MAL’ARIA 2008

Legambiente pubblica il dossier sull’inquinamento atmosferico delle città italiane e stila una classifica dei complessi industriali più inquinanti d’Italia. Un indagine puntuale dei problemi e delle possibili soluzioni. Ne diamo un’ampia sintesi mostrando varie chiavi di lettura.

Anche nel 2007 l’allarme polveri sottili è scattato, puntuale, in gran parte delle principali città italiane che non sono riuscite a rispettare i limiti imposti dalla legge: nella classifica di Legambiente su 63 capoluoghi monitorati 50 hanno superato il valore limite medio giornaliero di 50 _g/m3 per più di 35 giorni nell’arco del 2007 previsto per le polveri sottili (PM10). Torino è in testa con addirittura 190 superamenti, Cagliari 162, Vicenza 140, Reggio Emilia 139. Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia sono le regioni, tutte in pianura padana, in cui si registrano i valori più elevati di giorni di supera- mento del limite giornaliero relativo al PM10. Nella classifica delle città metropolita- ne, dopo Torino c’è Milano con 132 superamenti, Roma con 116, Napoli con 70. Ed il 2008 non sembra essere da me- no. Infatti, sulla scia dell’anno appena trascorso, al 20 gennaio Frosinone ha registrato 17 giorni di superamento, Napoli 13, Milano 12, Firenze 10, Venezia e Bologna 8 e Roma 7.

E se il buongiorno si vede dal mattino… Ma non è solo il 2007 l’anno in cui l’aria di città non ha goduto di buona salute. I dati di Ecosistema Urbano 2008 di Legambiente infatti mostrano come anche nel 2006 il 57% dei capoluoghi di provincia italiani non ha rispettato i limiti di legge previsti per gli ossidi di azoto (NOx), il 40% ha superato il valore medio annuo imposto per le polveri sottili e ben il 46% non è rientrato nei 25 giorni di superamento del limite medio giornaliero previsto per l’ozono a partire dal 2010. Evidentemente, le misure adottate fino- ra dagli amministratori locali (blocchi del traffico, targhe alterne, domeniche a piedi) non sono sufficienti alla risoluzione del problema dell’inquinamento dell’aria in città, dove gli alti livelli di inquinamento sono imputabili prevalentemente al trasporto stradale. In generale, quindi, questi dati poco rassicuranti non sono affatto di buon auspicio dal momento che l’anidride carbonica è il principale gas serra, responsabile dei cambiamenti climatici e che, in base al protocollo di Kyoto, tra il 2008 e il 2012 l’Italia dovrebbe ridurre le sue emissioni del 6,5% rispetto a quelle relative al 1990. Nel settore dei trasporti invece dal 1990 ad oggi queste sono aumentate di oltre il 25% e ora, per pareggiare i nostri conti con il pianeta, dovremmo ridurre di un terzo le emissioni dei trasporti entro il 2010 e fare altrettanto nei dieci anni successivi. Su questo le ultime novità arrivano dal fronte europeo, dove nel mese di dicembre 2008 il Parlamento Europeo ha approvato il “Pacchetto Clima-Energia” che contiene le strategia di eurolandia per conseguire efficienza energetica, risparmio, tutela ambientale, sostenibilità, nonché la mitigazione del processo di Global Warming. (ndr: per maggiori approfondimenti sul Regolamento sui nuovi limiti di CO2 per le auto, si rimanda al box a corredo dell’articolo) Se i trasporti, in particolare quelli stradali rappresentano un importante fonte di inquinamento nel nostro paese, il loro contributo si va a sommare con quello di altri settori altrettanto inquinanti, come quello industriale che nel 2005 ha contribuito all’inquinamento atmosferico con il 30% delle emissioni di SOX (ossidi di zolfo) e degli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) e circa il 25% di quelle di PM10. Idrocarburi policiclici aromatici (IPA), polveri sottili (PM10), benzene (C6H6), monossido di carbonio(CO), ossidi di zolfo (SOX) e di azoto (NOX), sono gli inquinanti considerati nella classifica dei complessi industriali più inquinanti d’Italia stilata in base ai dati riportati nel registro Legambiente – Mal’aria 2008 Per tutti, o quasi, spicca lo stabilimento Ilva di Taranto tra le acciaierie più