NON TUTTI I VEICOLI FUORI USO SONO RIFIUTI
Il nostro ordinamento giuridico prevede accanto alla disciplina generale in materia di rifiuti una disciplina specifica per i veicoli fuori uso.
Secondo il D. L. 2003/209 il veicolo fuori uso è un rifiuto. Sono compresi quelli di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, quelli destinati alla demolizione e anche quelli che sono in evidente stato di abbandono, anche se situati in un’area privata.
Questa norma, però, prevede un’interessante deroga: i veicoli che vengono definiti “d’epoca” o comunque, di “interesse storico o collezionistico” sono considerati una categoria a parte, non essendo definiti quali rifiuti, purché siano “conservati in modo adeguato, pronti all’uso ovvero in pezzi smontati”.
Escludere i veicoli d’epoca dalla categoria generica di quelli “fuori uso” rientra nell’ottica di valorizzare e di conseguenza tutelare i veicoli storici destinati al collezionismo.
Questa tipologia di veicoli non può più contare sulla produzione corrente di pezzi di ricambio, quindi, è necessario, per quanto li riguarda, prevedere una completa utilizzazione di tutte le parti ancora esistenti e in qualche modo reperibili.
Ovviamente, anche se esiste questa deroga ci sono delle regole da rispettare.
La raccolta e la custodia di veicoli aventi epoca di produzione e prima immatricolazione ultra ventennale devono risultare, ad un eventuale controllo, conformi alle finalità di restauro e reimpiego, rispettando l’affermazione presente nel Decreto che li vuole, appunto, “conservati in modo adeguato”.
La deroga riguardante i veicoli d’epoca ha indubbiamente giovato a due soci di Montepulciano che erano stati condannati dal giudice per aver “realizzato e gestito un impianto di recupero di rifiuti non pericolosi, e cioè autoveicoli fuori uso, senza la prescritta autorizzazione”.
La Corte di Cassazione, sezione penale, ha riconosciuto valido, tramite Sentenza n. 2531 del 24/10/2012, il ricorso presentato dal Difensore dei due soci. Nel documento si lamenta l’errata applicazione della legge, in quanto, l’impianto gestito dai due soci condannati è volto alla riparazione, al restauro e al commercio di autovetture d’epoca, quindi, perfettamente in linea con la deroga prevista dalla legge in materia di veicoli “fuori uso”.
(di seguito il testo completo della sentenza)
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Terza Sezione Penale
composta da:
Alfredo Maria Lombardi Presidente
Luigi Marini Relatore
Elisabetta Rosi
Chiara Graziosi
Alessandro Maria Andronio
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
… omissis …
… omissis …
avverso la sentenza del 24/10/2011 emessa al termine del rito abbreviato dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Montepulciano, che li ha condannati ciascuno alla pena di 3.000,00 in ordine al reato ex art. 256, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006, accertato il 23/11/2009;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Mario Fraticelli, che ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza con rinvio;
udito per l’imputato l’Avv. …omissis…, che ha concluso chiedendo accogliesi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24/10/2011 emessa al termine del rito abbreviato richiesto con opposizione a decreto penale di condanna,dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Montepulciano ha condannato ciascuno dei ricorrenti odierni alla pena di euro 3.000,00 in ordine al reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006, accertato il 23/11/2011.
Il giudice ha ritenuto che gli imputati, soci amministratori di ...omissis…, abbiano realizzato e gestito un impianto di recupero di rifiuti non pericolosi, e cioè autoveicoli fuori uso, senza la prescritta autorizzazione.
