NUOVI STANDARD EPA PER I BIOCARBURANTI: L’AMERICA APRE UNA NUOVA ERA
Mentre in Italia siamo fermi al palo, all’estero si fanno passi da gigante
Mentre all’estero, Ricerca & Sviluppo di nuove tecnologie vanno anche nella direzione dei nuovi carburanti sostenibili di origine organica, l’Italia, come spesso accade quando si guarda al settore ambientale, rimane a guardare.
Perché non è ancora sviluppato l’utilizzo dei biocarburanti nel Bel Paese? Cerchiamo di scoprirlo insieme andando ad analizzare alcune notizie che sono circolate nelle ultime settimane.
Innanzi tutto, qualche informazione: i biocarburanti sono prodotti di origine agricola in grado di sostituire i vettori tradizionali (benzina e diesel). La loro origine naturale li rende più facilmente riassorbibili dalla natura, e consente di ridurre del 70% le emissioni di gas serra del trasporto privato e diminuire l’importazione di petrolio dall’estero.
I biocarburanti sono quindi un’importante risorsa per il futuro soprattutto in considerazione della minimizzazione degli impatti antropici sull’ambiente e nell’ottica ulteriore di un sostegno al comparto agricolo.
Ma il vantaggio del loro utilizzo non si esaurisce qui; si consideri, inoltre, il potenziale impatto sui prezzi nel loro utilizzo che è stimato nell’ordine di 1-2 centesimi al litro alla pompa. Le fonti da cui ricavare biocarburanti sono molteplici; la prima, quella maggiormente utilizzata, è costituita dalle colture commestibili (mais, soia, girasole, bietole, patate ecc.), che, tuttavia, per coprire il fabbisogno di carburante tradizionale abbisognano di enormi produzioni con evidente consumo di suolo e di risorse idriche. L’ultima scoperta in ordine di tempo è quella relativa alla sintesi di biofuel dagli scarti di lievito della birra.
Una società produttrice della popolare bevanda a Chico (California), ha inventato un nuovo sistema di adeguamento della propria fabbrica, che renderà gli scarti di birra un combustibile a base di etanolo di alta qualità.
Ma i biocarburanti possono anche essere ricavati dalle alghe, dai noccioli di olive e persino dai rifiuti. Uno studio di poco tempo fa, da titolo: “I biocarburanti in Italia. Opportunità e costi”, commissionato dall’Unione Petrolifera e presentato da Nomi-sma Energia ha analizzato le peculiarità dei biocarburanti cercando anche di evidenziare i problemi riscontrati nel nostro Paese circa il loro scarso utilizzo.
Da questo studio si evince come consumi di biocarburanti attualmente contano per il 2,3% dei consumi mondiali di carburanti. Nella migliore delle ipotesi al 2020 potranno arrivare a coprire il 6% del totale. Le esperienze di maggiore successo si sono attuate in Brasile e Stati Uniti che insieme coprono circa il 92% della produzione mondiale di bioetanolo e l’11% di biodiesel.Tali risultati sono stati raggiunti dal momento che in quei Paesi si sono verificate condizioni particolarmente favorevoli all’implementazione di tali esperienze, come forti eccedenze agricole da smaltire e politiche di incentivazione pubbliche.
Negli Stati Uniti, nel 2008 circa un terzo della produzione di mais (oltre 100 milioni di tonnellate) è stato destinato a produrre bioetanolo (il doppio rispetto al 2006).
In Europa, invece, si è proceduto in modo diverso rispetto a questi Paesi, preferendo porre degli obiettivi di miscelazione che entro la fine del 2010 dovranno essere indicativamente del 5,75%. Un valore che difficile sarà raggiunto anche se la Commissione europea si è posta un obiettivo del 10% al 2020. Quel che è certo è che si rende necessaria una più stretta collaborazione con l’industria automobilistica in quanto l’evoluzione dei motori ha imposto paramenti sempre più stringenti che limitano forte-mente, a differenza del passato, la miscelazione con combustibili diversi dagli idrocarburi.
