RIBADITO LO STATUS DI RIFIUTO ANCHE PER L’AUTOVEICOLO PROVVISTO DI TARGA
Qual ora sia evidente la volontà di abbandono e l’impossibilità per lo stesso di essere posto in circolazione.
È “evidente che il mezzo, privato del motore e degli arredi interni non può in alcun modo essere posto in circolazione” e che quindi va considerato rifiuto, anche in presenza della targa.
Infatti, malgrado una precedente Sentenza della Cassazione abbia stabilito che “i mezzi dotati di targa non possano mai essere considerati tali” (cioè rifiuti), è pur vero che proprio lo stesso pronunciamento stabilisce che a qualificare un’auto come rifiuto, concorrono una serie di elementi indicativi di una volontà di abbandono come, per l’appunto, lo stato di totale abbandono del mezzo sì da rendere praticamente impossibile che esso possa continuare a svolgere la funzione che le è propria.
Tra l’altro, la giurisprudenza in materia di abbandono e smaltimento illecito di rifiuti, tanto più quelli costituito da autoveicoli a fine vita o parti di essi (rifiuti speciali), è piuttosto consolidata.
Anche di recente, è stato detto e ribadito, che le vetture assumono il carattere di rifiuti speciali fin dal momento in cui vengono “dimesse dal proprietario o possessore” (Sez. III, 21.9.1998, Boccanera, Rv. 212045) e che (Sez. III, 21.6.11, Rigotti, Rv. 251020), affinché un veicolo dismesso possa considerarsi rifiuto pericoloso è necessario che sia fuori uso (v. anche: Sez. III, 6.6.06, Pezone, Rv. 235055).
Inoltre, deve essere considerato fuori uso anche il veicolo “che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata”.
A stabilirlo è una recente Sentenza della Cassazione che pubblichiamo per esteso a maggior informazione dei Lettori, così come desunto dal sito: www.lexambiente.it
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, III Sezione Penale
composta dai Signori:
dott. Aldo Fiale Presidente
dott. Silvio Amoresano Consigliere
dott.ssa Guicla Mulliri Consigliere rel.
dott. Luigi Marini Consigliere
dott. Giulio Sarno Consigliere
all’esito dell’udienza pubblica del 20 dicembre 2011; ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente Sentenza, sul ricorso proposto da (omissis) imputato art. 255 co. 3 in rel. art 192 D.L.vo 152/06 avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste in data 1.2.11
Sentita in udienza la relazione del Consigliere Guicla Mulliri;
sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Nicola Lettieri, che ha chiesto una declaratoria di inammissibilità
osserva
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza oggetto di ricorso, è stata confermata la condanna inflitta all’odierno ricorrente accusato di avere violato l’art. 255 co. 3 in rel. art 192 D.L.vo 152/06 per non avere ottemperato all’ordinanza dirigenziale con la quale il Comune di Gorizia gli aveva intimato di rimuovere l’autovettura Fiat Uno da lui abbandonata e di provvedere al corretto smaltimento del rifiuto predetto.
Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:
1) violazione di legge perché la Corte ha erroneamente considerato rifiuto un’autovettura, che, sebbene priva del motore, era ancora munita di targa. Non si trattava quindi di rifiuto bensì di veicolo ancora in grado di funzionare con le opportune riparazioni (tanto è vero che non erano state contestate neppure l’assenza di bollo e assicurazione);
2) violazione di legge in relazione alla pena inflitta da ritenere eccessiva in relazione alla modesta entità del fatto ed al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, vista anche la possibilità di conversione della pena detentiva in quella pecuniaria.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
2. Motivi della decisione – Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
Si rileva innanzitutto, che il ricorrente ripropone, in questa sede, le medesime censure svolte di fronte ai giudici di secondo grado. Considerato che – come si dirà meglio qui di seguito – la Corte ha puntualmente esaminato tali doglianze e vi ha dato replica disattendendole motivatamente, ciò rende i motivi stessi non specifici ma soltanto “apparenti”, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. V, 27.1205, Giagnorio, Rv. 231708).
