DAL WWF LA RICETTA PER LA RIVOLUZIONE SOSTENIBILE DEI TRASPORTI
Presentato il piano di azione che in 12 mosse punta a rorientare il sistema dei trasporti italiano verso la riduzione dei consumi e dei gas serra prodotti
L’umanità impiega solo 10 mesi a bruciare tutte le risorse energetiche che la Terra produce in un anno. È quanto emerge da una ricerca condotta dal Global Footprint Network. Per quest’anno siamo dunque già in debito ecologico con la Terra: abbiamo già consumato il potenziale energetico che avevamo a disposizione per il 2009. La colpa? Anche dei trasporti. Se poi si considera che i tra- sporti sono anche al primo posto per l’emissione dei gas serra fra i settori di consumo energetico finale, la sfida che punta a dare una sterzata ecologica al trasporto verso orizzonti più sostenibili diventa doppia: ridurre il sovraconsumo ed evitare l’accumulo di CO2 nell’atmosfera. Parte da qui la nuova rivoluzione del trasporto lanciata dal WWF nel Dossier “Potenziale delle misure di riduzione del gas-serra nel sistema de trasporti italiano”, realizzato con la collaborazione del Gruppo Allianz.
Il Rapporto, che fotografa la situazione generale del tra- sporto italiano ricostruendo il quadro delle emissioni di CO2 che questo produce, si spinge oltre e azzarda anche alcune soluzioni concrete per la riduzione delle emissioni. Lungi dall’ipotizzare uno scenario futuribile, lo Studio avanza risposte concrete e facilmente applicabili per risolvere il problema dell’inquinamento del traffico automobilistico, quello che più incide sulla crescita delle emissioni climalteranti, sviluppando un piano in 12 punti per ridurre, nell’immediato futuro, del 25-30% le emissioni di CO2 in atmosfera. Invertire la tendenza in corso si può, anzi si deve, dice in breve lo studio. Bisogna cambiare rotta. L’attuale sistema dei traporti italiano, basato per lo più sulla mobilità stradale, è insostenibile: il trasporto su strada consuma troppo e produce troppe emissioni. A confermarlo sono i dati. Secondo quelli raccolti dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, dal 1990 al 2006 le emissioni prodotte dal settore dei trasporti sono cresciute del 28,1%. Eppure la mobilità di molti Paesi europei nord-occidentali, dove l’aumento è stato molto inferiore, sembrerebbe viaggiare in direzioni diverse. Ne sono un esempio la Francia (+17%), il Regno Unito (+15%), la Svezia (+9%) e la Germania (-2%). Ma non solo crescono le emissioni generate dal trasporto, ma cresce anche l’incidenza del trasporto sulla produzione di CO2. Nel 2000 il settore italiano dei trasporti ha prodotto quasi 104 milioni di tonnnellate, oltre il 23% del totale nazionale netto. Poca cosa, paragonata ai dati del 2006: 133 milioni di tonnellate e oltre il 28% del totale netto nazionale. La quota di emissioni imputabile al settore dei trasporti sarebbe quindi cresciuta, nei 16 anni considerati, di circa 5 punti percentuali. Tra tutti i settori di consumo energetico finale, quello dei tra- sporti , quanto ad effetto serra, è dunque il più “costoso”. Con quasi 123 milioni di tonnellate di emissioni il trasporto su strada, supera qualsiasi altra forma di trasporto, generando ben il 92% del totale netto (vedi grafico 1). Seguono la navigazione marittima (12,8 milioni di tonnellate), quella aerea (12,1 milioni di tonnellate) e infine il trasporto ferroviario (0,4 milioni di tonnellate). Altre modalità di trasporto contribuiscono solo per circa 1 milione di tonnellate. Tra tutte le forme di trasporto, la mobilità stradale è la meno “conveniente” e la più “cara” anche per consumi. “Il trasporto su strada – si legge infatti nel Dossier del WWF – costituisce di gran lunga, a livello nazionale, la prima sorgente di consumi energetici, e conseguentemente di emissioni serra, da traffico”. Secondo il Bilancio Energetico Nazionale (BEN), tra il 1990 ed il 2006 gli usi finali complessivamente imputabili al settore dei trasporti sono aumentati da 39,5 a 55,0 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep), con un incremento superiore a quello registrato in ogni altro settore. Ma tra tutte le modalità di trasporto quello che consuma di più è quello stradale. Nonostante la sua incidenza sul totale dei consumi sia risultata leggermente diminuita, passando dal 77,3% del 1990 al 71,8% del 2006, in termini complessivi, tra il 1990 ed il 2006 i consumi energetici del settore hanno subito un incremento sostanziale, passando da 30,5 a 39,5 milioni di tep. Insomma, lo scenario attuale del trasporto italiano è ormai insostenibile. Di questo passo, di qui al 2020, le emissioni climalteranti imputabili al settore dei trasporti ammonterebbero, su scala nazionale, a 180-190 milioni di tonnellate di CO2 equi- valenti/anno, con uno scarto