UNA MOSSA CHE SALVA LE CASE AUTOMOBILISTICHE… MA L’AMBIENTE?

Una riflessione “fuori dal coro” su una strategia di sostegno all’impresa dal “fiato corto”

Puntuale, come ogni anno a questa parte, col finire della bella stagione, le colonne di quotidiani, periodici e siti specializzati, cominciano a riempirsi di dichiarazioni d’intenti, dati, report analisi e dotte dissertazioni, nonché esempi concreti di”buone pratiche” e “best technologies”. Il problema di fondo è sempre quello: diminuire la concentrazione di inquinanti gassosi e particolato atmosferico che attanaglia le vie respiratorie dell’opulento e mobilissimo Occidente. Il tutto, in un momento che vede, ancora una volta, l’Italia fanalino di coda dell’Europa per quanto riguarda Piani e progetti (realizzati) volti alla mobilità sostenibile e alla diminuzione dello smog derivante dal traffico veicolare Come avvenuto per altri settori, anche quello della mobilità si ritrova, purtroppo, ad essere una voce in “perdita” nel bilancio della qualità della vita dei cittadini europei.

Se da un lato, infatti, la libertà conquistata col perseguire sistemi economici capitalistici ha portato un diffuso benessere in appena quarant’anni dalla più grande esperienza bellica mondiale, dall’altro, l’esigenza di aver a disposizione, sempre e comunque, merci, materie o, semplicemente, la possibilità di spostarsi nello spazio, ha finito per congestionare incredibilmente strade ed arterie viarie. Non solo, siccome per anni non si è minimamente pensato al fatto che in un sistema chiuso e finito come quello rappresentato dal pianeta Terra, non è fisicamente possibile lo sviluppo continuo, ci si è illusi con la favola della soddisfazione dei bisogni ad ogni costo. Ma tale miraggio impone, nella realtà, scelte economiche ed industriali piuttosto aggressive nei confronti della fonte primaria di materia prima ed energia: l’ambiente, con tutte le forme di vita ivi comprese (la nostra specie non fa eccezione, in questo senso: tanto dal punto di vista biologico, quanto da quello sociale). Prima si crea il bisogno, poi le condizioni affinché questo venga soddisfatto. Il sogno di Robert Ford (il “papà” della prima industria automobilistica americana, per molti anni colosso dai piedi d’argilla di un sistema economico basato sulle sfruttamento eccessivo delle risorse e sul consumismo sfrenato), per intenderci. Ma soddisfatto il bisogno, l’impresa si dovrebbe fermare? Mai più! Basta lavorare sul prodotto ed ecco nascere nuovi bisogni. Per un po’ il meccanismo ha tenuto, la storia degli ultimi trent’anni ce lo ha dimostrato e tutti (pur rinunciando a certi aspetti della vita e della salute), ci abbiamo guadagnato. Ma a che prezzo? Prima o poi, giunge il momento in cui i miraggi si palesano per quello che effettivamente sono, ed ecco che, fatti salvi gli episodi puntuali di crisi economica e normali fluttuazioni del mercato, ci si è improvvisamente resi conto che i compratori non sempre sono perennemente disponibili all’acquisto di nuovi prodotti, quand’anche ingolositi da costi vantaggiosi o performance strabilianti. Nel settore delle auto la crisi è aperta da tempo e analizzati i dati del primo semestre di ogni anno, la questua è sempre la stessa: servono gli incentivi. Per meglio indorare la pillola, qual- che copywriter avrà pure ben pensato di inserire il prefisso “eco”, tanto per stuzzicare qualche corda e stimolare portafogli riottosi, dando, al contempo, l’ulteriore illusione a governanti ed amministratori pubblici di agire in nome e per conto di una mission etica perché rivolta al bene dell'”ambiente” Per carità, non che un rinnovo del vetusto parco auto circolante non apporti alcuni benefici alla qualità dell’aria, ma fintanto che le vetture saranno alimentate a derivati del petrolio, sarà dura eliminare le emissioni di gas serra a partire da quelle direttamente imputabili al traffico. E poi, le autovetture emettono solo quando circolano oppure, ad ognuna non è del tutto impossibile associare una quota di emissione derivante dal suo ciclo di produzione e dal suo ciclo di fine vita? Quindi, ammesso e non concesso che si riuscisse (solo in Occidente, poi) a rinnovare l’intero parco auto circolante con vetture meno (non assolutamente) inquinanti, i benefici per l’ambiente e la salute sarebbero comunque pochi. Tuttavia, non si può non considerare che dietro il problema rappresentato dagli autoveicoli c’è tutto un mondo industriale che coinvolge migliaia di operatori. E infatti, ecco pronto, sempre, lo spauracchio dei licenziamenti di massa per quelle Case che non riescono a vendere in ragione dei livelli produttivi di dieci o vent’anni fa. Anche il settore dell’autodemolizione, seppur in maniera indiretta beneficia dei contributi alla rottamazione (sempre che il ciclo ELV proceda come ipotizzato dalle normative). Quindi, ogni anno, notevoli somme di denaro pubblico, vengono storna- te verso aziende private che danno sì, lavoro a tanti, ma lo fanno rischiando soldi di tutti a fronte di guadagni che non ricadono sulla comunità o meglio, se vi ricadono sotto forma di stipendi, debbono tuttavia essere ridimensionati dai costi (pubblici) relativi alla salute, alla tutela della qualità dell’aria, alle parcelle dei mobility manager comunali, ecc. La cosa assurda, poi, è che collegato al comparto automobilistico, c’è quel- lo relativo all’implementazione delle infrastrutture. L’imperativo è: puntare a vendere più auto e costruire più strade. Ma per andare dove? La Terra è sempre quella e proprio gli spazi dedicati al sostentamento delle specie (compresa la nostra), vanno riducendosi drasticamente. Continuare ad incentivare il mercato dell’auto, può dare una boccata d’ossigeno ad un sistema economico e sociale sull’orlo del baratro, ma i maligni (o i cinici realistici) chiosano tirando in ballo espressioni più forti che alludono a porzioni ben più discrete della coscienza umana: “accanimento terapeutico” e “alimentazione forzata”. Forse occorrerebbe incentivare la riduzione della produzione tradizionale ed una riconversione delle filiere verso pro- dotti tecnologici veramente più utili.


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