In termini di costi economici associati al maggior consumo di biocarburanti, appare oggi più conveniente l’utilizzo del bio-diesel rispetto al bioetanolo che presenta costi maggiori dal lato infrastrutturale. Il bioetanolo si renderà comunque necessario per raggiungere obiettivi di miscelazione più alti.
Supponendo una miscelazione equilibrata tra i due biocarburanti, si stima un impatto complessivo sui prezzi finali al 2020 intorno a 2 centesimi euro/litro. Ciò tiene conto degli investimenti (400 milioni di euro tra il 2007 e il 2010), dei maggiori costi di produzione e del-le mancate entrate per l’Erario (pari a 119 milioni di euro per il 2008, fino ai 492 milioni del 2020).
Il vantaggio ambientale, ovvero la riduzione delle emissioni di CO2, tenendo conto dell’intero ciclo di vita dei biocarburanti, divie-ne negativo nel caso di materia prima importata, come accaduto sino ad oggi in Italia, ed un risparmio di emissioni si ha solo nel caso di trasporto limitato dal posto di produzione delle biomasse. Il costo evitato della CO2 da biocarburanti è stimato in 150-200 euro/ ton-nellata rispetto a prezzi di mercato internazionale attualmente intorno ai 25 euro. L’obiettivo di Kyoto è un traguardo importante di cui bisogna tenere presente e anche i biocarburanti, in questo senso, potrebbero svolgere un ruolo importante. Sino ad oggi i bio-carburanti sono stati prodotti da produzioni agricole alimentari. La necessità di non incidere sui prezzi delle materie prime a-limentari impone lo sviluppo di biocarburanti di seconda e terza generazione attraverso l’utilizzo diretto di cellulosa delle piante o il tes-suto oleoso delle alghe.
La difficoltà dell’Italia sui biocarburanti consiste nell’aver messo in piedi un sistema di regole molto articolato e complesso che non dà molte garanzie di efficienza rispetto alle esperienze degli altri Paesi europei che tuttavia faranno fatica a centrare l’obiettivo indicativo del 5,75% per questo anno con le superfici disponibili.
Entro il 2010 infatti la Commissione Europea si era posta come obiettivo quello di raggiungere appunto una miscelazione di benzina e diesel con biocarburanti pari al 5,75%. Un target che tuttavia si ritiene verrà spostato al 2015, per raggiungere l’obiettivo del 10% al 2020. Anche dal punto di vista della produzione, in Italia, i problemi non mancano, a cominciare dai terreni neces-sari per garantire le forniture: in Italia servirebbero oltre 2,1 milioni di ettari di superficie coltivabile aggiuntiva rispetto a quella attuale, a fronte di potenziale teorico di soli 0,6 milioni di ettari.
In Europa i numeri migliorano: si stima una copertura fino al 2010 del 50-55%, vale a dire solo 9 milioni di ettari sui 17 ne-cessari. Poi c’è il problema dei costi. Proprio la necessità di non incidere sui prezzi impone uno sviluppo tecnologico verso biocarburanti di seconda e terza generazione derivati dalla cellulosa e dalle alghe. Gli scienziati tedeschi hanno scoperto che grazie al nuovo biolig, un nuovo processo per produrre a basso costo biocarburanti,, si potrà risparmiare 0,50 €/L a partire dal 2012. Ma a monte di tutto, almeno per quanto concerne l’Italia, c’è l’inadeguatezza delle regole che creano incertezze negli investimenti. Il meccanismo dei certificati introdotti nel 2007 con le Direttive europee e non ancora funzionante a metà 2008, fa capo al Ministero della Politiche Agricole e a quello dello Sviluppo economico (per le sanzioni), e a quello dell’Economia (per i contingenti defiscalizzati); un frazionamento che burocratizza e rallenta il processo. Quello che è certo è che mentre nel mondo gli investimenti in produzione di biofuel stanno diventando sempre più consistenti, in Italia siamo immobili.