del 75-80% e un aumento di circa il 25-30% rispetto ai livelli attuali. Di qui la necessità di una “rivoluzione sostenibile” della mobilità italiana. A dispensare la ricetta è lo stesso Rapporto, elaborato per il WWF, dalla società di ricerca Polinomia, che individua un elenco di strategie integrate ed ecostenibili, dall’elevato potenziale di risparmio energetico e di emissioni. “In realtà – si legge nel Dossier- non esiste alcuna ricetta facile, ma al contrario vi sono molti elementi per sostenere che ogni risultato significativo e perdurante nel tempo richieda politiche integrate ed attente, basate su mix di misure efficaci ed equilibrate. A tale proposito, pare necessario agire quanto meno su tre livelli, assai differenziati in ordine alle loro implicazioni sociali, economiche ed organizzative, sia interne che esterne al settore: a) incentivare l’innovazione tecnologica, orientandola verso obiettivi di effettiva compatibilità ambientale; b) riorganizzare radicalmente l’offerta di trasporto, sviluppando un sistema integrato nel quale ciascuna tecnologia venga usata entro un intervallo di ragionevole efficienza tecnica; c) raffreddare la domanda di mobilità, riorientando le dinamiche dei consumi verso una maggiore qualità dell’esistenza”. La sterzata verso la sostenibilità della mobilità su strada arriva dunque da misure di carattere tecnologico, da misure relative all’offerta di trasporto e da interventi di governo della domanda di mobilità, 12 misure per ridurre, nell’immediato futuro, le emissioni di CO2 in atmosfera, contribuendo alla lotta ai cambiamenti climatici in atto. Misure di carattere tecnologico Tali misure consistono in due tipi di interventi: 1)modifiche delle dimensioni dei veicoli; 2) modifiche dei motori; Il downsizing delle autovetture circolanti e il miglioramento delle loro prestazioni d’uso e delle loro prestazioni ambientali sono dunque le prime misure di risparmio energetico e di riduzione delle CO2. Secondo il Rapporto, il parco auto circolante ideale dovrebbe quindi essere composto da auto più piccole e da auto ibride. Niente di nuovo. Del resto, il target di 140 g di CO2/vkm da applicare ai veicoli di qualunque dimensione, fissato dall’Unione Europea non fa altro che incentivare alla riduzione delle cilindrate e delle potenze installate. Misure di riorganizzazione dell’offerta di trasporto. Tali misure includono i seguenti interventi: 3) il sostegno alla mobilità non motorizzata (pedoni e ciclisti). L’invito alle amministrazioni è quello di “mettere in rete” gli itinerari locali, garantendo uniformità di trattamento alle direttrici principali e il superamento delle principali discontinuità (corsi d’acqua, barriere infrastrutturali, ecc.). In questo modo, sostituendo anche solo il 2% della mobilità di ogni italiano (ovvero circa 500 metri), con spostamenti a piedi o in bici, avremmo un risparmio di CO2 di oltre 2 milioni di t/anno. 4) Il potenziamento delle reti del trasporto pubblico e il suo adeguamento in base alle esigenze dei cittadini. Occorre apportare modifiche qualitative all’offerta di trasporto collettivo e renderlo più attrattivo, senza però incrementare il parco veicoli, ma aumentando il loro coefficente di occupazione. I consumi pro-capite di un autobus con 3-4 persone a bordo sono infatti paragonabili a quelli di un autovettura con il solo conducente. Diventa pertanto necessaria l’integrazione delle reti, degli orari e delle tariffe affichè il 10% della mobilità, di qui al 2020, passi dall’auto al trasporto pubblico, con un risparmio delle emissioni dell’ordine di 2,4 – 3,5 mln di t/a. 5) Gli interventi di trasferimento modale nel campo del trasporto merci, ovvero l’introduzione di incentivi per il trasferimento modale delle merci (da strada a ferrovia e navigazione marittima). 6) I potenziamenti e gli adeguamenti della rete stradale/ autostradale. 7) L’imposizione di limiti di velocità autostradali più restrittivi. La rimodulazione dei limiti di velocità autostradali, rap- presenta una forte misura di contenimento dei consumi energetici e dell’inquinamento atmosferico, oltreché dell’incidentalità. Non bisogna tuttavia sottovalutare che il rallentamento del traffico sugli itinerari autostradali determinerebbe una deviazione di flussi veicolari verso la rete stradale ordinaria, con ripercussioni ambientali diverse da caso a caso: nei casi in cui gli itinerari alternativi siano rappresentati da strade extraurbane poco trafficate, le prestazioni ambientali non andrebbero vanificate, nel caso invece in cui gli itinerari alternativi siano rappresentati da strade urbane congestionate, il bilancio ambientale non sarebbe affatto positivo. 