ENERGIA: QUANTO MI COSTERAI?
Scenari foschi per consumatori ed imprese, aumenti fino al 10%, al 2013 per pagare le emissioni di CO2
“Uno spettro si aggira per l’Europa…”; ma non è più quello del Comunismo (NdR: il corsivo di cui sopra si riferisce alla celebre frase di apertura del Manifesto del Partito Comunista a firma di Friedrich Engels e Karl Marx, redatto a Londra nel 1847), bensì quello del “pagherò”, che ancor più della filosofia marxista, incute terrore nelle sacre cattedrali del capitalismo occidentale malato di profitto e nella perenne ricerca di uno Sviluppo da conseguire eternamente.
Quel “pagherò” non è altro, in termini ambientali, della “cambiale” che fino ad oggi è stata concessa alle imprese per poter continuare a lavorare emettendo gas-serra (in particolare CO2) ampiamente responsabile del Global Warming (effetto che si ripercuote su tutte le forme viventi del Pianeta).
Ebbene, in un sistema economico globale ancora gravato dagli effetti della crisi finanziaria del 2008 e vieppiù messo all’angolo dalla necessità di garantire adeguati approvvigionamenti energetici allo sviluppo del mercato, a fronte dell’aumento dei costi per le fonti energetiche carbon free e delle dinamiche di abbandono delle tecnologie tradizionali per favorire l’implementazione dell’utilizzo di migliori tecnologie atte ad una mitigazione degli impatti antropici sul clima, la corsa delle imprese vede avvicinarsi all’orizzonte l’ostacolo del 1° gennaio 2013, anno in cui, secondo l’UE, le aziende (ed in particolar modo quelle che producono elettricità), saranno obbligate a pagare in denaro sonante 1/3 delle loro emissioni.
Il meccanismo che per ora prevede una batosta stimata finora in 2 miliardi di euro per il solo comparto elettrico italiano, è contenuto nel sistema per lo scambio di quote di emissioni del gas ad effetto serra nella Comunità europea – Direttiva“EmissionTrading” (2003/87/CE del Consiglio e del Parlamento Europeo).
Tale Direttiva, in Italia, è stata recepita con D. Lgs. n. 216 del 4 aprile 2006 che prevede, tra le altre cose che: Dal 1° gennaio 2005 nessun impianto che ricade nel campo di applicazione della stessa, possa emettere CO2, ossia possa continuare ad operare, in assenza di apposita autorizzazione;
I gestori degli impianti che ricadono nel campo di applicazione della norma restituiscano annualmente all’Autorità Nazionale Competente, quote di emissioni di CO2 in numero pari alle emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera;
L’assegnazione delle quote di emissioni di CO2 ai gestori degli impianti regolati dalla Direttiva è effettuata dall’Autorità Nazionale Competente sulla base della Decisione di assegnazione, La Decisione di assegnazione è elaborata per ciascuno dei periodi di riferimento previsti dal D. Lgs. n. 216/2006. Specificatamente, il primo periodo di riferimento riguarda il triennio 2005-2007. I periodi di riferimento successivi riguardano i quinquenni 2008 – 2012; 2013-2018, ecc. Attualmente è in vigore la Decisione di assegnazione per il periodo 2008-2012.
Le emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera sono monitorate secondo le disposizioni di monitoraggio impartite dall’Autorità Nazionale Competente, comunicate alle stessa secondo le disposizioni di cui al DEC/RAS/115/2006 e sono certificate da un verificatore accreditato dall’ANC. Quindi, in presenza di un “pacchetto di misure UE sul clima” approvato dal Parlamento Europeo, accade che i maggiori produttori di energia elettrica e le altre utilities, in virtù del fatto che per produrre inquinano (utilizzando per lo più fonti non rinnovabili), dovranno pagare per avere i permessi sufficienti a coprire le emissioni di anidride carbonica.
Ovviamente la cosa avrà una ripercussione anche sui consumatori, dal momento che le Aziende interessate, per far fronte all’aumento dei costi, opteranno per un rincaro delle tariffe di fornitura e consumo, spalmando i costi di emissione sui consumatori pubblici e privati.
Le stime ipotizzano un aumento medio del 10% che per una famiglia-tipo significa circa 600 euro l’anno! In un articolo apparso sul Notiziario per l’Ambiente Urbano, on-line, Eco dalle Città, si legge che la exit strategy che stanno perseguendo le aziende energetiche prevede due direzioni:
tentare il gioco di squadra per fare pressione su Bruxelles affinché si rivedano, prima del 2013, gli obiettivi di riduzione di gas serra; puntare sulla ricerca di tecnologie per la cattura dell’ossido di carbonio e, contemporaneamente, promuovere investimenti in Paesi in via di sviluppo, onde beneficiare di sconti sulle emissioni così come stabilito dal “pacchetto clima”.