All’estero si sperimenta e si cerca di superare anche i problemi derivanti dall’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari, che taluni sostengono essere stati parte di una campagna diffamatoria. Quattro associazioni ambientaliste (ClientEarth,Transport and Environ-ment,The European enviromental bureau e BirdLife International) hanno accusato, infatti, la Commissione Europea di nascondere alcuni documenti che dimostrerebbero l’esistenza di forti implicazioni negative, dal punto di vista ambientale ed economico, dell’uso dei biofuel. Gli ambientalisti hanno cosi depositato pochi giorni fa un ricorso davanti alla Corte di Giustizia europea del Lussemburgo in quanto non avevano ricevuto l’accesso a tutti i documenti in tempi legali. Secondo il portavoce della Commissione, Mark Gray, quei documenti assommavano a 8.844 pagine e l’esecutivo stava valutando se consegnare il resto.
Gray, inoltre, considera prematura l’azione della Corte. Gli attivisti continuano la loro battaglia, visto che secondo loro, c’era già stato un precedente. Sul banco degli imputati c’è l’obiettivo comunitario di sostituire il 10% dei combustibili fossili con biocarburanti entro il 2020. Obiettivo attaccato con forza dai petrolieri.
In Italia, dunque, siamo fermi al palo mentre in America si cammina spediti e si fanno passi da gigante. Il 3 febbraio l’Environmental protection agency Usa (Epa) ha presentato la revisione del National renewable fuel standard program (Rfs). “Questo regolamento apporta modifiche al renewable fuel standard program – spiega una nota dell’Epa – come richiesto dall’Energy indepen-dence and security act (Eisa) del 2007. I requisiti di legge rivisti stabiliscono nuovi standard specifici del volume annuo per bio-carburanti cellulosici, diesel basati sulle biomasse, biocombustibile avanzati e il totale di combustibile rinnovabile che deve es-sere utilizzato nei carburanti per autotrazione. I nuovi standard includono anche nuove definizioni e criteri sia per i carburan-ti rinnovabili che per le materie prime utilizzate per la loro produzione, comprese le nuove soglie di emissioni di gas serra, così come determinate mediante l’analisi del ciclo di vita. I requisiti normativi per il Rfs si applicano ai produttori nazio-nali ed esteri ed agli importatori di combustibili rinnovabili utilizzati negli Usa”. I nuovi standard dell’Epa si occupano quindi dell’intera catena di produzione-distribuzione dei biocarburanti, ma si estendono anche alla controversa tecnica del carbon capture and storage (Ccs). L’Epa vuole così gettare le basi per realizzare una significativa riduzione delle emissioni di gas serra causate dai combustibili fossili, diminuire le importazioni di petrolio e sviluppare ulteriormente il settore dei carburanti rinnovabili. L’Agenzia ambientale Usa ha anche definito il 2010 Rfs volume standard dei biocarburanti, portandolo a 12,95 miliardi di galloni. Inoltre, per la prima volta, ha fissato standard quantitativi per specifiche categorie di combustibili rinnovabili, comprese quelli a base cellulosica (6,5 milioni di galloni), diesel a base di biomasse (1,15 miliardi di galloni per il 2009/2010), biocombustibili avanzati. Per bene-ficiare di queste nuove misure i biocarburanti devono dimostrare di rispettare determinati criteri minimi di riduzione dei gas serra, basati su una valutazione del ciclo di vita e in confronto ai carburanti petroliferi che sostituiscono.
I nuovi standard dell’Epa si basano su: nuovi dati scientifici significativi a disposizione dell’Agenzia, peer review rigorosa ed indipendente ed una estesa raccolta di osservazioni pubbliche. Per rispettare gli standard di riduzione di gas serra i biocarburanti devono soddisfare alcuni requisiti minimi e rientrare in alcune categorie: biodiesel prodotto a partire dal grasso da rifiuti, olio e grassi; etanolo a base di canna da zucchero. I combustibili derivati da materiali cellulosici generalmente superano già in modo si-gnificativo gli standard minimi di riduzione dei gas serra; gli impianti basati sull’etanolo da mais devono utilizzare nuove tecnologie di efficienza energetica, biodiesel a base di soia.
