DA “COPERTONE SELVAGGIO A RISORSA PREZIOSA”
Storie e numeri del traffico illegale degli pneumatici fuori uso
Ammonta a circa 350 mila tonnellate la quantità di pneumatici fuori uso (PFU) prodotta ogni anno in Italia. Di questi, nel 2009 circa la metà è stata avviata a recupero energetico, mentre il 20% è stato recuperato come materia prima seconda per utilizzi urbani e industriali.
E il 25% della restante quota?
Evidentemente è “rotolato” via in maniera illegale ed è rimasto invischiato nelle maglie dei traffici illeciti. È quanto emerge dal Dossier “Copertone selvaggio” redatto da Legambiente in collaborazione con Ecopneus e presentato lo scorso 4 novembre alla Fiera di Rimini ECOMONDO 2010.
Secondo le stime di Ecopneus, ogni anno, infatti, spariscono nel nulla fino a 100 mila tonnellate di PFU, circa 1/4 degli pneumatici immessi in commercio nello stesso arco di tempo. La destinazione? Quando non è l’estero, è la discarica abusiva nostrana.
Dal 2005 ad oggi Legambiente ha censito ben 1.049 discariche illegali in tutta Italia, per un’estensione totale che supera ampiamente i 6 milioni di metri quadrati, una superficie complessiva grande quasi come 800 campi da calcio.
Da nord a sud, le discariche abusive crescono come funghi: si va dalle discariche di ridotte dimensioni, frutto della smania di risparmiare qualche spicciolo da parte di piccoli operatori (gommisti, officine, trasportatori, intermediari), a quelle più grandi, dove appare evidente la presenza di attività organizzate per il traffico illecito, svolte sia in Italia che all’estero. La concentrazione più alta si trova comunque al Sud. In Campania, Calabria, Puglia e Sicilia si trova più del 63% del totale delle discariche abusive italiane, ovvero il 70,4% circa della superficie totale sequestrata dalle Forze dell’ordine. La maglia nera dell’illegalità va alla Puglia, con 230 siti abusivi, quasi il 22% del totale nazionale. La segue “a ruota” la Calabria con 159 siti illegali, la Sicilia con 141 discariche abusive e la Campania con 131. Tra le regioni del Centro quella con la più alta densità di siti illegali è, invece, il Lazio con 77 siti illegali, mentre al Nord la regione più “illegale” è il Piemonte con 37 discariche sequestrate. Ma la discarica abusiva non è l’unica destinazione degli PFU che “spariscono nel nulla”; molti PFU finiscono per alimentare traffici illeciti. Gli PFU sono, infatti, tra i materiali più gettonati dai trafficanti, oggi sempre di più soggetti ad un vero e proprio “brokeraggio”. Dal 2002 ad oggi gli PFU sono stati al centro dell’11% del totale delle inchieste svolte. Sono ben 16 le regioni italiane interessate dai traffici illeciti, 8 gli Stati esteri coinvolti: Cina, Hong Kong, Malaysia, Russia, India, Egitto, Nigeria e Senegal. Il 2010 sembra aver messo a segno il più triste primato degli ultimi anni, registrando il maggior numero di indagini riguardanti PFU (ben 5) e il più alto numero di arresti (14). Fino ad oggi sono state, invece, 19 le inchieste per traffico illecito di rifiuti, sanzionato dall’art. 260 D. Lgs. 152/2006 (ex art. 53 bis del Decreto Ronchi), che hanno riguardato gli PFU. L’attività giudiziaria ha portato all’emissione di 58 ordinanze di custodia cautelare, alla denuncia di 413 persone e al coinvolgimento di 122 aziende. Oltre a dati e numeri, il Dossier riporta anche le storie di illegalità che riguardano gli PFU, vere e proprie storie di cronaca nera in cui i protagonisti sono proprio gli pneumatici fuori uso. In molte di queste storie vengono usati come micidiale combustibile per occultare altri tipi di rifiuti, magari altamente tossici, come nel Parco dell’Alta Murgia, dove uno di questi siti illegali era stato preparato come una torta: sotto l’amianto, poi scarti di varia tipologia e sopra i copertoni da bruciare, una pira che ha bruciato per giorni e giorni, avvelenando l’aria e l’ambiente.