Nel lungo periodo, infatti, sarà strategico, per il nostro Paese, cercare di abbattere le sue emissioni a partire proprio dal settore energetico, nel quale, però, gli investimenti in ricerca ed utilizzo di tecnologie carbon capture ed energie rinnovabili stentano a partire a favore di utopistiche e vagheggiate soluzioni “atomiche”.
Nel breve periodo, tuttavia, una boccata d’aria (letteralmente) potrebbe arrivare dai settori: trasporti ed edile, i quali possono concorrere ampiamente ad una positiva riduzione delle emissioni sfruttando tecnologie già ampiamente reperibili sul mercato.
È di pochi giorni fa la notizia che il 15 marzo si è svolto a Bruxelles il primo Consiglio dei Ministri dell’Ambiente europei. A rappresentare la Commissione UE erano presenti il neo-Commissario per l’Ambiente Janez Poto nik e la neo-Commissaria per l’Azione sul Clima Connie Hedegaard; mentre per l’Italia c’era il Ministro per l’Ambiente e la Tutela del Territorio e del Mare, Stefania Prestigiacomo.
Tra i numerosi temi affrontati, (Protezione dei Suoli; Biodiversità; Strategia “Europa 2020”; Cambiamenti Climatici) un ampio spazio è stato dedicato alle Emissioni di CO2 nei veicoli Commerciali leggeri.
In particolare è stata discussa la proposta di Regolamento della Commissione UE di limitare le emissioni di CO2 nei nuovi veicoli commerciali leggeri (furgoni). La Commissione UE propone di ridurre le emissioni di CO2 dei nuovi furgoni gradualmente a 175g/km di CO2 per il 75% delle flotte entro il 2014 e al 2016 per il restante, fino a raggiungere i 135g/Km entro il 2020, fatta salva la conferma della sua fattibilità nel 2013. Insieme ai limiti sulle emissioni per le nuove auto adottati l’anno scorso, la Commissione ritiene che la proposta di limitazione per i furgoni sia un tassello importante delle iniziative intraprese per la decarbonizzazione del settore dei trasporti prevista dalla strategia “Europa 2020”. La Presidenza spagnola aveva sostanzialmente ridotto il problema a due questioni:
se l’obiettivo al 2020 fosse adeguato; se i meccanismi di flessibilità e le sanzioni previsti nella proposta fossero adeguati ad assicurare un bilanciamento tra la necessità di ridurre le emissioni di CO2 e la fattibilità degli obiettivi previsti dal Regolamento. In merito, la relazione della Presidenza afferma che c’è stato un ampio sostegno sull’obiettivo a lungo termine, mentre le posizioni si sono diversificate su tempi di riduzione e sulle sanzioni a carico delle Case automobilistiche inadempienti che sarebbero, a giudizio di alcune delegazioni, troppo elevate. Da quanto affermato su EuropeanVoice.com a firma di Jennifer Rankin risulterebbe che a contrastare l’obiettivo intermedio di riduzione del 13% delle emissioni di furgoni entro il 2016 rispetto alle emissioni del 2007 (pari a 203g/Km) sono stati quattro Paesi: Germania, Italia, Polonia e Regno Unito che hanno chiesto un rinvio alla proposta. A guidare le critiche, guarda un po’, sarebbe stata l’Italia che avrebbe sostenuto che le limitate probabilità di miglioramento per ridurre le emissioni dei veicoli commerciali da parte delle Case automobilistiche avrebbero bisogno di altri 3-4 anni per raggiungere l’obiettivo, tanto che secondo Friends of Europe “l’Italia avrebbe ribadito la sua opposizione all’obiettivo del 2020”. Intervenendo nel dibattito, il Commissario per la Lotta ai Cambiamenti climatici, Connie Hedegaard, avrebbe ribadito che l’obiettivo al 2014 è fattibile e che il progresso è stato finora molto scarso e che l’industria automobilistica non fa alcuno sforzo per ridurre le emissioni se non le viene imposto.
Osservando, poi, che il dibattito sui furgoni sta assomigliando a quello verificatosi nel 2008 per le auto, ha dichiarato di non esser stata sorpresa dagli inviti ad allungare i tempi. Ha poi aggiunto che la Commissione UE valuterà quanto scaturito dal dibattito, ma ha ammonito che “quanto più ritardo l’Unione europea accumulerà in questo settore tante più accelerazioni dovrà imprimere su altri per poter raggiungere gli obiettivi prefissati… dobbiamo essere realistici, ma non troppo esitanti”.
Ancora una volta, ci sembra, che l’Italia è pronta a proclami ambientalmente rilevanti quantunque continuamente smentiti e ridimensionati. Il problema appare sia di ordine eminentemente “ottico” ovvero si guarda all’ambiente e alle sue ricadute socio-economiche solo dal punto di vista dei costi, e i costi, si sa, meglio spalmarli sulla comunità piuttosto che caricarli su grandi, possibili finanziatori.