RIPRENDIAMOCI LA CITTÀ
Legambiente ha presentato una rassegna mondiale sulle città che hanno sposato la causa ambientalista e vivono (meglio degli altri) senz’auto
La città è fatta per gli uomini, non per le automobili. Questo è l’assunto da cui Legambiente è partita per redigere il dossier “Costruire città senz’auto”, presentato a Milano, presso la Fondazione Riccardo Catella, in occasione del convegno organizzato per l’anniversario del Protocollo di Kyoto. Il Dossier raccoglie tante storie di successo: quel- le di interi quartieri di città europee, ma anche asiatiche e americane, costruiti secondo le regole della vivibilità, della condivisione, del minor impatto possibile sull’ambiente; in una parola cafree, libere dall’auto. Vivere in quartieri simili sarebbe il sogno di molti e se è vero ciò che diceva Delmore Schwartz, ossia che “nei sogni cominciano le responsabilità”, l’Italia deve “sognare” in grande. Il nostro Paese, in tal senso, è il fanalino di coda dell’Europa, come ha evidenziato il Presidente dell’Istituto Ambiente Italia, Maria Berrini.
La nostra televisione seguita a bombardarci con spot pubblicitari che ci propongono l’automobile come estensione dello spazio vitale, come alleato indispensabile delle nostre giornate lavorative o ricreative, o anche solo come oggetto del desiderio, da sfoggiare a suon di clacson per le strade o da tenere in garage come un’ingombrante bomboniera. Crisi o non crisi, nel Bel Paese il rapporto tra cittadini e numero di automobili è altissimo, al limite del preoccupante: a Milano ci sono 63 auto ogni 100 abitanti e a Roma si sale addirittura a 76. L’italiano medio si lamenta dell’aria irrespirabile, della mancanza di parcheggi, di ritardi ormai cronici, dovuti a code chilometriche, per arrivare sul posto di lavoro; ma anche nelle città più trafficate continua ad optare per il mezzo privato. Qualcosa, però, sembra muoversi: potrebbe essere proprio Milano ad ospitare il primo quartiere carfree d’Italia; in vista dell’Expo 2015 (dove i visitatori non potranno raggiungere la sede con mezzi propri), Legambiente ha proposto al Comitato promotore di collaborare alla costruzione di un quartiere libero dalle auto, che sarà perfettamente “funzionante” nel 2016. Il capoluogo lombardo sarà, altresì, scenario del grande progetto “Green Life: costruire città sostenibili”, una Mostra internazionale sui quartieri car-free e sulle città europee che hanno intrapreso politiche eco-sostenibili, che sarà inaugurata nel 2010. Manfredi Catella Amministratore delegato di Hines Italia, presente al Convegno, sembra fiducioso sul fatto che Milano, come prima rappresentante dell’Italia in tal senso, possa essere di stimolo anche per altre città, non necessariamente province, ma anche piccoli paesi. La rassegna curata da Legambiente presenta un ventaglio di casi esemplari, che dimostrano come si possa vivere meglio la vita in città senza possedere un’auto propria. Prendiamo come primo esempio una città abbastanza vicina noi, Vienna; qui c’è il Nordmanngasse, un’area residenziale in cui è consentito l’insediamento previa una firma che vincola il futuro abitante a non possedere un mezzo privato. In questa sorta di paradiso urbano vivono all’incirca 600 persone, che usufruiscono di un’ottima rete di trasporti pubblici o si muovono a costo zero, pedibus calcantibus oppure in bicicletta, e che degli spazi (e denari) risparmiati ne fanno aree verdi e servizi di pubblica utilità. Forte del successo di Nordmanngasse, dove la qualità della vita e dell’aria sono nettamente migliori rispetto a quella di noi poveri cittadini “affumicati”, Vienna ospiterà anche Bike City, che ha già qualche migliaio di aspiranti residenti a contendersi le previste 99 unità abitative e che baserà tutto il proprio sistema di mobilità sul caro vecchio “pedalare!”