Passando ad esaminarla in dettaglio, la decisione oggetto di gravame, risulta completa e ben articolata nel replicare alla medesima censura qui in discussione.
Innanzitutto, si sottolinea che anche i dati di fatto deponevano nel senso di trovarsi di fronte ad un “rifiuto” essendo “evidente che il mezzo, privato del motore e degli arredi interni non può in alcun modo essere posto in circolazione”. Salva
Ad ogni buon conto l’argomento (dell’esistenza della targa) speso dal ricorrente evocando una sentenza di questa S.C. che aveva annesso natura di rifiuto all’auto priva di targa, viene bene contrastato logicamente in questo caso che non è valido, a contrariis, in assoluto il principio secondo cui “i mezzi dotati di targa non possano mai essere considerati tali” (cioè rifiuti).
Giustamente, infatti, il giudice di secondo grado sottolinea anche che proprio la sentenza di questa S.C. citata dal ricorrente ha valorizzato il fatto che, a qualificare un’auto come rifiuto, concorrono una serie di elementi indicativi di una volontà di abbandono come, per l’appunto, lo stato di totale abbandono del mezzo sì da rendere praticamente impossibile che esso possa continuare a svolgere la funzione che le è propria.
Del resto, è giurisprudenza consolidata in materia di abbandono e smaltimento di rifiuti che gli autoveicoli fuori uso e le loro parti costituiscono rifiuti speciali (Sez. III, 16.12.99, n. 1899). Anche di recente, è stato detto e ribadito, che le vetture assumono il carattere di rifiuti speciali fin dal momento in cui vengono “dimesse dal proprietario o possessore” (Sez. III, 21.9.1998, Boccanera, Rv. 212045) e che (Sez. III, 21.6.11, Rigotti, Rv. 251020), affinché un veicolo dismesso possa considerarsi rifiuto pericoloso è necessario che sia fuori uso (v. anche: Sez. III, 6.6.06, Pezone, Rv. 235055). è quindi, del tutto conferente la sottolineatura – da parte dei giudicio di secondo grado – della frase di questa S.C. in cui si dice che deve essere considerato fuori uso anche il veicolo “che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata” (f.4).
Sono ingiustificate anche le doglianze formulate con il secondo motivo visto che la Corte, anche in punto di pena, fornisce una risposta adeguata, corretta giuridicamente e logica. In particolare, la Corte ha sicuramente condiviso il giudizio di primo grado circa il “modesto disvalore del fatto”, tuttavia, non ha neppure potuto fare a meno di considerare “che omissis ha riportato numerose condanne per delitti contro il patrimonio, … contro la persona… nonché per i reati contro l’amministrazione e la pubblica tranquillità”.
Correttamente sono state escluse nuovamente le attenuanti generiche “sia per le ragioni appena evidenziate, sia per l’assenza di circostanze di fatto valutabili in favore dell’imputato” ed, infine, la richiesta di sostituzione della pena detentiva in pecuniaria è stata giustificata con richiamo ai numerosi precedenti considerati “ostativi”. Del resto, se è vero che, nel decidere su una istanza di conversione della pena detentiva in pecuniaria, il giudice deve avere riguardo ai parametri di cui all’art. 133 c.p., è anche vero che ciò non implica (Sez. V, 26.1.11, Orabona, Rv. 249717) che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quale nella specie, la personalità negativa dell’imputato alla luce dei numerosi precedenti e, conseguentemente, la inadeguatezza, sul piano della deterrenza, della sanzione invocata.
Non si può neppure fare a meno di osservare, da ultimo, che il motivo di ricorso qui in commento è stato formulato anche in modo generico.
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000.
PQM
Visti gli artt. 637 e ss. c.p.p. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 20 dicembre 2011.