2. Avverso tale decisione i sigg. ...omissis… propongono ricorso
tramite il Difensore, lamentando:
1) Errata applicazione ai legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. e vizio di motivazione ai sensi del’606, lett. e), cod. proc. pen. per avere il giudicante:
a. erroneamente qualificato come “rifiuti” gli automezzi che la ditta dei ricorrenti conservano e utilizzano nell’ambito di attività di impresa: riparazione, restauro e commercio di autovetture d’epoca, attività svolta nel rispetto della disciplina in materia di inquinamento ambientale (rispetto accertato dall’Arpat). Tale attività è sottratta alla disciplina sui rifiuti prevista dal d.lgs. 5 febbraio 19997, n. 22 e successive modifiche, e ciò ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209;
b. erroneamente richiesto che i veicoli per essere sottratti alla disciplina in materia di rifiuti debbano essere “iscritti nei registri”, requisito che viene richiesto per la messa in circolazione del veicolo, ma non per la sua qualificazione come “d’interesse storico”: tale qualificazione discende dal citato d.lgs. 209 e dalla Circolare del Ministero dei Trasporti n. 79260 del 4 ottobre 2010;
c. erroneamente valutato solo sulla base di documenti e fotografie, e sulla base di date certe di immatricolazioni, alcuni veicoli come non riconducibili alla categoria di interesse storico, e ciò senza compiere necessari e possibili accertamenti
2) vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, cod. proc. pen. per avere il giudicante omesso di considerare il contenuto favorevole alla difesa degli accertamenti compiuti 6/6/2011 dal Corpo Forestale dello Stato
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene che la disciplina introdotta dal d.lgs. 24/6/2003, n. 209 in tema di rifiuti con riferimento ai veicoli a motore non lasci dubbi circa il fatto che il concetto di veicolo da considerarsi “rifiuto” in quanto “fuori uso”, come da comma 1, lett. b), e come da successive articolazioni contenute nel comma 2 (in particolare lett. d), trovi nel comma 3 (come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 23/2/2006, n. 149)una espressa deroga per quelli che vengono definiti “veicoli d’epoca” o “di interesse storico o collezionistico”. Tali categorie, infatti, non sono ricomprese nella definizione di “rifiuto ai sensi del comma 1, lett. b)”, a condizione che i veicoli stessi siano “conservati in modo adeguato, pronti all’uso, ovvero in pezzi smontati”.
2. Muovendo da tale premessa normativa, la Corte ritiene che il ricorso meriti almeno parziale accoglimento.
Il Tribunale, nella lunga e articolata motivazione, procede a un esame della situazione di fatto muovendo da principi interpretativi che questa Corte ha fissato per le attività di autodemolizione; tale è certamente il giudizio per cui “la valutazione in ordine alla natura del pezzo di ricambio deve essere invero compiuta con riferimento alla fonte da cui esso proviene e non dall’impiego che ne deve essere fatto” e ciò al fine di evitare che la procedura di recupero finisca per avere un impatto negativo sull’ambiente. Si tratta di impostazione che si muove lungo una linea interpretativa coerente con con la logica della gestione dell’auto fuori uso quali definite in termini generali, ma non appare rispettosa della specificità della disciplina fissata per le c.d. auto storiche dalle norme sopra richiamate.
3. Appare evidente alla Corte che la normativa introdotta col decreto legislativo citato, e successive modifiche, abbia come obiettivo la tutela e la valorizzazione delle auto storiche e destinate al collezionismo, per le quali l’uscita di produzione e l’assenza di nuova e attuale produzione di parti di ricambio richiede la piena utilizzazione di tutte le parti ancora esistenti e reperibili e richiede interventi di manutenzione e riparazione in qualche modo specializzati. Questo non significa che per i veicoli aventi epoca di produzione e prima immatricolazione ultraventennale si possa procedere mediante qualsiasi forma di raccolta e di custodia senza senza incorrere nei limiti e nelle garanzie previste dalla normativa in tema di rifiuti. È sufficiente osservare che il comma 3 sopra richiamato richiede che si sia in presenza di veicoli e parti di ricambi “conservati in modo adeguato” anche con riferimento ai veicoli che non sono “pronti all’uso”. In tale prospettiva l’esame della natura delle auto non circolanti e dei pezzi di ricambio deve avvenire non nell’ottica di verificare quale sia la provenienza, bensì quale sia il loro impiego, così rovesciando l’impostazione interpretativa data dal tribunale. Con la conseguenza che i veicoli e i pezzi smontati potranno essere ricondotti alla categoria di “rifiuto” nei casi in cui non appaiono conformi alle finalità di restauro o di reimpiego in considerazione delle caratteristiche intrinseche e delle modalità di conservazione.
4. Alla luce di tali considerazioni la sentenza deve essere annullata con rinvio al Tribunale affinché preveda, nel rispetto dei principi interpretativi fissati con la presente decisione, ad un nuovo esame dei fatti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Montepulciano.
Così deciso il 24/10/2012