Per quanto riguarda la revisione annuale dei fuelstandards (Rfs2) che applica le modifiche necessarie al programma come sta-bilito nell’Eisa, presenta modifiche di notevole portata. «In primo luogo nell’Rfs2 il volume delle richieste di combustibile rinno-vabile aumenta, raggiungendo il 36 miliardi di galloni entro il 2022», circa il 7% del consumo annuale di benzina e diesel previsto e con una diminuzione delle importazioni di petrolio per 41,5 miliardi dollari e benefici supplementari in termini di sicurezza energetica di energia pari a 2,6 miliardi di dollari ed una diminuzione dei costi della benzina di 2,4 centesimi al gallone e del diesel di 12,1 centesimi. L’Energy independence and security act ha esteso il programma Rfs oltre la sola benzina per coprire tutti i tipi di combustibili utilizzati per i trasporti ed ora include la benzina e il diesel per auto ed altri veicoli, motori non stradali, locomotive e motori marini. Per il 2010, l’Eisa fissa il renewable fuel standard totale a 12,95 miliardi di galloni ed impone che una percentuale del volume della benzi-na o del gasolio raffinati importati sia da combustibili rinnovabili. L’Eisa sta puntando concretamente allo sviluppo dei car-buranti cellulosici che potrebbero risolvere il problema dalla dipendenza da coltivazioni alimentari come il mais. Per quanto riguarda la conformità con gli standard di riduzione di gas serra l’Epa ha fornito alcune indicazioni precise: L’etanolo prodotto a partire dal mais, con le nuove potenzialità di utilizzo del gas naturale e delle più avanzate ed efficienti tecnologie, potrà più fa-cilmente essere prodotto rispettando una riduzione del 20% dei gas serra; il biobutanolo da amido di mais è conforme al limite del 20%; l’etanolo da canna da zucchero è conforme ai vigenti limiti del 50% di riduzione dei gas serra per l’advanced fuel category; il biodiesel da olio di soia e il gasolio rinnovabile da oli usati e grassi é conforme al limite del 50% di gas serra per la biomass-based diesel category; il diesel prodotto a partire da oli di alghe è conforme al 50% della soglia dei gas serra per la biomass-based diesel cate-gory; l’etanolo cellulosico e I diesel cellulosici sono conformi al 60% di riduzione dei gas serra applicabile ai cellulosic biofuels.
Entro il 2022 l’uso massiccio di biocombustibili dovrebbe ridurre le emissioni di gas serra Usa di 138 milioni di tonnellate, equivalenti all’eliminazione di 27 milioni di veicoli dalle strade. Però, secondo i dati Epa, il maggiore uso di biocarburanti avrà un impat-to per alcune emissioni: «Idrocarburi, ossidi di azoto (NOx), acetaldeide ed etanolo dovrebbero aumentare ed altri, come il monossido di carbonio (CO) e benzene dovrebbe diminuire.Tuttavia, l’impatto di queste emissioni sui criteri degli inqui-nanti atmosferici sono molto variabili da regione a regione».
La crescita dei biocombustibili dovrebbe portare entro il 2022 ad un’espansione della produzione di mais e soia negli Usa ed all’apertura di nuovi mercati per gli advanced biofuels. Se l’Italia riuscisse a fare pianificazioni simili, si risolverebbero molti pro-blemi e chissà riusciremmo a migliorare numerosi aspetti e anche il clima ne potrebbe beneficiare.
