AUTOMOBILI: FUTURO ECOLOGICO
La crisi del settore e la causa ambientale guidano le ricerche verso un concept di autovetture sempre più orientato al verde
Se si dovesse stilare una classifica delle parole più pronunciate nell’anno appena passato, sul podio ci sarebbe “crisi”. E se è noto che il settore automobilistico, in questo triste domino, è stato uno dei più massacrati, è altrettanto palese che ci siano state ripercussioni anche sull’utenza motorizzata: i cittadini. C’è chi si è aperto una finestrella sul paradiso illudendosi di far camminare la sua auto con olio di fiori (di colza); chi, da ciclista della domenica, lo è diventato dell’intera settimana; e chi, semplicemente, si è tenuto il vecchio macinino a quattro ruote in attesa di tempi migliori. In occidente la parola crisi ha un’accezione quasi sempre negativa, ma sarebbe certo più saggio interpretarla all’orientale: in Cina, infatti, il termine in questione è composto da due ideogrammi, che significano rispettivamente problema (wei) e opportunità (ji), ed è alla prospettiva positiva che si dovrebbe infatti guardare.
Le difficoltà economiche unite a quelle, sempre più pressanti, scaturite dalla poco rosea situazione ambientale, stanno spingendo a ricerche che si diramano in più direzioni: la costruzione di auto più “intelligenti” da una parte e la sperimentazione su carburanti più economici e meno inquinanti dall’altra. Sul primo aspetto ci soffermeremo più tardi, mentre per il secondo basti dire che, dopo i biocarburanti a base di oli vegetali (che hanno forse più contro che pro, come abbiamo detto nel numero precedente) si fanno strada altre ipotesi quali la cellulosa delle piante e la biomassa, per non citare addirittura l’esperimento di un chirurgo plastico che ha prodotto carburante a partire dal grasso estratto dalle liposuzioni! Dunque, unire il problema all’opportunità di miglioramento appare la strada migliore per rinvigorire il settore automobilistico; ma come? Alla fine del 2008 l’allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha finanziato il piano di salvataggio di due delle Big Three americane, ovvero General Motors e Chrysler, con l’erogazione di quasi diciotto miliardi di dollari, a con- dizione di avviare progetti di risanamento entro pochi mesi, cedere al Tesoro azioni senza diritto di voto, riconoscere al Governo il potere di firma e di veto su affari superiori ai cento milioni di dollari e così via. Anche Sarkozy si è dichiarato favorevole agli aiuti al settore automobilistico made in France e ha predisposto sostegni economici che si aggirano intorno ai sei miliardi di euro. Risale a pochi giorni fa la notizia secondo cui anche il premier italiano si sta muovendo in questa direzione stanziando aiuti per sostenere le industrie automobilistiche italiane. Dunque i governi sembrano uniti sul “puntare all’in- novazione assicurando soluzioni che portino efficienza energetica e riduzione di CO2”, per citare il Commissario UE all’industria, Günter Verheugen che così si è espresso durante l’incontro con i Ministri di settore dei Paesi membri dell’Unione Europea tenutosi a Bruxelles lo scorso 16 gennaio. Ed è proprio questo, dopo la doverosa premessa, l’obiettivo che si cela dietro l’opportunità di questa crisi: finanziare la ricerca sulle automobili cosiddette ecologiche. Come si è potuto constatare durante l’ultimo Autoshow di Detroit, il futuro dell’automobile si presenta elettrico e, se vogliamo, anche “elettrizzante”, visto l’entusiasmo che circonda queste novità. Una distinzione fondamentale va fatta tra le auto propriamente elettriche e quelle ibride. Le auto elettriche si muovono grazie all’energia che viene accumulata in una o più batterie ricaricabili e che van- no a sostituire il motore a benzina. Come ha dimostrato “l’antenata” Jamais Contente, il veicolo elettrico progettato nel 1899 e famoso per aver superato la velocità di 100 km/h su pista, anche le auto “a batteria” moderne non trovano rivali in termini di accelerazione, rivelandosi ad- dirittura superiori ai veicoli a combustione interna. Uno dei pregi più evidenti di questa categoria di vetture è