LA TEORIA DEI SETTE SPRECHI – I COSIDDETTI “MUDA”
Proseguiamo, in questo numero, la riflessione su suggerimenti e processi per l’ottimizzazione dei cicli produttivi e l’intercettazione di risorse e finanziamenti iniziata dal Consulente Aziendale, Ing. Paolo Melchiorre, alle pagg. 26-27 del numero di Dicembre del Notiziario Autodemolitori. Dopo aver preso in considerazione il fattore Tempo, in questo numero l’Autore propone una sua riflessione sugli effetti economici dello “spreco” ed i vantaggi dell’ottimizzazione dei processi. Esamineremo ora quello che è ritenuto il peggiore ed il più comune elemento di diseconomia del processo aziendale: “lo spreco”. La casa automobilistica giapponese Toyota è stata la prima, negli anni 50, ad analizzare il processo produttivo dell’azienda per ridurre, innanzitutto, il problema degli sprechi aziendali.
“Muda” è appunto il concetto giapponese che significa “spreco”. Sulla base di questo metodo di analisi aziendale è stata elaborata la moderna teoria del “lean ticking”, cioè del “pensiero snello” nella conduzione del processo produttivo. L’attività degli autodemolitori non si sottrae a questa fondamentale regola aziendale perché, come abbiamo detto in precedenza, è una attività produttiva imprenditoriale come tutte le altre, in quanto soggetta alle stesse regole di mercato, finanziarie, contributive, di prevenzione degli infortuni, di ispezione e controllo da parte degli Enti preposti. Solo se si entra in questa logica di piena consapevolezza aziendale è possibile avvalersi dei risultati e della metodologia messa a punto in tanti anni di esperienza da importanti aziende, per salvare l’attività produttiva imprenditoriale in periodi di crisi e per resistere alle sollecitazioni del mercato, crescendo o quantomeno “sopravvivendo” in attesa di momenti migliori. Nel settore dell’autodemolizione in particolare, a causa della caratteristica attività esercitata, i fattori che determinano spreco di tempo e quindi di denaro sono presenti in maniera accentuata, ma quasi mai gli operatori o i responsabili dell’azienda danno ad essi particolare peso, anzi spesso tali fattori diventano una usuale inevitabile “zavorra” con cui convivere o peggio non ci si accorge nemmeno della loro esistenza. Lo spreco diventa una subdola consuetudine, le persone ci si abituano e con il tempo non si pongono più neanche domande al riguardo. Un esempio è l’operaio che chiede al suo capo dove mettere certe “cose”, il capo è super occupato e quindi gli dice “per il momento mettile là”. Il giorno dopo l’operaio non si preoccupa nemmeno di chiedere al suo capo dove mettere le altre “cose”, le mette semplicemente “là”. E un giorno ci si accorge che “là” è pieno di “cose” sempre messe alla rinfusa, perché è diventata regola che tutte le cose vengono messe “là” e quando servono è impossibile trovare l’articolo che si cerca o utilizzare quello spazio o semplicemente passare agevolmente da quella parte. Allora ci si rende conto che bisogna prendere provvedimenti urgenti, anche a costo di sospendere una altro lavoro più importante, perché la situazione di “là” è divenuta insostenibile. Perciò, guidati dal capo, si comincia a riorganizzare il “là” con ordine e criterio smistando, sistemando magari in appositi scaffali, recintando l’area in modo che sia protetta o ben visibile, apponendo una segnaletica adeguata, ecc. Durante questa operazione però, altri lavori che richiedevano l’attenzione e la manodopera utilizzata per sistemare “là” sono fermi o vengono ritardati. Forse sarebbe meglio prevedere che qualcuno si occupi, anche a tempo parziale ma con continuità e competenza, di tale problema per evitare spreco di spazio, di risorse, di energie, di amministrazione, di opportunità mancate, in una parola spreco di tempo e quindi di danaro. Nel concetto di “Lean” (snello) uno spreco è un’attività che non aggiunge alcun valore al bene prodotto o al servizio. Lavorando male le aziende sprecano o perdono spesso molti