L’ unico spiraglio di luce è arrivato infatti dall’italianissimo Gruppo M&G Mossi e Ghisolfi, il gruppo chimico secondo produttore al mondo di PET, che ha annunciato la costruzione entro la fine del 2010 in Italia di un impianto semi-industriale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, che sarà alimentato da biomasse agro-energetiche. Il Gruppo M&G lo ha annunciato in occasione del convegno internazionale “Etanolo di seconda generazione: una realtà possibile”, organizzato a Milano in collaborazione con la GBEP, Global Bionergy Partnership. Ma quali sono le differenze tra i biocarburanti di prima e secon-da generazione? Rispetto ai biocarburanti di prima generazione, che sono generati da materie prime agroalimentari., i biocarburanti di seconda generazione vengono ricavati da materie prime non alimentari e con uno scarso impatto sull’utilizzo del fattore terra (alghe, biomasse ecc). Il bioetanolo è un carburante simile alla benzina e prodotto da vegetali come la canna da zucchero o il mais, che ha un impatto di circa il 30% in meno di emissioni di gas serra rispetto alla rispettiva quantità di benzina tradiziona-le. Inoltre la seconda generazione permette di eliminare problematiche legate alla prima generazione che vanno dalle perdite di energia al netto delle emissioni di gas serra, ad un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. “La tecnologia di seconda generazione – af-fermano dall’M&G – permette la produzione di bioetanolo da biomassa ligno-cellulosica, evitando quindi l’utilizzo di colture desti-nate anche a fini alimentari e consentendo benefici in termini di riduzione di emissioni di gas ad effetto serra nell’ordine di oltre l’80%”. Le biomasse ligno-cellulosiche che saranno utilizzate nel progetto del Gruppo sono quindi a tutti gli effetti biocarburanti di seconda gene-razione. Non impattano sulla filiera alimentare e non influenzano eccessivamente la destinazione del fattore terra da parte delle a-ziende agroalimentari. Per il resto, anche i biocarburanti di seconda generazione conservano il vantaggio ambientale in termini di minore emissione dei gas serra rispetto ai carburanti tradizionali a combustione fossile. A confermare la validità e l’importanza del progetto di ricerca sull’etanolo da biomassa sono giunte le approvazioni da parte delle istituzioni nazionali ed europee. Il programma (Pro.E.Sa.) è stato infatti selezionato come titolare del più grande progetto di ricerca italiano sul tema del bioetanolo da lignocellulosico nell’ambito del Programma Quadro della Comunità Europea e uno dei più grandi di Industria 2015. Una strategia di innovazione aziendale, quella del Gruppo M&G Mossi e Ghisolfi, che è perfettamente in sintonia con gli obiettivi prefissati dal pacchetto energia-clima appro-vato dal Parlamento Europeo lo scorso dicembre. I biocombustibili possono infatti svolgere un ruolo di primaria importanza per far fronte alla crescente domanda globale di energia.
Nel frattempo, proprio mentre questo numero del Notiziario stava per essere chiuso in Redazione, sulle pagine del noto quotidiano ambientale on-line, Greenreport, è apparsa la notizia che l’Epa e il Dipar timento dei Traspor ti USA, hanno approvato, in da-ta 1° aprile due importanti standard combinati (riferiti agli anni 2012 e 2016) aventi come indirizzi di intervento il Global Warming e il risparmio di carburante per autotrazione.
Le nuove norme prevedono uno consumo di carburante di un “gallone” per 35,5 miglia e una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 250 g/Km. In questo modo si stima che il guadagno di efficienza per le auto vendute sarà pari ad un risparmio di 1,8 mi-liardi di barili di petrolio estratti.
“Queste norme sono un grande slam”, ha commentato Michael Brune, direttore esecutivo di Sierra Club, l’organizzazione che solo poche settimane prima aveva espresso forti critiche all’Amministrazione Obama per aver concesso ai petrolieri il permesso di attingere da nuove perforazioni offshore nei mari protetti dell’Alaska e dell’Atlantico.
“Miliardi di dollari di risparmio alla pompa per i consumatori, – ha continuato – una riduzione enorme del consumo di petrolio, significativi tagli all’inquinamento, e questo aiuterà l’industria automobilistica nazionale a diventare più sostenibile”.
“Le nuove norme sulle emissioni, promulgate grazie al Clean Air Act – ha proseguito il Dirigente di Sierra Club – dimostrano la forza della legge per stimolare l’innovazione, la crescita del combustibile economico, per proteggere la nostra aria, per rendere l’America energeti-camente indipendente e per combattere il riscaldamento globale”.
E in Italia, ancora, manca un Piano Energetico Nazionale ed una apposita exit strategy per affrancarsi dai combustibili fossili. Se si riuscisse a dare un po’ di continuità e molta concretezza a progetti validi, forse ci si accorgerebbe di come non è mai troppo tardi per non perdere certi treni.