AUTODEMOLITORI NELLO STALLO

Quale futuro per la categoria?

Pochi impianti per trattare rifiuti e poco mercato per i prodotti da riciclare. Sono le due facce di una stessa medaglia, quella della realtà dell’autodemolizione in Italia, sempre più costretta a fare i conti con un mercato dei pezzi di ricambio bloccato, discariche al limite e inceneritori sotto-utilizzati. E i piazzali sovra-affollati sono il segno più evidente del rischio-chiusura che minaccia la categoria degli auto- demolitori. Alle prese con i vincoli e le prescrizioni di una normativa di settore articolata e complessa, (D.Lgs. 209/2003 sulla Nuova disciplina per la gestione dei veicoli fuori uso), volti a stabilire il raggiungimento di percentuali prefissate di reimpiego e riciclaggio dei materiali di scarto, le caratteristiche impiantistiche e a disciplinare la messa in sicurezza dei centri di raccolta, le fasi di trattamento e smaltimento dei rifiuti pericolosi e non, l’autodemolizione di oggi è chiamata sempre più a fare i conti anche con un mercato stagnante che non permette di smaltire i pezzi di ricambio. Quale destino allora per vetri, paraurti e portiere che affollano i piazzali dei centri di autodemolizione? E, soprattutto, quali scenari si prospettano per gli autodemolitori? Di certo, non rosei. Se poi si considera la situazione off limits delle discariche italiane, il quadro assume tinte ancora più fosche. Basta dare un’occhiata ai dati, per rendersi conto della situazione.

Quelli contenuti nel rapporto “Gli impianti per il trattamento dei rifiuti in Italia” e snocciolati da Fise-Assoambiente, l’Associazione che in Confindustria rappresenta le aziende che operano in campo ambientale, non sono affatto confortanti. Secondo tali dati, considerando il ricorso continuo al conferimento in discarica come principale forma di smaltimento dei rifiuti, sia per i rifiuti urbani (47%), sia per quelli speciali, pericolosi e non (44%), a breve l’Italia dovrà fare i conti con l’esaurimento delle capacità residue disponibili. Tra due anni le discariche distribuite sul territorio nazionale raggiungeranno i limiti autorizzati e non potranno più accogliere rifiuti. Salvo nuove autorizzazioni o ampliamenti delle capacità esistenti, le discariche italiane rischiano il col- lasso. O meglio, l’emergenza rifiuti in Campania, da eccezione rischia di diventare la regola. Ovunque. È questo lo scenario che emerge dalla ricerca, curata dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile, che ha passato al vaglio gli impianti di trattamento dei rifiuti presenti in Italia, fotografando una situazione al limite del possibile, che sfiora l’emergenza. Colpa dell’eccessivo ricorso alla di- scarica. “In discarica – precisa Edo Ronchi Presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile – finisce oltre il 70% dei rifiuti al sud e all’incirca il 60% al centro”. Insomma, il 50% dell’immondizia in Italia viene smaltita nei depositi a cielo aperto. Tra le regioni più vicine all’emergenza, quelle del Sud: Campania, Sicilia e Puglia. Ma è allarme anche al Nord. La situazione si fa critica anche in Veneto, in Piemonte e in Liguria. A fare da contraltare al sovra-utilizzo delle discariche, il sotto-utilizzo dei termovalorizzatori. La seconda edizione del “Rapporto sul recupero energetico da rifiuti urbani in Italia,” elaborato congiuntamente da ENEA (Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente) e Federambiente, ha individuato sul territorio nazionale, alla data del 31 dicembre 2008, 51 impianti operativi per il trattamento termico di rifiuti urbani e di alcune categorie di rifiuti speciali. Sebbene i quantitativi annui di rifiuti urbani trattati termicamente siano passati da circa 1,57 milioni di tonnellate del 1996 a circa 3,75 milioni di tonnellate del 2007, la percentuale dei rifiuti, urbani e speciali, avviati all’incenerimento in Italia è pari al 12%, ben al di sotto della media riscontrata in ambito europeo (oltre 20%). Per quanto riguarda il settore riciclo le cose non vanno meglio. Ad ostacolarne la crescita, oltre alle difficoltà “tecniche” legate alla raccolta differenziata e allo sviluppo tecnologico degli impianti di riciclo, anche quelle legate al potenziamento degli sbocchi di mercato per le materie prime secondarie, specie in questo momento di crisi dei mercati e di crollo delle quotazioni dei materiali. Così, si legge nel Rapporto, “pur essendo aumentata negli ultimi anni la tendenza al riciclo ed al recupero, resta predominante l’impiego della discarica come forma di smaltimento (mediamente oggi pari al 34% della produzione totale di RU a livello di UE-15)”. Di qui l’allarme discariche e il rischio tracollo nei prossimi due anni: in assenza di necessarie soluzioni alternative, scrive Assoambiente, “non sarà possibile gestire a livello nazionale i rifiuti non avviabili al riciclo (circa 59,3 milioni di tonnellate nel 2007) e quelli prodotti al termine dei processi stessi del riciclo”. La ricerca dell’alternativa diventa quindi urgente, oltre che necessaria. A destare poi ulteriore preoccupazione sono i tempi amministrativi e tecnici per realizzare, non tanto nuove discariche, ma eventualmente anche sistemi a tecnologia complessa, come, ad esempio, gli impianti di incenerimento: da 4 a 6 anni è il lasso di tempo necessario per la progettazione e messa in funzione di impianti simili. “Per evitare future probabili situazione di emergenza, – sostiene Pietro Colucci, Presidente di FISE Asso- ambiente – è necessario promuovere un sistema impiantistico integrato, generazionale (almeno 20 anni), supportato da un quadro normativo stabile ed omogeneo, caratteristica fondamentale per garantire i necessari investimenti. A ciò si deve aggiungere una regolazione del mercato che favorisca lo sbocco dei materiali riciclati, per evitare la sottoutilizzazione delle capacità autorizzate, il blocco del- lo sviluppo di processi tecnologici e il mancato raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati in ambito europeo”. E in attesa di ciò, che fare? Agli autodemolitori non resta che stare a guardare. A loro, tutt’al più, è concesso sperare in un’inversione di tendenza.


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