soldi, e di questo spreco il cliente non ha bisogno e non avrà nessuna intenzione di pagarne il costo. Ecco perchè è utile fare una importante premessa: l’elemento più importante della “lean production” è il cliente. Il cliente “tira” la produzione e l’azienda deve adottare il sistema cosiddetto “pull” cioè tirato dal cliente. Il cliente “chiama” e l’azienda “risponde” prontamente e senza sprechi. Il cliente è sempre molto attento ed interessato a due importanti fattori: il tempo di consegna del bene o del servizio e il suo prezzo di vendita, che deve essere competitivo rispetto alle altre offerte di mercato. L’eliminazione degli sprechi ha sicuramente influenza su entrambi questi fattori, riduce il tempo di attesa del cliente influenzando il “tempo di produzione”, ma riduce soprattutto parte dei costi di produzione che sono un elemento fondamentale del prezzo finale del bene o del servizio. Le attese, cioè i tempi morti, sono un costo “secco” per l’azienda, che è costretta a caricarlo sul proprio bilancio, con effetti negativi facilmente immaginabili dato il margine minimo di guadagno proveniente dalla vendita del prodotto, oppure deve caricarlo sul prezzo di vendita a carico del cliente, cosa che abbiamo visto essere molto rischiosa dal punto di vista commerciale. Taiichi Ohno, uno dei “padri” del Toyota production system, ha sintetizzato sette categorie di sprechi, evidenziando anche in che modo le aziende sprecano i soldi. Questi sette sprechi denominati in giapponese MUDA, come già detto, sono: 1. le attese; 2. i trasporti; 3. la sovrapproduzione; 4. le eccessive scorte; 5. la movimentazione; 6. i difetti; 7. la presenza di operazioni “inutili” nel processo. Analizziamo ora nel dettaglio ogni singolo spreco nell’ottica di suggerire alcune indicazioni, ove possibile, di come eliminarlo o comunque di ridurne il più possibile l’impatto sul processo e sui costi di produzione. 1. LE ATTESE (Waiting) Si riferiscono a tutti i tempi di attesa o di accodamento “non strettamente necessari” al ciclo di lavorazione; si tratta della differenza fra il tempo totale necessario per l’attraversamento dell’attività produttiva di un bene o di un servizio (Lead Time) ed il suo “tempo di fabbricazione”, che è dato dalla somma di tutti i tempi ciclo effettivi necessari per il processo tecnologico di produzione. Le cause più comuni sono: • errori nella sincronizzazione delle fasi dei processi di lavorazione; • ritardo nell’arrivo dei materiali; • affollamenti o sovrapposizioni non previste; • ritardi dovuti al cattivo funzionamento degli impianti; • assenza dell’operatore; • attese per la preparazione o lo spostamento della macchina; • altro. A volte i tempi di attesa hanno origini diverse, spesso concatenate tra loro, come ad esempio: • errori nella predisposizione o indicazione delle linee di lavorazione; • mancanza di addestramento adeguato, • mancanza di controllo; • altro. Rimuovere le cause che provocano ritardi o inutili attese nel normale flusso produttivo è spesso difficile ed in alcuni casi molto costoso, ma bisogna tenere presente che ogni unità di prodotto “ferma” nel ciclo produttivo equivale ad un costo, come pure un costo è il valore immobilizzato e l’immobilizzazione spesso determina l’inefficienza dell’intero processo produttivo. Ad esempio il mantenere operatori o impianti attivi che non sono sfruttati completamente per le potenzialità che hanno, si traduce in ulteriori inutili costi che spesso non sono neppure facilmente quantificabili, ma che comunque esistono e influiscono negativamente sul prezzo del prodotto finale e perciò sul cliente. Quindi deve essere fatta una attenta valutazione dei tempi di attesa dei prodotti o dei materiali, tradurla in “costi” e, guardando il risultato, mettere a punto la migliore strategia possibile per ridurre o meglio eliminare tutti i ritardi non necessari nel normale processo produttivo. Dal punto di vista del cliente, di cui abbiamo parlato in precedenza, questi tempi di attesa influiscono direttamente ma negativamente sul “tempo di consegna” del bene o del servizio e quindi sul relativo costo finale, con il pericolo di rendere più conveniente un altro mercato. 