lo scarso impatto sull’ambiente, poiché riduce la dipendenza dal carburante fossile, non contribuisce al riscaldamento globale, specie se si tratta di energia pulita come quella eolica, idroelettrica o solare, e azzera le emissioni nocive (parliamo di auto interamente elettriche) e la dispersione di polveri sottili. In più l’auto elettrica attenuerebbe anche un altro tipo di inquinamento, quello acustico, grazie alla silenziosità del motore. Il problema principale riguarda proprio l’alimentazione; se è vero che la ricerca e la produzione delle batterie si è affinata grazie al forte aumento della domanda, dovuto al diffondersi capillare di computer portatili e telefoni cellulari, è anche vero che i tempi non sono ancora maturi per far sì che una macchina possa percorrere migliaia di chilometri con una sola carica. I tempi di percorrenza sono infatti compresi tra i 30 e i 130 km se si utilizzano batterie al piombo – acido, quelle a costo più contenuto; si sale a 200 km con quelle al nickel/metal e si arriva fino a un massimo di 500 km con le batterie al litio. Le vetture elettriche costituiscono dunque la soluzione ottimale se si è pendolari e si percorrono tratti di non lunghissima distanza. È bene sottolineare che ad ogni fre- nata le batterie si ricaricano (si parla appunto di “freno rigenerativo”), ragion per cui i motori elettrici possono essere sfruttati al meglio nei veicoli che necessitano di continue fermate, come ad esempio quelli a uso urbano. Altro punto a favore è la maggiore sicurezza in caso di incidenti, per l’assenza di materiali infiammabili, e della conseguente perfetta recuperabilità dei pezzi. Di fronte a tali benefici, si è portati a chiedersi dove sia l’inghippo. La questione primaria è quella economica, ossia il costo elevato delle batterie, considerata anche la loro relativa- mente breve vita utile (dopo un certo numero di ricariche l’immagazzinamento di energia diventerà gradualmente più basso, esattamente come accade per le batterie al litio dei cellulari). Anche la ricarica si presenta un po’ spinosa: per rifornire di energia le vetture su strada ci vogliono delle stazioni elettriche. La questione non riguarda tanto queste ultime, che potrebbero costruirsi in qualsiasi punto, quanto la durata della ricarica, che a seconda del tipo di batteria varia da un quarto d’ora fino ad alcune ore. Questo porterebbe a tempi biblici di attesa presso tali stazioni di rifornimento. La soluzione alternativa è rappresentata dalla sostituzione della batteria scarica con un’altra, caricata in precedenza, di tipo modulare, da conservare nel bagagliaio e, all’occorrenza, prontamente sostituibile dagli addetti della stazione o da macchine preposte alla funzione. C’è chi però ha fatto notare altri aspetti negativi: alla limitata autonomia e agli alti costi, i detrattori aggiungono la produzione dell’elettricità quasi sempre da fonti fossili (e quindi le emissioni ci sarebbero, se non nell’uso delle vetture, nella loro costruzione) e il prevedibile calo del fatturato sul settore automobilistico e sulle reti di assistenza (data la facile recuperabilità dei pezzi). Le auto ibride sono invece dotate di due sistemi di propulsione. Una coppia di propulsione è costituita dal sistema diesel-elettrico, che alimenta i veicoli tramite un motore diesel e un motore elettrico che sono utilizzati insieme o separatamente, con un notevole risparmio di consumi ed emissioni nocive più limitate rispetto ai tradizionali motori a benzina. Ma si fa sempre più strada la coppia di propulsione termico-elettrica, che a sua volta si suddivide in tre tipologie: ibrido seriale, ibrido parallelo e ibrido misto. Nell’ibrido seriale il motore termico lavora autonomamente, non è collegato meccanicamente alle ruote e ha la funzione di produrre l’energia necessaria ad alimentare il motore elettrico (che consente da subito elevati livelli di prestazione in accelerazione, al contrario dei motori termici che necessitano di un certo numero di giri) e le batterie. Il motore termico lavora indipendentemente dalla velocità del veicolo e si può disattivare manualmente con un pulsante, e