grandi d’Italia e d’Europa, che da solo emette, sul totale delle emissioni derivanti dagli impianti industriali, ben il 93% degli Ipa, il 40,5% del C6H6, il 73,5% del CO, il 13,9% degli SOX e il 10% degli NOX. Rimanendo su questi ultimi due inquinanti un contributo importante alle emissioni arriva anche dalle centrali termoelettriche e in par- ticolar modo dai tre impianti ENEL (Brindisi Sud, Venezia-Fusina e Genova). Questi dati dimostrano l’urgenza e l’importanza di interventi e miglioramenti nelle attività industriali e di produzione energetica per difendere non solo l’ambiente ma anche la salute dei cittadini che vivono a ridosso di questi impianti, come nel caso di Taranto. Sono ormai noti gli effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico, in particolare delle polveri sottili sulla salute. Gli studi più recenti inoltre, evidenziano il ruolo centrale del PM 2,5 (le polveri sottili di diametro inferiore ai 2,5 _m) e ancor più della frazione ultrasottile (le particelle minori di 0.1 micron: “Ultra Fine Particles” o UFP). La conferma più recente di questa consapevolezza arriva dall’Ordine dei Medici che nel 2007 ha ufficialmente preso coscienza del problema e ha deciso di inserire nel nuovo codice di deontologia medica un articolo dedicato alla “Educazione alla salute e rapporti con l’ambiente”. Questo significa che nel diagnosticare le malattie i nostri medici d’ora in poi dovrebbero tenere presente di dove viviamo e a che livelli di inquinamento siamo quotidianamente esposti. Ma è solo quello che respiriamo che ci fa male o anche quello che “sentiamo”? Uno studio eseguito sugli impatti dell’inquinamento acustico dall’Eurispes stabilisce che nel 2004 erano circa 7 milioni gli italiani affetti da disturbi uditivi e identificava in 7 su 10 il nu- mero di individui esposti ad eccessivi input sonori. Questi dati portano ad una stima economica, basata sui danni diretti ed indiretti, pari a circa 20 miliardi di euro. E in risposta a tutto questo c’è ancora una scarsa attenzione al problema da parte delle amministrazioni che si evidenzia attraverso uno scarso o nullo numero di controlli (dai dati di Ecosistema Urbano 2008 risulta che nel 2006 sono stati 30 i capoluoghi di provincia in cui non vengono eseguiti controlli sui livelli di rumore e solo 8 quelle in cui i controlli in un anno sono più di 100), anche se, come dimostrano i dati del Treno Verde di Legambiente, i livelli di rumore registrati durante il viaggio del 2007 nelle principali città italiane sono ben oltre i limiti di legge. Ma se in Italia non respiriamo certa- mente un’aria salubre, anche in Europa la situazione non è migliore. Il rapporto Ecosistema Europa 2007 di Legambiente e Ambiente Italia su 30 città europee mostra infatti che anche in questo caso nel 45% delle città le concentrazioni medie annue di polveri sottili sono sta-te maggiori della soglia stabilita dalla legge e anche per gli ossidi di azoto la situazione non cambia di molto. Nonostante tutto, sul fronte normativo non sono arrivati i segnali auspicati. Solo il 10 dicembre scorso l’Europarlamento ha varato la nuova direttiva sulla qualità dell’aria, dopo due anni di discussioni. Se i limiti per il PM10 sono rimasti invariati rispetto a quelli già in vigore, tra gli elementi di novità sono stati introdotti gli obiettivi specifici per le polveri fini PM2,5 (25 _g/m3), da raggiungere entro il 2015; ma anche in questo caso non si è tenuto conto degli studi esistenti, tra cui quelli dell’Organizzazione Mondiale di Sanità che indicano come valore guida per questo parametro quello di 10 _g/m3. Anche per quanto riguarda i piani per la qualità dell’aria non sono stati fatti grandi passi in avanti. Si indica infatti l’obbligo di intervnire nel caso in cui i valori superino le soglie fissate dalla legge, ma non vengono specificati nel dettaglio gli obiettivi da raggiungere e i tempi in cui rientrare nei limiti di legge. Inoltre ancora una volta non è stato stabilito un sistema sanzionatorio utile a spronare gli amministratori ad attuare interventi