Il rogo di pneumatici è ormai una prassi ordinaria nella cosiddetta “Terra dei fuochi”, localizzata tra le province di Napoli e Caserta, dove ogni giorno centinai di copertoni vengono dati alle fiamme per smaltire e “coprire” rifiuti tossici e pericolosi, per poco più di 50 euro a carico. L’immagine degli pneumatici in fiamme è diventata così il simbolo dell’ecomafia campana.
Ma la lista degli eco-reati con al centro gli PFU è lunga ed eterogenea. Si va dall’abbandono in discariche abusive, al rogo, al traffico illecito.
Come quello scoperto nel marzo 2010, dopo 15 mesi di indagini, dai Carabinieri del NOE in provincia di Sassari con l’operazione “Tyres 2009” riguardante circa 2.577 metri cubi di PFU per un giro di affari di 80 mila euro.
Il sistema scelto dalla banda era quello di rastrellare grandi quantità di PFU dai vari operatori commerciali, attraverso un servizio di raccolta e trattamento offerto a prezzi stracciati, tra i 16 e i 20 centesimi al chilo, contro i 25-40 praticati dagli altri smaltitori.
In realtà il “trattamento” era inesistente: i vecchi copertoni venivano scaricati in capannoni in disuso, senza alcuna operazione di trattamento.
Lo stesso “finto trattamento” era offerto da una vera e propria “azienda fantasma” individuata in provincia di Reggio Emilia lo scorso 27 gennaio.
La banda si preoccupava di rastrellare grandi quantità di PFU per poi abbandonarli in vari siti delle province di Reggio Emilia e Modena, senza alcun trattamento. Sempre in Emilia Romagna, di nuovo tra le province di Reggio Emilia e di Modena, circa un anno fa sono stati rinvenuti pneumatici fuori uso abbandonati abusivamente in terreni demaniali in riva al torrente Tiepido, nel comune di Serramazzoni.
La mappa delle discariche abusive in realtà
era ben più ampia e comprendeva anche Modena, Pozza di Maranello e a Solignano di Castelvetro. Gli pneumatici smaltiti provenivano da “muletti”, i carrelli elevatori utilizzati a livello industriale, venivano ritirati dalla banda a prezzi stracciati e smaltiti illegalmente. Questo era, in sintesi, il “core business” dell’organizzazione criminale sventata grazie all’operazione “Gomme a terra”.
Ma gli PFU “rotolano” illegalmente anche fuori confine, grazie alla presenza di veri e propri broker e all’esistenza di un vero e proprio sistema di brokeraggio di pneumatici. Cina, Hong Kong, Malaysia, Russia, India, Egitto, Nigeria e Senegal sono le destinazioni più gettonate dai traffici oltre frontiera.
Qui per gli PFU le procedure di ingresso sono semplificate, poiché per questo tipo di rifiuto non sono richieste notifiche o autorizzazioni di sorta.
Dai porti italiani gli PFU vengono dirottati oltre oceano sotto forma di “ciabattato”, ossia PFU frantumati utilizzati come combustibile per cementifici, cartiere, termovalorizzatori, oppure per la realizzazione di fondazioni stradali e ferroviarie, rilevati stradali alleggeriti e bacini di ritenzione delle acque piovane.
Altre volte, invece, viaggiano intatti per nascondere altri tipi di rifiuti e tossici. “Il traffico illecito di pneumatici fuori uso rappresenta un settore consistente all’interno delle attività illegali legate al ciclo dei rifiuti – ha dichiarato Enrico Fontana, responsabile Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente.
“Questa tipologia di scorie – ha continuato Fontana – è al centro di oltre l’11% del totale delle inchieste svolte dal 2002 ad oggi, determinando rilevanti problemi ambientali e ingenti danni economici per le casse dello Stato. Proprio per questo è fondamentale che lo stesso mondo delle imprese assuma tale questione come prioritaria per contrastare un consistente mercato nero che dall’Italia si dirama verso l’estero.”
Il danno è così economico, oltre che ambientale. “Se ci si limita al danno economico – ha dichiarato Fontana – quello accumulato dal 2005 ad oggi supera i 2 miliardi di euro. “La perdita economica per lo Stato – si legge nel Dossier – può essere quantificata in circa 143,2 milioni di Euro l’anno, di cui 140 milioni per il mancato pagamento dell’IVA sulle vendite e circa 3,2 milioni di euro per il mancato pagamento dell’IVA sugli smaltimenti; i mancati ricavi degli impianti di trattamento, costretti a lavorare a regimi ridotti a causa della fuoriuscita degli PFU dal ciclo legale, possono essere quantificati in almeno 150 milioni di Euro l’anno; i costi di bonifica delle discariche abusive di PFU sequestrate nel periodo 2005-settembre 2010, che solitamente sono a carico dei contribuenti, possono essere stimati in almeno 400 milioni di Euro”.