. Se proviamo a spostarci idealmente in Inghilterra, troviamo anche qui degli spunti di riflessione interessanti. Paragonata a Londra, la nostra Roma non fa una bellissima figura: la capitale inglese, infatti, ha solo 36 automobili ogni 100 abitanti, perché ha saputo rendere molto più che efficienti i trasporti pubblici, in particolare “The Tube”, la famosa metropolitana che consente una mobilità fluida e celere ad un prezzo contenuto e a grande velocità di servi- zio, se si pensa all’abbonamento in card elettronica. Non è un caso se è diventata uno dei simboli di Londra, assieme ai bus rossi. In tema di insediamenti inglesi cafree, Legambiente cita il Beddington Zero Energy Development, meglio noto come BedZED, situato proprio in una zona dismessa di Londra (Sutton), e Slateford Green, quartiere di Edimburgo: le scuole, i negozi e i servizi che hanno in comune sono dislocati in modo da poter essere raggiungibili a pie- di. Inoltre a BedZED tutte le case sono dotate di pannelli fotovoltaici, i mobili degli appartamenti sono in plastica riciclata e le acque piovane e di scarico vengono raccolte, depurate e usate per irrigare le piante. Ci si sposta con macchine elettriche oppure si ricorre al car sharing. Da noi car sharing è un’espressione ancora poco conosciuta, ma la condivisione dell’automobile è destinata a far parlare di sé, grazie all’aumento delle città aderenti ai circuiti ICS (Iniziativa Car Sharing). Si tratta di prenotare via internet un periodo di tempo, anche breve, in cui usare una macchina messa a disposizione da un parcheggio abilitato, usufruirne e poi riportarla a destinazione, abbattendo così tutti i costi fissi e pagando solo il costo di utilizzo. Nei quartieri inglesi cafree si incentiva l’uso della Re- te per fare shopping, con l’intento di risparmiarsi un po’ di emissioni nocive per fare, magari, rifornimenti di tè. Un ottimo esempio di riqualificazione di aree industriali dismesse lo fornisce una città svedese, Malmö, ex centro siderurgico, che vanta una bassa percentuale di automobili (solo il 35% delle famiglie ne possiede) e soprattutto ospita due quartieri con bassa impronta ecologica: • Augustenborg, in cui la percentuale di possessori di auto si attesta al 20%, le biciclette sono il mezzo di trasporto preferito, gli autobus sono alimentati a metano derivato da scarti organici e il car sharing è storia nota; • BO01, comprensivo di 500 abitazioni immerse in spazi verdi attraversati da sentieri pedonali e piste ciclabili. Anche la Germania ha il suo fiore all’occhiello: Vauban, vicino a Friburgo, dove sono stati proprio i cittadini, riuniti in cooperative, a fornire proposte e idee per la riqualificazione di quest’area, prima occupata da caserme e divenuta ben presto esempio brillante di mobilità sostenibile, grazie soprattutto all’efficienza del trasporto pubblico, ma non solo: l’uso di mezzi inquinanti è scoraggiato perché precluso al pagamento delle tasse che comporta; paga solo chi possiede un mezzo proprio. A Neuchâtel, in Svizzera, sta per terminare la costruzione di Ecoparc, una zona residenziale progettata secondo i dettami dello sviluppo sostenibile, nella quale i cittadini potranno in pochi minuti accedere alle aree boschive o al centro urbano e sfruttare la vicina rete ferroviaria per i trasporti, riducendo al minimo l’uso privato delle auto, anche considerato che il limite di velocità è fissato sui 15 km/h. Tramite questa casistica, il Dossier di Legambiente riporta all’attenzione i principi del New Urbanism, il movimento statunitense fondato intorno al 1980, che si proponeva di abbattere il vecchio modello “grattacielo-strada-villetta- ipermercato”, e di studiare nuove soluzioni architettoniche con l’obiettivo di riqualificare la vita cittadina, abolendo il concetto di zoning (zone separate destinate ad usi specifici, ovvero solo residenziali, solo commerciali, ecc.) in favore del mixed use zoning (zonizzazione ad usi promiscui). I vantaggi sono evidenti: se i servizi fossero meglio distribuiti nel tessuto urbano, così come i negozi e le aree ricreative, tutto sarebbe più facilmente raggiungibile a piedi o in bicicletta, l’automobile non sarebbe indispensabile, i bambini potrebbero andare a scuola a piedi, finirebbe l’incubo di cercare parcheggi liberi. È chiaro, dunque, che non si può pensare di eliminare le auto in città costruite “per settori”, ma si rende necessaria una progettazione architettonica ad hoc, che garantisca un