazione illegale di veicoli fuori uso continua a rappresentare un limite poiché sottrae grandi quantità di materiale ai centri di demolizione che re-immettono nel mercato ricambi usati e centinaia di migliaia di tonnellate di rottami di ferro necessari all’industria siderurgica nazionale che poi, la stessa, è obbligata a importare da altri Stati. A ciò deve aggiungersi il peggioramento del livello qualitativo del materiale in ingresso nei centri di demolizione: i veicoli che vengono conferiti negli impianti di autodemolizione e le relative parti di ricambio sono sempre meno recenti e di scarso valore. Inoltre, sempre più spesso, i veicoli giungono ai centri di raccolta autorizzati già cannibalizzati dei pezzi di ricambio, il che comporta un possibile danno ambientale cui si aggiunge il danno economico derivante dalla sottrazione di materiale (legittimamente destinato ai centri di demolizione) che va ad alimentare un mercato sommerso.

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Ai fini del raggiungimento dei target normativi, occorrerebbe intervenire in fase di progettazione/costruzione dei componenti dei veicoli (ad esempio cruscotti, imbottiture e rivestimenti dei sedili, etc.) che, per il momento, continuano a essere assemblati in maniera tale da rendere inefficaci le operazioni di recupero/riciclo, nonché con interventi normativi che consentano la valorizzazione energetica (tramite produzione di combustibile solido secondario) dei materiali ottenuti dalla frantumazione (il cosiddetto fluff), oggi destinati quasi totalmente alla discarica.


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