Sorpresa! Anche le auto sono responsabili della dispersione di plastiche in mare
Secondo l’Iucn tra le attività umane che generano microplastiche c’è anche la guida, che dà come effetto la produzione di polverino di gomma dovuto all’attrito dei pneumatici sull’asfalto.
L’inquinamento da microplastiche in mare è sempre più preoccupante, soprattutto perché la loro concentrazione sta aumentando di anno in anno.
A spiegare gli effetti della dispersione di microplastiche nell’ambiente, nello specifico in quello marino, è il Rapporto dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura: “Primary microplastics in the oceans : a global evaluation of sources”, presentato dal Global Marine and Polar Programme, soffermandosi sullo studio dell’inquinamento prodotto da microplastiche primarie (per intenderci, quelle prodotte direttamente da attività antropiche).
Oltre ad essere il primo Rapporto che studia le conseguenze di queste piccolissime particelle, si dimostra che tra il 15% e il 31% delle microplastiche presenti nell’oceano provengono proprio dalle primarie e che i Paesi sviluppati sono quelli che ne producono di più, proprio a causa degli impianti di trattamento dei rifiuti, dall’usura degli pneumatici delle vetture e dall’abrasione durante il lavaggio dei tessuti sintetici, molto diffusi.
Il Rapporto prende in considerazione 7 territori del mondo così suddivisi: Africa, Medio Oriente, Cina, Asia Orientale ed Oceania, Europa e Asia Centrale, India e Asia del Sud, America del Nord e America del Sud. Secondo le stime, il rilascio di microplastiche a livello globale è di 1,5 milioni di tonnellate all’anno, che corrisponde a circa 212 grammi di plastica gettata per persona a settimana in tutto il mondo.
Il Rapporto sottolinea che il 98% delle perdite di microplastiche primarie è generato da attività terrestri, mentre solo il restante 2% dalle attività in mare. Inoltre, il dato che più deve far riflettere è che l’inquinamento prodotto da attività umane a terra riguarda soprattutto attività domestiche: il 77% del totale, di cui il 29% è direttamente ascrivibile ai trasporti e il 48% dalle attività casalinghe.
Il dato che ci interessa maggiormente riguarda l’inquinamento prodotto dai veicoli circolanti. Stando ai dati del 2010, il Rapporto indica che in uso, a livello mondiale, ci sono circa 1.412,6 milioni di veicoli (0,3 veicoli per abitante). Il 71,2% di questi veicoli sono auto personali e veicoli commerciali leggeri, il 25,6% sono moto e il 3,1% sono veicoli commerciali medi e pesanti.
Tra il 2000 e il 2015, questo numero è stato in costante aumento (+78%). La maggior parte dei veicoli sono presenti in Asia (36%), con il 13% in Cina; in Europa (27%) e in Nord America (21%).
In questo caso è la gomma degli pneumatici ad inquinare gli oceani. Infatti, la gomma sintetica, realizzata grazie ad una mescola di vari polimeri, rappresenta circa il 57% nel 2010, che ha visto un aumento del 27,3% tra il 2002 e il 2010, trainato principalmente dalla Cina. Questo è un aumento inferiore alla crescita del consumo mondiale di gomma naturale nello stesso periodo (+ 41,2%). Le regioni che inquinano maggiormente attraverso l’usura dei pneumatici sono l’Europa, l’Asia Centrale e il Nord America.
Ovviamente, sappiamo che con il termine microplastica si fa riferimento a delle particelle di plastica di piccole dimensioni, minori di 5mm. Non bisogna assolutamente confondere le microplastiche con la plastica, materiale utilizzato in moltissimi campi.
Le microplastiche si suddividono in primarie e secondarie, entrambe invisibili ad occhio nudo. Le primarie sono quelle provenienti dall’attività umana a partire dall’utilizzo del materiale plastico; mentre le secondarie sono dovute alla frammentazione della plastica di grandi dimensioni. Le microplastiche possono trovarsi anche nei prodotti cosmetici, nell’abbigliamento e nei processi industriali.
Il Rapporto sottolinea che ogni regione presa in esame ha diversi quantitativi e diverse tipologie di inquinamento da microplastiche, ma il dato che li accomuna e che preoccupa è che ci sarà inevitabilmente un aumento di consumo e di inquinamento da plastica, in quanto molti Paesi affronteranno un periodo di crescita economica senza interessarsi alla problematica ambientale.
La maggior parte dei rilasci, per quanto riguarda le attività domestiche, avvengono attraverso l’uso di prodotti (49%) e la manutenzione dei prodotti (28%). In questo caso, ad inquinare maggiormente sono Cina, l’Oceania e il Sud ed Est asiatico. Le principali vie attraverso cui questo materiale arriva all’oceano sono: la strada (66%), i sistemi di trattamento delle acque reflue (25%) e il trasporto causato dal vento (7%).
“Le nostre attività quotidiane, come lavare i vestiti e guidare, contribuiscono in modo significativo all’inquinamento e al soffocamento dei nostri oceani, con effetti potenzialmente disastrosi per la ricca diversità della vita che ospitano e sulla salute umana – afferma la direttrice generale dell’Iucn Inger Andersen – Questi risultati indicano che dobbiamo guardare ben oltre la gestione dei rifiuti, se vogliamo affrontare l’inquinamento dell’oceano nella sua interezza. L’Iucn invita quindi la leadership del settore privato ad intraprendere la necessaria ricerca e sviluppo per avviare i cambiamenti produttivi necessari”.
Le iniziative e le norme volte ad una corretta gestione dei pneumatici fuori uso (PFU) e di un loro riciclaggio esistono, motivo per cui ci sono delle tasse, come il contributo ambientale, che il cittadino paga affinché si realizzi il loro corretto smaltimento, ma non sempre questo avviene nella piena legalità.
Inoltre, un altro problema a cui ancora non si è trovata una soluzione è quello a monte: cercare di inquinare di meno già dal primo utilizzo, creando prodotti ecosostenibili partendo dal presupposto di limitare il più possibile i danni ambientali.