È OBBLIGATORIA LA CONFISCA DEL MEZZO DI TRASPORTO

Già più volte, sulle pagine del Notiziario, abbiamo sottolineato come per i reati che ricadono nella fattispecie di cui all’articolo n. 256 (attività di recupero e smaltimento di rifiuti speciali in difformità rispetto alla comunicazione di inizio attività), è giocoforza l’obbligatorietà della confisca del mezzo di trasporto. Nel caso di seguito preso in esame: “Il giudice ha anche correttamente osservato che era irrilevante la circostanza che il veicolo fosse di proprietà di un soggetto diverso dal suo conducente, dato che si trattava comunque di un soggetto che, avuto riguardo alla attività svolta dall’imputato, non poteva considerarsi estraneo al reato essendo il datore di lavoro dello stesso”, dal momento che “…il proprietario del veicolo non ha dato prova di averne vietato l’uso proibito e che peraltro il ricorrente appare non essere legittimato, non essendo la persona a cui il veicolo dovrebbe essere restituito, a dedurre la questione in questa sede”.

A maggior informazione dei Lettori, riportiamo, di seguito, il testo della Sentenza, così come estratto dalla pubblicazione sul Sito: www. Lexambiente.it

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione Terza Penale

Composta dagli ill.mi Sigg.ri:

Dott.ssa Giuliana Ferrua Presidente,
Dott.ssa Claudia Squassoni Consigliere,
Dott. Alfredo Maria Lombardi Consigliere,
Dott. Amedeo Franco (est.) Consigliere,
Dott.ssa Elisabetta Rosi Consigliere,

ha pronunciato la seguente SENTENZA

sul ricorso proposto da (omissis) avverso la Sentenza emessa l’11 marzo 2009 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Belluno;

udita nella Camera di Consiglio del 6 aprile 2011 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;

lette le conclusioni del Procuratore generale con le quali chiede l’inammissibilità del ricorso;

Svolgimento del processo

Con la Sentenza in epigrafe, emessa ai sensi dell’articolo 444 Cod. Proc. Pen., il GIP del Tribunale di Belluno applicò ad (omissis) la pena concordata tra le parti per il reato di cui all’articolo 256 comma 1 lett. a), D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per aver svolto attività di recupero e smaltimento di rifiuti speciali in difformità rispetto alla comunicazione di inizio attività, e dispose altresì la confisca del veicolo utilizzato. (Omissis) propone ricorso per Cassazione relativamente alla statuizione sulla confisca, deducendo:

che eventualmente avrebbe dovuto essere sequestrato il cassone scarrabile che permette di raccogliere i rifiuti e non il veicolo a cui il cassone viene agganciato; che la confisca può essere ordinata con Sentenza di patteggiamento solo nei casi in cui è obbligatoria; che nel capo di imputazione è stata contestata la condotta di recupero e di smaltimento, mentre nella Sentenza si parla di trasporto e smaltimento; che non poteva essere escluso il recupero, dato che i cassone era stato collocato su un angolo del cortile in attesa che fosse prelevato dalla ditta (omissis).

Motivi della decisione

Quanto alle doglianze sulla responsabilità dell’imputato, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, facendo richiesta di applicazione della pena, l’imputato rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa, o, in altri termini, non nega la sua responsabilità ed esonera l’accusa dall’onere della prova; la Sentenza che accoglie detta richiesta contiene quindi un accertamento ed un’affermazione implicita della responsabilità dell’imputato, e pertanto l’accertamento della responsabilità non va espressamente motivato (Sez. Un. 27 marzo 1992, Di Benedetto, m. 191.134); e che pertanto, nello speciale provvedimento di cui agli artt. 444 e segg. Cod. Proc. Pen. la Sentenza che applichi la pena “patteggiata” non può formare oggetto di ricorso per Cassazione per mancanza di motivazione sui presupposti di fatto della responsabilità dell’imputato, poiché la sussistenza di essi viene da lui ammessa in modo implicito, ma univoco, nel momento stesso in cui egli richiede il patteggiamento o aderisce ad analoga richiesta del P. M. (Sez. VI, 21 maggio 1991, Grimaldi, m. 188.084).
Quanto alla confisca, va innanzi tutto rilevato che il ricorso si basa su una giurisprudenza risalente a prima della modificazione del testo dell’art. 445 Cod. Proc. Pen. ad opera della Legge n. 134 del 2003, e quindi ormai superata.
Attualmente, infatti, “In tema di patteggiamento, l’estensione dell’applicabilità della confisca, per effetto della L. n. 134 del 2003, a tutte le ipotesi previste dall’art. 240 Cod. Pen., e non più solo a quelle previste come ipotesi di confisca obbligatoria, impone al giudice di motivare le ragioni per cui ritiene di dover disporre la confisca di specifici beni sottoposti a sequestro, ovvero, in subordine, quelle per cui non ritiene attendibili le giustificazioni eventualmente addotte in ordine alla provenienza del denaro o dei beni confiscati” (Sez. VI, 16.4.2010, n. 17266, Trevisan, m. 247085).

Nel caso di specie, comunque il giudice ha correttamente motivato la confisca sulla base dell’art. 259, comma 2, D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in base al quale alla Sentenza di condanna o a quella emessa ai sensi dell’art. 444 Cod. Proc. Pen., per i reati relativi al trasporto illecito di cui all’art. 256, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto.
Il giudice ha invero richiamato la giurisprudenza di questa Sezione, secondo cui la confisca del mezzo di trasporto va disposta “in caso di condanna per il reato di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione dei rifiuti in difetto di autorizzazione, di cui all’art. 256 del citato decreto n. 152” (Sez. III 15.11.2006, n. 42227, Gironda, m. 235406).
In ogni modo, anche a voler ritenere che non si applichi la norma speciale e che si tratti di una ipotesi di confisca facoltativa, il giudice ha correttamente motivato in proposito, osservando che era stata accertata l’utilizzazione del mezzo attualmente in sequestro in occasione della attività di conferimento e smaltimento di rifiuti avvenuta nel caso in esame.

Il giudice ha anche correttamente osservato che era irrilevante la circostanza che il veicolo fosse di proprietà di un soggetto diverso dal suo conducente, dato che si trattava comunque di un soggetto che, avuto riguardo alla attività svolta dall’imputato, non poteva considerarsi estraneo al reato essendo il datore di lavoro dello stesso.

Esattamente, poi, il Procuratore generale, nella sua requisitoria scritta, ha osservato che il proprietario del veicolo non ha dato prova di averne vietato l’uso proibito e che peraltro il ricorrente appare non essere legittimato, non essendo la persona a cui il veicolo dovrebbe essere restituito, a dedurre la questione in questa sede.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 Cod. Proc. Pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possono far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in € 1.500,00.

Per questi motivi La Corte Suprema di Cassazione

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2011.

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2011

 

 

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