8) Citylogistik, ovvero l’implementazione di politiche di “logistica urbana” e Multimodal Transport Operator (MTO). Sostenere politiche innovative per la riorganizzazione del- la distribuzione delle merci attraverso l’innalzamento del coefficiente medio di carico dei veicoli industriali su scala urbana, migliora l’efficienza, anche ambientale ed energetica, del sistema dei trasporti. Il miglioramento delle prestazioni energetiche, determinato dagli schemi di city logistik, è dovuto infatti a due fattori: a) la diminuzione delle percorrenze veicolari a parità di consegne effettuate; b) la diminuzione dei consumi e delle emissioni unitarie associata all’utilizzo di mezzi più efficienti. 9) Si delinea così una nuova figura professionale: il Multimodal Transport Operator (MTO), ovvero l’operatore che agisce nel settore della logistica multimodale integrata in grado di ottimizzare i flussi di traporto individuando i siti di stoccaggio delle merci più idonei. Si ridurrebbero in questo modo i chilometri percorsi e di conseguenza anche la quantità di CO2 prodotta. Misure di governo della domanda di mobilità Sono le misure sviluppate per regolare e frenare l’andamento della domanda di mobilità. Tra le misure proposte per orientare la domanda, alcune fanno leva su politiche tariffarie studiate ad hoc, alter sullo sviluppo di schemi logistici integrati volti alla riduzione dell’intensità di trasporto merci, altre ancora sulla pianificazione territoriale e su quella infrastrutturale. 10) Demandside management (DSM), in campo logistico. Si tratta della taduzione, tutta italiana, applicata al sistema dei trasporti, delle misure adottate dalle grandi imprese energetiche private degli Stati Uniti che, a fronte di una domanda di energia crescente, piuttosto che investire in nuove centrali, hanno scelto di orietare i propri utenti verso l’efficienza energetica, incentivandoli all’acquisto di dispositivi a basso consumo energetico tramite tariffe in base al risparmio energetico ottenuto. Trasposta nel campo dei trasporti e della logistica, la misura implicherebbe un graduale, ma sostanziale, aumento delle tariffe applicate per l’uso delle reti al traffico commerciale e di conseguenza alla razionalizzazione e all’ottimizzazione dei flussi di trasporto. La riduzione del 5% delle distanze medie percorse dalle merci porterebbe su scala nazionale ad una riduzione di circa 3,2 milioni di 3,2 t di CO2 (-2,8% rispetto ai livelli del 1990). 11) Coordinamento trasporti-usi del suolo: politiche ABC. Considerato che buona parte della crescita della domanda di mobilità, registrata nel corso degli ultimi 15-20 anni, dipende dallo smisurato sviluppo urbano ed insediativo, l’integrazione tra pianificazione dei trasporti e degli usi del suolo diventa un imperativo nella progettazione-programmazione urbana. Ma come è possibile l’integrazione? Secondo il Report del WWF, attraverso l’introduzione di criteri selettivi e/o incentivi che consentano di realizzare espansioni urbane solo nelle aree dove si sviluppi anche la rete di trasporto pubblico.La cosiddetta politica “ABC”, che ricerca la coerenza fra profili di accessibilità e tipi di attività insediate nelle singole zone urbane è alla base della pianificazione territoriale nei Paesi Bassi. Se correttamente introdotta, tale misura consentirebbe di deviare lo 0,5% della domanda di mobilità dalla strada al trasporto pubblico, contribuendo ad una riduzione delle emissioni di CO2 do oltre i 4 milioni di t/anno. 12) Patti territoriali di accompagnamento alle gradi infrastrutture. Considerato che la realizzazione di ogni nuova infrastruttura influisce direttamente sulla domanda di mobilità, è necessario definire veri e propri Patti territoriali con cittadini ed enti locali che consentano di realizzare infrastrutture funzionali a soddisfare una mobilità locale extraurbana e abbiano effetti benefici sulla riqualificazione, sul riordino e sul riuso urbano. Lungi dall’essere esaustivo e definitivo, l’elenco delle 12 azioni presentate nel Dossier del WWF e riassunte nel box, non è altro che “un insieme evidentemente aperto – si legge nel Rapporto stesso – tale da trasformare la costruzione di ogni strategia di sostenibilità nel settore in un vero e proprio work in progress”. Ma il WWF non si limita alla semplice “lista della spesa”. A conferma della praticabilità delle soluzioni proposte, il Dossier, inviato anche ai Ministri dei Trasporti e delle Infrastrutture e dell’Ambiente, snocciola anche i numeri delle stime di CO2 che ogni singolo intervento contribuirebbe a ridurre (vedi tabella 2). Certo, si tratta di stime e il condizionale rimane d’obbligo. Eppure, di fronte ai dati reali sull’aumento delle emissioni di CO2 negli ultimi anni, l’invito del WWF a invertire la rotta, suona anche come un monito. Si può fare. Anzi, si deve fare!