La Cassazione torna sul concetto di veicolo fuori uso

Anche se in area privata un mezzo in stato di abbandono è considerato “fuori uso”.

sentenza giugno

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul caso di un’officina meccanica che utilizzava nella propria area privata due autocarri non più funzionanti (senza motore né parti meccaniche) come deposito per gli attrezzi che i meccanici usavano quotidianamente per il loro lavoro.

Ancora una volta la Cassazione ha ribadito che un veicolo per essere considerato fuori uso e quindi rifiuto è sufficiente che sia abbandonato o comunque destinato all’abbandono, non nel senso di “res nullius“, ossia che non appartenga a nessuno, ma in quello traslato – funzionale di cosa (o parte di cosa) non più idonea allo scopo per il quale era stata originariamente costruita.

I mezzi in questione, quindi, sebbene utilizzati come deposito, hanno completamente perso la loro funzione originale e vanno quindi considerati veicoli fuori uso. Si tratta di rifiuti a tutti gli effetti, anche se ancora non sono stati materialmente consegnati a un centro di raccolta e siano in evidente stato di abbandono.

La Cassazione ha più volte ribadito, infatti, che un mezzo fuori uso è il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privo delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta.

Inoltre, un veicolo diventa rifiuto nei casi previsti dal d.lgs. 209 del 2003, ossia:
– con la consegna ad un centro di raccolta, effettuata dal detentore direttamente o tramite soggetto autorizzato al trasporto di veicoli fuori uso oppure con la consegna al concessionario o gestore dell’autornercato o della succursale della casa costruttrice che, accettando di ritirare un veicolo destinato alla demolizione nel rispetto delle disposizioni del presente decreto rilascia il relativo certificato di rottamazione al detentore;
– nei casi previsti dalla vigente disciplina in materia di veicoli a motore rinvenuti da organi pubblici e non reclamati;
– a seguito di specifico provvedimento dell’autorità amministrativa o giudiziaria;
– in ogni altro caso in cui il veicolo, ancorché giacente in area privata, risulta in evidente stato di abbandono.

Di seguito la sentenza:

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

TERZA SEZIONE PENALE

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da *omissis*,
avverso la sentenza del 21/10/2013 del Tribunale di *omissis*;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere *omissis*;
udito il Pubblico Ministero, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Il sig. *omissis* ricorre per l’annullamento della sentenza del 21/10/2013 del Tribunale di *omissis* che l’ha condannato alla pena di € 3.000,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, perché, quale titolare dell’omonima impresa individuale esercente
attività di officina meccanica, aveva effettuato il deposito incontrollato di due veicoli fuori uso; fatto accertato il 29/07/2010.

1.1.Con unico motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., erronea applicazione dell’art. 256, d.lgs. 152 del 2006 e deduce, a tal fine, che i due mezzi, privi di motore e di parti meccaniche, erano costituiti da telai con sovrastanti cassoni nei quali conservava gli attrezzi che non trovavano più
spazio all’interno dell’officina. Si trattava, insomma, di beni utilizzati quotidianamente e che non potevano essere considerati rifiuti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

3. A norma dell’art. 3, comma 1, lett. b), d.lgs. 24/06/2003, n. 209, sono definiti «veicoli fuori uso» i veicoli a motore appartenenti alle categorie M1 e N1 di cui all’allegato II, parte A, della direttiva 70/156/CEE, ed i veicoli a motore a tre ruote come definiti dalla direttiva 2002/24/CE, con esclusione dei tricicli a motore, a fine vita che costituiscono un rifiuto ai sensi dell’art. 6, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (oggi 183, lett. a, d.lgs. 152 del 2006).
A norma dell’art. 3, comma 2, d.lgs. 209 del 2003, un veicolo è classificato fuori uso, ai sensi del precedente comma 1, lett. b):
« a) con la consegna ad un centro di raccolta, effettuata dal detentore direttamente o tramite soggetto autorizzato al trasporto di veicoli fuori uso oppure con la consegna al concessionario o gestore dell’autornercato o della succursale della casa costruttrice che, accettando di ritirare un veicolo destinato alla demolizione nel rispetto delle disposizioni del presente decreto rilascia il relativo certificato di rottamazione al detentore;
b) nei casi previsti dalla vigente disciplina in materia di veicoli a motore rinvenuti da organi pubblici e non reclamati;
e) a seguito di specifico provvedimento dell’autorità amministrativa o giudiziaria;
d) in ogni altro caso in cui il veicolo, ancorché giacente in area privata, risulta in evidente stato di abbandono».

Il successivo comma 3 aggiunge che «non rientrano nella definizione di rifiuto ai sensi del comma 1, lettera b), e non sono soggetti alla relativa disciplina, <<i veicoli d’epoca e i veicoli di interesse storico o collezionistico o destinati ai musei, conservati in modo adeguato, pronti all’uso ovvero in pezzi smontati.
L’art. 1, D.M. (Ministero dell’Interno) 22 ottobre 1999, n. 460, considera in stato di abbandono i veicoli a motore privi di parti essenziali per l’uso o la conservazione, rinvenuti in aree ad uso pubblico e non oggetto di denunzia di furto.

Ne consegue che i veicoli fuori uso, come definiti dall’art. 3, commi 1 e 2, d.lgs. 209 del 2003, sono sempre considerati rifiuti (arg. ex comma 3 stesso articolo), anche quando non siano stati ancora materialmente consegnati dal detentore ad un centro di raccolta e siano in evidente stato di abbandono.
3.1.Questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale in tema di gestione dei rifiuti, deve essere considerato “fuori uso” in base alla disciplina di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 209 del 2003, sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privo delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata (Sez. 3, n. 40747 del 02/04/2013, De Mariani, Rv. 257283; Sez. 3, n. 04/03/2005, D’Agostino, Rv. 231639; Sez. 3, n. 33789 del 23/06/2005, Bedini, Rv. 232480; Sez. 3, n. 22035 del 13/04/2010, Brilli, Rv. 247625).

3.2.Prima ancora dell’entrata in vigore del d.lgs. 203 del 2009, peraltro, questa Corte aveva precisato che rientrano nella nozione di rifiuti speciali i veicoli a motore, i rimorchi e loro parti e che a tal fine è necessario che si tratti di mezzi non più usabili come tali, anche se ancora non privi di valore economico. È cioè sufficiente che si tratti di oggetti abbandonati o destinati all’abbandono, non nel senso di “res nullius”, bensì in quello traslato – funzionale di cosa (o parte di cosa) non più idonea allo scopo per il quale era stata originariamente costruita (Sez. 3, n. 4362 del 18/03/1991, Gallello, Rv. 186811).

3.3. Nel caso di specie si tratta di due autocarri, ormai privi di motore e di parti meccaniche, appoggiati su pannelli di legno, situati nell’area antistante l’officina meccanica ed utilizzati come deposito degli attrezzi di lavoro, di veicoli non più destinati al loro uso e dunque in evidente stato di abbandono.

3.4.Lo stato di abbandono deve essere valutato in relazione alle condizioni oggettive del veicolo che lo rendono non più idoneo all’uso, non al diverso utilizzo che il detentore ne faccia.

3.5.Ne consegue che costituisce reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. 152 del 2006, l’utilizzo, da parte del titolare di un’impresa, della carcassa di un veicolo a motore come ricovero per gli strumenti di lavoro.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 20/01/2015


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