2. I TRASPORTI (Trasporting) Si intendono tutte le operazioni di trasporto in arrivo e in partenza rispetto allo stabilimento o di semplice movimentazione dei prodotti da lavorare o di quelli finiti da un posto ad un altro, da un reparto ad un altro all’interno dell’azienda, operazioni che hanno comunque un costo soprattutto in termini di risorse e che spesso generano movimenti inutili legati alle stesse operazioni di movimentazione, che equivalgono a lavorazioni aggiuntive inutili e non produttive. Ad esempio il movimento dei mezzi pesanti per il lo scarico o il carico della merce, il movimento dei mezzi di trasporto interno per le varie fasi di lavorazione o dei carrelli elevatori per lo stoccaggio, ecc. Solitamente sono due gli aspetti su concentrare l’attenzione e poi intervenire : • il reale motivo per cui è necessario il trasporto, cercando di eliminare o ridurre i fattori che rendono necessario il trasporto stesso, ad esempio modificando la disposizione o lay-out della linea di lavorazione; • l’analisi e l’ottimizzazione del metodo del trasporto, in termini di: – frequenza; – distanza da percorrere; – tempo necessario; – attrezzatura disponibile; – procedura operativa; – altro. Lo scopo principale è l’eliminazione di tutti i trasporti ritenuti inutili, anche se talvolta ridurne il numero o l’entità potrebbe non essere possibile a causa di impedimenti non superabili avere come un costo maggiore, avere vincoli “fisici” ad esempio muri o altro. In ogni caso è importante operare per ottimizzare al massimo ogni spostamento all’interno del ciclo produttivo dell’azienda in generale. Non si deve chiedere un centesimo in più al cliente finale per qualsiasi operazione di spreco in termini di attesa (tempi morti) o di movimentazione interna o esterna all’azienda. Tutto ciò che si movimenta in più rispetto allo stretto necessario o che si movimenta male è un costo per il cliente. E il costo per la perdita di tempo, non potendo essere addebitato al cliente, ricade inevitabilmente sul costo aziendale dei pezzi prodotti cioè sull’azienda, che vede così inutilmente ridotto il margine di guadagno spesso di per se già esiguo. Se il prezzo del prodotto finito deve essere aumentato del costo dello spreco il cliente va altrove, dove il prodotto costa meno perché, magari, non è caricato dello spreco. È in questo modo che si perde la produttività, la competitività e quindi, cosa più importante, si perde il cliente. Per evitare tutto ciò, per rendersi conto di dove e come intervenire nel processo aziendale per evitare gli “sprechi” e rimanere competitivi sul mercato, cioè per sopravvivere come spesso accade per le piccole e micro attività produttive, la Comunità Europea mette a disposizione contributi a fondo perduto per aiutare le Imprese che si rendono conto dell’importanza di tale problema e vogliono farsi guidare nella riorganizzazione o nella ottimizzazione del processo aziendale. Questi finanziamenti a fondo perduto sono concessi alle aziende in percentuale su un preciso progetto di riorganizzazione della filiera di produzione, anche con la possibilità di acquistare servizi, attrezzature e macchinari che sono necessari allo scopo. Per accedere a queste opportunità si deve individuare, tra i numerosi bandi che ogni anno vengono emessi dalle Regioni e dallo Stato, quello più adatto alle esigenze dell’azienda e preparare un progetto mirato, da ammettere a finanziamento. Il tutto sempre nell’ottica di lavorare meglio e risparmiare sui costi per non “perdere il cliente”, obiettivo questo che terremo presente anche quando analizzeremo gli altri cinque punti dello “spreco”. La riflessione prosegue nel prossimo numero. Ing. Paolo Melchiorre Consulente Aziendale Consulente in materia di Sicurezza e Lavoro paolomelchiorre.ing@libero.it