PM 2,5: non è solo colpa del traffico se l’aria delle città è irrespirabile
Secondo una recente pubblicazione scientifica sul blog dell’Environmental Protection Agency statunitense (EPA), gli elevati quantitativi di PM 2,5 presenti nell’aria nelle zone limitrofe alle principali arterie urbane non dipendono solo ed esclusivamente dal volume del traffico automobilistico. La colpa è di tanti fattori, tra cui anche la segnaletica stradale.
Alcuni ricercatori americani hanno lasciato tutti stupefatti dichiarando pochi giorni fa che l’inquinamento delle nostre città non dipende solo dal traffico, dal clima, dalle industrie ma anche dalla semplice e “innocua” segnaletica stradale, che, in una certa misura, determina il flusso del traffico stesso.
La pubblicazione scientifica, rilanciata dal blog dell’Environmental Protection Agency statunitense (EPA), è frutto di un’analisi effettuata a Portland in cui sono stati esaminati e sovrapposti i dati statistici sulle condizioni del traffico a misurazioni dirette 24 ore su 24 della qualità dell’aria.
La ricerca ha evidenziato che, in particolare, gli elevati quantitativi di PM 2,5 presenti nell’atmosfera nelle aree limitrofe alle principali arterie urbane della cittadina americana non dipendono solo ed esclusivamente dal volume del traffico automobilistico, ma da tanti altri fattori tra cui: le condizioni meteorologiche, il livello di inquinamento regionale, la correlazione riscontrata tra traffico e concentrazioni di ossidi di azoto, e soprattutto la necessità di adottare politiche adeguate per combattere l’inquinamento a cominciare proprio da una nuova segnaletica stradale.
Il PM 2,5, particolato fine con diametro inferiore a 2,5 µm (un quarto di centesimo di millimetro), è una polvere in grado di penetrare profondamente nei nostri polmoni e causare gravi patologie a carico sia dell’apparato respiratorio (asma, bronchiti, enfisema, allergia e soprattutto tumori) che cardio-circolatorio (nei soggetti predisposti). Questo pulviscolo atmosferico rappresenta l’insieme delle sostanze sospese in aria (fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi o solidi) considerate oggi di maggiore impatto e rischio per la salute umana nelle aree urbane. Per le PM 2,5 dal 2011 è scattato l’obbligo del monitoraggio con l’obiettivo di raggiungere un valore limite medio annuo fissato a 25 µg/m³.
Lo studio americano, realizzato da un team guidato da Christine Kendrick, membro del Portland Bureau of Transportation, è stato portato a termine con la collaborazione dello stesso EPA: i suoi risultati sono contenuti in un volume di 132 pagine dal titolo “Diurnal and seasonal variations of NO, NO2 and PM 2,5 mass as a function of traffic volumes alongside an urban arterial“.
Nel presentare i riscontri del lavoro nel blog dell’EPA, Christine Kendrick ha evidenziato la correlazione tra traffico e concentrazioni di ossidi di azoto e la necessità di adottare nuovi piani urbanistici per fronteggiare l’emergenza smog ed evitare lo sforamento dei tetti delle polveri sottili. “Prima di tutto occorre creare politiche innovative a livello globale in grado di combattere l’inquinamento delle nostre città – ha affermato la Kendrick – Secondo il nostro studio un importante punto di partenza sarebbe proprio quello di ripensare la segnaletica stradale che è essenziale per la sicurezza sulle nostre strade, ma può anche creare situazioni di traffico capaci di provocare ripercussioni negative sulla qualità dell’aria, in particolare nelle ore di punta, con situazioni di marcia stop and go“.
“Per questo è necessario analizzare ogni singola zona o quartiere delle nostre città – ha concluso la Kendrick – per capire se è possibile modificare e al tempo stesso ottimizzare la segnaletica presente. Solo così riusciremo sul serio a ridurre le emissioni nocive dei veicoli in un bilanciamento con altre esigenze come i tempi di spostamento e la sicurezza“.