Ma il danno non è solo economico. Lo ha ribadito Donato Ceglie, Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Procura di S.MariaCapuaVetere-Caserta,nel suo intervento:“Le cifre del Rapporto sono sottostimate in quanto non tengono conto dei danni all’ambiente e alla salute dei cittadini. In alcune zone della Provincia di Caserta si è registrato un incremento delle malattie tumorali del 400%”.
Senza poi contare i danni ambientali degli pneumatici abbondonati in campi agricoli, rive dei fiumi o gettati in mare. I danni si moltiplicano quando qualcuno decide di incendiarli.
“Il rogo degli PFU – ha sottolineato Paola Ficco, moderatrice del Convegno e Direttore Responsabile della rivista “Rifiuti” – non è infatti mai spontaneo, ma spinta-neo”.
Lo ha confermato anche l’Ing. Dino Poggiali, Comandante dei Vigili del Fuoco di Rimini: “Poiché occorre una temperatura di 400°C per portarlo a combustione, l’incendio di uno pneumatico non è mai del tutto accidentale e quando avviene è un pericolo per l’ambiente e la salute dei cittadini. La combustione dello pneumatico è infatti 13 volte più pericolosa della combustione del carbone”.
Eppure, gli incendi che coinvolgono pneumatici non sono poi così rari. “Di 250 mila incendi, circa 800 all’anno, ovvero 2 al giorno, riguardano pneumatici – ha precisato il Comandante Poggiali.“Si tratta forse di un piccolo numero rispetto alla totalità degli incendi, ma di un numero dai grandi effetti e dalle conseguenze pericolose”.
A causa di queste attività illecite, quantitativi importanti di PFU vengono sottratti a una molteplicità di utilizzi legali, ad esempio nell’ingegneria civile o nella realizzazione di superfici sportive.
Fino a oggi l’assenza di un sistema integrato di gestione a livello nazionale ha generato una situazione caratterizzata da alcune criticità: dal mancato controllo sui flussi globali di questo materiale attraverso tutti i passaggi della filiera, situazione che non permette oggi di avere una chiara visione complessiva di questa realtà; all’insufficiente utilizzo degli PFU e dei suoi derivati, fino all’assenza di un’ottimizzazione tra le varie componenti del sistema (raccolta, trasporto, recupero e impiego).
“Il dossier realizzato da Legambiente ha il merito di aver sistematizzato un insieme di informazioni e dati raccolti a partire dai contesti territoriali in cui situazioni di degrado o rischio ambientale legati ai PFU abbandonati sono ben noti; in questo modo diventano una realtà di dimensioni ed interesse nazionale, in cui poter incidere efficacemente per una decisa inversione di rotta.”
Lo ha dichiarato Giovanni Corbetta, Direttore Generale di Ecopneus, la giovane società consortile nata per gestire e monitorare la filiera degli Pneumatici Fuori Uso, pronta a partire con un sistema di raccolta capillare su tutto il territorio nazionale, a seguito dell’imminente pubblicazione in G.U. del decreto che dà il via alla raccolta degli PFU su tutto il territorio nazionale. “Occorre mobilitarsi per ridurre l’illegalità e spingere verso il recupero di materiale – ha commentato Corbetta – nel mondo un miliardo di pneumatici arriva a fine vita ogni anno. In Europa nel 2009 sono arrivati a fine vita circa 3,2 milioni di tonnellate di pneumatici, di cui il 93% è stato avviato a recupero, confermando l’Europa una delle aree più attive nel mondo per il recupero. Occorre spingere l’acceleratore anche in Italia”.
Altro che copertone selvaggio… “Lo pneumatico fuori uso è una risorsa preziosa che spesso viene però messa nel posto sbagliato”; ha dichiarato lo stesso Direttore di Ecopneus. Occorre dunque ri-allocare lo pneumatico fuori uso in percorsi legali…perché il “posto sbagliato” è sempre illegale!