di default si spegne anche durante le soste. Nelle vetture dotate di sistema di propulsione ibrido parallelo, entrambi i motori sono collegati alle ruote e possono essere sfruttati in contemporanea o in singolo. La loro architettura non permette al motore a combustione l’in- dipendenza dalla velocità del veicolo come accade nel seriale. Nell’ibrido misto il sistema seriale e quello parallelo sono combinati e consentono grande versatilità al motore. Che l’elettrico sia la soluzione più gettonata del momento è stato dimostrato durante l’Autoshow di Detroit, che ha visto la quasi totalità delle case automobilistiche proporre modelli “ecologici”. Una delle più in vista è stata la Mercedes, che ha coniato uno slogan significativo come “Be Electrified”. Tra le vetture presentate al Salone spiccano la Toyota con l’ultima versione della Prius (la prima risale al 1997), a propulsione ibrida, dotata persino di un monitor multi- funzionale che comprende l’ECO Indicator, che mostra consigli per ridurre i consumi. Gli interni sono ecologici e riciclabili e l’impianto di condizionamento funziona grazie a piccoli pannelli solari montati sul tetto. Un’altra casa giapponese, la Honda, ha presentato Insight, che sfrutta un sistema ibrido parallelo e si propone di diminuire i consumi tramite un sistema Ecological Drive Assistant. L’europea Mercedes punta su BlueZero, una vettura disponibile in tre versioni tutte a propulsore elettrico che garantiscono autonomia in un range compreso tra i 200 e i 600 km/h (a seconda delle configurazioni di guida). È bene citare anche Karma, della casa americana Fisker, una coupé a propulsore ibrido che vanta interni in legno esclusivamente derivato da alberi caduti naturalmente e non abbattuti. In mezzo a tanto ottimismo verso queste tecnologie “verdi” c’è anche qualcuno che storce il naso, come Harald Wester, ingegnere della Maserati, che sembra sminuire il successo previsto per l’elettricità perché subordinato a costi elevati e all’abbandono di una tradizione, come quella dei “macchinoni”, che, in particolare per il popolo americano, sarà difficile da accettare. D’altro canto appare inconcludente ragionare in questi termini sia perché i sostegni dei governi al settore automobilistico sono stati assegnati nell’ottica del rispetto ambientale e sia perché, nel corso della Ministerial Conference on Global and Energy in Transportation (14 – 16 gennaio scorso) di Tokyo si è parlato a lungo di misure restrittive per arrivare, nel 2020, a produrre auto che non superino i 95g/km di emissioni di anidride carbonica. E se si pensa che persino a Maranello, tempio della velocità, è entrato di recente in funzione un impianto fotovoltaico, nell’ambito del progetto Formula Uomo, è segno che i tempi sono davvero maturi per un cambiamento reale, orientato a una maggiore coscienza ambientale e alla salvaguardia della nostra salute. L’elettricità non è la sola valida alternativa ecologica, ma si sta già parlando di energia solare: abbiamo citato la Toyota Prius, con i suoi pannelli solari montati sul tetto per alimentare l’impianto di condizionamento, ma pochi giorni fa la stessa casa nipponica ha dichiarato, sul giornale Nikkei, di stare già lavorando a una vettura che si muoverà soltanto grazie a questo tipo di energia. Ci vorranno anni perché sia lanciata sul mercato, ma le premesse sono ottime. In attesa di acquistare un veicolo di queste tipologie, cerchiamo almeno di rendere più ecologica la nostra filosofia di trasporto con alcuni accorgimenti (se proprio non possiamo andare a piedi o in bicicletta) che ci aiuteranno anche ad “aprire meno” il portafogli: • fare in modo che la guida sia fluida, senza brusche fermate o accelerazioni; • verificare con regolarità la pressione delle gomme, la pulizia del filtro dell’aria e l’efficienza delle candele; • non abusare del condizionatore;
• spegnere il motore durante la sosta con passaggi a livello abbassati;
• moderare la velocità. È costruttivo prendere atto che, in questo campo, non sono solo le case automobilistiche o i governi ad avere la responsabilità sulle sorti dell’ambiente in cui viviamo.