importante accorciamento delle distanze, una sicurezza maggiore per i pedoni, una rete adeguata di trasporti pubblici. Oggi il perimetro delle nostre città è disegnato dalle automobili parcheggiate, spesso anche sui marciapiedi, ma ormai non ci facciamo più caso. Al contrario, è importante renderci conto delle ingenti quantità di spazio sacrificato a noi cittadini; se un posto auto misura 10 mq, e nella sola Milano ci sono all’incirca 1.620.000 automobili, tra residenti e non, il calcolo è presto fatto: oltre 16 milioni di mq sono occupati da veicoli che resteranno fermi per il 90% del tempo, quando si potrebbe sfruttare quello spazio per campi da tennis, giardini pubblici e molto altro. La soluzione più logica è ridurre drasticamente i parcheggi, come a Londra, dove il numero di posti auto è molto contenuto, proprio per incentivare i trasporti pubblici, ma sembra che i governi locali non prendano nemmeno in considerazione l’ipotesi, anzi facciano costruire sempre più parcheggi sotterranei e non (vedasi la tabella 1). Eppure le città ne guadagnerebbero anche dal punto di vista estetico: al posto di ammassi di ferraglia vaganti, i turisti o gli abitanti stessi potrebbero godere di spazi più vivibili, più aperti, guardare le vetrine in tranquillità e soprattutto portare in giro i bambini in carrozzina, senza che essi ricevano vampate di gas di scarico sul visetto. In passato c’è stato anche un ingegnere del traffico, Hans Moderman, che ha proposto un’alternativa stravagante per ovviare al problema, ossia eliminare la segnaletica stradale per responsabilizzare gli automobilisti che pare notino solo una minima percentuale dei segnali, sottoponendoli ad uno stress maggiore che potrebbe portarli ad abbandonare l’auto in favore di mezzi meno pericolosi. Proposta, questa, accolta con entusiasmo dai 45.000 abitanti di Drachten, in Olanda, dove le macchine circolano sullo stesso piano di pedoni e biciclette, osservando solo due regole: la prima, precedenza a chi arriva da destra; la seconda, ciò che ostacola gli altri sarà rimosso. Quello che è certo, casi limite a parte, è che la tendenza dei paesi più sviluppati è orientata in modo massiccio all’ecologia. Abbiamo già citato il rapporto numerico abitanti/automobili di Londra, ma la vera sorpresa è Manhattan, con sole 13 auto ogni 100 persone, segno incontrovertibile che il progresso non sia necessariamente foriero di consumi incontrollati (vedasi la tabella 2). Non ci riferiamo, però, a Paesi di recente industrializzazione, Cina su tutti, poiché essi si scontrano con questa tendenza, tanto che il tasso di motorizzazione è in crescita sempre maggiore. Ma è altrettanto vero che anche la Cina si sta impegnando nel- la progettazione di mezzi ecologici e, come risulta dal Dossier dell’associazione ambientalista, si prepara addirittura a costruire, entro i prossimi venti anni, ben 400 città ecologiche. Ammirevole anche l’intervento del Brasile, precisamente di Curitiba, nell’ambito dell’eco-sostenibilità. Oltre ad essere quasi un giardino urbano, grazie alle vaste superfici verdi, Curitiba ha messo a punto una particolare gerarchia delle strade, per cui gli autobus, tre volte più lunghi dei nostri e dotati di ampie porte d’accesso, viaggiano su percorsi diversi da quelli riservati alle automobili, così da rendere il traffico più spedito e sicuro. Il risultato è che il 79% dei pendolari sceglie la comodità dei mezzi pubblici, con una riduzione notevole del livello d’inquinamento. E se la migliore qualità dell’aria, il maggior grado di sicurezza e la causa dell’estetica non fossero sufficienti a convincere i governi della bontà di queste soluzioni, il Dossier mette sotto i riflettori un altro aspetto: le residenze in quartieri a bassa motorizzazione si”vendono” alla grande. Molte famiglie vorrebbero far crescere i propri figli, specie se piccoli, in ambienti più salubri, dove i cittadini escono dai gusci solitari delle autovetture e tornano ad essere una comunità. La speranza è che l’appello di Legambiente non cada nel vuoto e che la Milano post-Expo rappresenti per l’Italia solo il primo anello di una lunghissima catena.