realmente efficaci per migliorare la qualità dell’aria, affidando il tutto agli Stati Membri e al modo con cui recepiranno la normativa e la applicheranno. Fino ad oggi si è visto che, almeno per il nostro Paese, interventi efficaci per migliorare radicalmente la qualità dell’aria nelle città ancora non ci sono. Per vincere la sfida della mobilità e garantire una qualità della vita migliore ai cittadini bisogna innanzitutto creare un nuovo processo culturale mettendo in campo gli strumenti che abbiano un uni- co obiettivo, ridurre il numero di auto in circolazione, aumentando cosi il numero di quelle da demolire e garantendo al tempo stesso ai cittadini una maggio- re libertà di movimento all’interno dei centri urbani. Ma nel frattempo in Italia il tasso di motorizzazione torna a salire e la media si attesta a 62 auto ogni 100 abitanti (erano 61 lo scorso anno), e so- no 72 le città in cui si supera quota 60 e in cinque casi si oltrepassano addirittura le 70 auto ogni 100 abitanti. E a forza di aggiungere utilitarie e SUV, camion, furgoni e scooter, alla fine del 2006 c’è stato il sorpasso: ci sono più mezzi a motore che conducenti. Il garage Italia contiene oggi 50.961.543 veicoli, mentre i potenziali guidatori sono 282.422 di meno. E il bello è che gli spostamenti degli italiani nel 2006 sono avvenuti per il 34,5% del totale su distanze inferiori ai 2 km e per ben il 74% sotto i 10 km. Oggi esistono numerosi strumenti che i sindaci possono attuare per sviluppare un trasporto pubblico efficiente, differenziato e competitivo con il mezzo privato. Accanto agli autobus, filobus e tram si possono mettere in campo il car sharing ovvero quel servizio di auto in condivisione che mette a disposizione degli abbonati diversi veicoli in ogni ora del giorno e della notte (si paga solo per l’uso reale che se ne fa e la si prenota tramite un call center operativo attivo 24 ore su 24), i taxi collettivi, l’intermodalità tra bicicletta e treni metropolitani e tanti altri servizi che permettono ai cittadini di muoversi senza dover ricorrere all’auto privata. Ma perché la sfida della mobilità urbana venga vinta è necessario un ruolo decisivo del Governo centrale. Uno studio dell’Aci ha evidenziato come “le spese per trasporti realizzate in Italia nel corso degli ultimi 25 anni sono state prevalentemente destinate a supportare investimenti tipici delle lunghe distanze (alta velocità, rete autostradale ecc.) piuttosto che intervenire a favore della mobilità urbana”. Invece sono proprio le aree urbane e le grandi aree metropolitane, come abbiamo visto, a denunciare i più ele- vati livelli di pressione ambientale e di congestione da traffico, ed è in questa direzione che occorre orientare una quota significativa dei nuovi investimenti. Si preferisce investire nelle autostrade e abbandonare a se stesso il trasporto pendolare ferroviario che interessa ogni giorno 1.600.000 persone. Ma in attesa che arrivino nuovi finanziamenti dallo Stato, è necessario che i Sindaci mettano in campo misure volte a ricavare i fondi per fare gli inter- venti necessari, sulla scia del road pricing di Milano, attivo dal gennaio 2008. Infatti, il pedaggio per entrare con le quattro ruote nei centri urbani, in ottemperanza al principio comunitario “chi inquina paga”, è un provvedimento in cui è necessario sperare e credere, forti delle esperienze positive di riduzione di traffico e inquinamento in grandi città come Londra e Stoccolma. È indispensabile però che i proventi siano interamente investiti nel potenzia- mento del trasporto pubblico. Se sarà così, le altre grandi metropoli italiane non potranno che seguire l’esempio con l’ auspicio che sia davvero uno strumento utile per combattere smog e congestione, liberando i polmoni dei cittadini che sono in continuo rischio e dando nuova linfa vitale alle strade della città in modo da poter tranquillamente migliorare la qualità della vita e rivalorizzare il nostro territorio cosi bello e invidiato dal Mondo.


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