Cosa succede quando il prezzo del petrolio crolla?
È sceso (di poco) il costo della benzina, l’Italia ha aumentato il PIL, le rinnovabili non ne hanno risentito ma sono in difficoltà le auto green. Prepariamoci al rimbalzo.
Da meno di un anno assistiamo al calo vertiginoso del prezzo del petrolio, attualmente a circa 48 dollari al barile, lo stesso barile che 150 anni fa conteneva il whisky in Pennsylvania. Rispetto a giugno scorso, quando il greggio era oltre i 110 dollari, il crollo è stato del 40-50%.
Secondo il Financial Times, questa situazione potrebbe mettere in seria difficoltà il mercato delle auto green, in particolare quelle ibride ed elettriche, e potrebbe creare un freno per la ricerca sui biocarburanti. Il motivo è ovvio: con il calo della benzina, la concorrenza delle auto ad alimentazione tradizionale diventa spietata.
Eppure il tanto atteso calo, non è stato poi così automatico. Benzina e diesel si sono adeguati ma con estrema lentezza.
Nonostante il greggio sia sceso del 50%, la benzina è diminuita solo del 14%. Del resto non ci aspettavamo un calo del 50% anche del carburante, dato che solo le accise pesano per il 52% sul prezzo al litro.
Secondo Nomisma Energia, una società indipendente di ricerca in campo energetico e ambientale che ogni giorno calcola quale dovrebbe essere il prezzo ottimale dei carburanti, il prezzo effettivo della benzina in Italia è più alto di 5,9 centesimi rispetto a quello ottimale, e sul prezzo del gasolio la differenza (a svantaggio degli automobilisti) è di 6,1 centesimi.
Tuttavia, le stime degli ultimi giorni di gennaio hanno finalmente segnato una leggera contro-tendenza, il prezzo alla pompa della benzina, rispetto a quello ottimale, è inferiore di 0,5 centesimi al litro e quello del gasolio di 0,3.
Sebbene il calo del greggio abbia creato una certa incertezza nei mercati e in particolare nel settore delle rinnovabili, Adnan Amin, direttore generale della Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, (Irena), si è detto fiducioso sugli sviluppi futuri, spiegando che il settore si è radicalmente trasformato come si evince dal Rapporto “Renewable Power Generation Costs in 2014”, presentato la settimana scorsa ad Abu Dhabi in occasione del World Future Energy Summit.
Geotermia, idroelettrico, biomasse ed eolico onshore hanno raggiunto la grid parity, quindi l’energia elettrica prodotta da tali fonti ormai costa come quella prodotta dalle fonti fossili tradizionali. Senza incentivi e nonostante il basso prezzo del petrolio, alcune sono addirittura più convenienti delle centrali a carbone, petrolio e gas. I costi per l’eolico off-shore sono ancora troppo elevati ma quelli per l’energia solare hanno avuto il calo maggiore. Secondo Irena, infatti, il prezzo dei pannelli è sceso del 75% dal 2009, e il totale dei costi degli impianti solari su larga scala installati tra il 2010 e il 2014, addirittura del 65%.
Nelle rinnovabili del resto investe soprattutto chi il petrolio lo produce.
Sempre ad Abu Dhabi un mese fa durante la conferenza organizzata dal National Media Council, il Ministro dell’Energia degli Emirati Arabi Uniti, Suhail Mohamed Faraj Al Mazrouei aveva assicurato che il petrolio rappresenta solo il 30% del loro PIL e che è in via di adozione una nuova strategia per la diversificazione delle fonti di energia (nucleare, idrocarburi e rinnovabili). Quattro centrali nucleari da 1.400 MW forniranno il 25% del fabbisogno di energia elettrica nel 2020 ed entro il 2030 il 15% dell’energia sarà prodotta da fonti rinnovabili. Come dire, l’oro nero comincia a diventare verde…
Se il calo del petrolio non ha destato particolare preoccupazione, per l’Italia sarà un momento per tirare il fiato e approfittare della riduzione dei prezzi interni sia nel breve termine (prezzi dei carburanti) sia nel medio periodo (prezzi degli altri beni, i cui costi di produzione si abbassano). Stando attenti però al rischio della deflazione dei prezzi al consumo. In Italia nel 2013 si sono consumate 39,9 tonnellate di petrolio per ogni milione di euro di PIL, dalle 67,8 nel 1995. In ogni caso il calo del petrolio ha portato al nostro Paese un guadagno di 14 miliardi annui, secondo i dati del Rapporto di dicembre “Il rebus della ripresa” del Centro Studi Confindustria. Nel Rapporto si evince che l’impatto sarà dello 0,3% sul PIL italiano 2015 e un altro +0,5% nel 2016. Sommando tale impatto a quelli del cambio e del commercio mondiale, aggiunge al PIL italiano oltre lo 0,8% nel 2015 e quasi l’1% nel 2016.
Ma quanto durerà questo calo? Poco, secondo certi analisti.
I primi mesi del 2015 confermeranno il calo ed è previsto un lieve rialzo verso giugno ma senza superare i 70-75 dollari.
Tuttavia, altri analisti prevedono invece un forte effetto rimbalzo.
Attualmente il calo del greggio ha diminuito i costi per consumatori e aziende di tutto il mondo, aumentando così la possibilità di spesa e di investimento. Alla conseguente crescita economica e quindi all’aumentare dei consumi energetici, il prezzo del petrolio tornerà a crescere, amplificando così l’effetto al rialzo.
… è la benzina tornerà alle stelle in un attimo!