RAPPORTO RIFIUTI APAT 2007: LUCI ED OMBRE DI UNA FOTOGRAFIA DEL BEL PAESE

Mentre le notizie di cronaca martellano l’opinione pubblica come un bollettino di guerra riferendo una visione di per sé drammatica, certo, ma parziale, relativamente alla malgestione dei rifiuti nella regione Campania, il resto d’Italia si culla nella inconsapevole e beata illusione di trovarsi nel “giardino delle delizie”, salvo poi ricredersi appena si staccano gli occhi dalla TV per guardare intorno al proprio microcosmo. Ebbene, in questa situazione in cui l’attenzione di tutti è incanalata verso un unico fenomeno macroscopico, ecco la “doccia fredda” del Rapporto Rifiuti APAT 2007 (che raccoglie e compendia i dati del 2006), il quale, presentato a Roma nella giornata del 6 febbraio alla presenza delle massime autorità dell’ambiente a livello nazionale, ha evidenziato piuttosto impietosamente luci ed ombre di una fotografia in chiaroscuro del Bel Paese. Malgrado proclami, iniziative locali e nazionali, dichiarazioni apodittiche e solenni prese di posizione, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici, conferma sostanzialmente quello che era già sotto gli occhi di tutti: la produzione nazionale dei rifiuti urbani cresce e si attesta, nell’anno 2006, a 32,5 milioni di tonnellate con un trend di crescita, rispetto all’anno precedente, superiore al 2,7% (che in peso corrisponde a circa 860.000 tonnellate di rifiuti). L’aumento più consistente, a differenza degli altri anni presi in esame dai precedenti Rapporti, si evidenza nelle regioni del Nord Italia (+ 3%) a fronte del quasi + 2,9% registrato nelle regioni del Sud e un piccolo, ma significativo, + 1,8% osservato nelle Regioni del Centro. Tuttavia, proprio in quella che apparentemente sembrerebbe “l’isola felice” d’Italia, si evidenzia il valore maggiore procapite nella produzione di rifiuti. Maglia nera, quindi alle regioni dell’Italia centrale che conquistano il triste primato con una quantità annua di rifIuti per abitante/anno quantificabile in 638 Kg. In seconda posizione, proprio gli abitanti del Nord (544 Kg) e “ultimi” in classifica quelli del Sud (509 Kg). Va detto, però, che in termini percentuali sono proprio le regioni meridionali a registrare gli incrementi più alti (circa il 3%) a fronte del + 2,4% delle consorelle del Nord e del decremento delle regioni del Centro (- 0,2%).

Dall’esame dei dati relativi alla gestione dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU) emerge una leggera flessione (- 0,7% rispetto al 2005) del ricorso alla discarica, che però, in termini quantitativi mostra un incremento dell’1,7% che corrisponde a circa 300.000 tonnellate. In questo quadro una piccola nota positiva c’è: il dato relativo alla media nazionale della raccolta differenziata si attesta su un valore del 25,8% della produzione totale dei RSU contro il 24,2% del 2005. Tuttavia, il piccolo risultato raggiunto, positivo certamente in sé, non ci deve far dimenticare che siamo ancora molto lontani dall’obiettivo del 40% che si sarebbe dovuto raggiungere entro il 31 dicembre 2007 così come previsto dalla Legge Finanziaria n. 296 del 2006. In sostanza le 700.000 tonnellate in più di rifiuti raccolti con la differenziata sono state raggiunte grazie al contributo delle regioni del Nord (dove questo sistema di raccolta si sta implementando da vari anni) che registrano un tasso di raccolta pari al 40% a fronte della deludente performance delle consorelle del Centro (20%) e del Sud (10,2%), risultato sconfortante, quest’ultimo, appena mitigato dall’incremento del +19% rispetto all’anno precedente). Per fortuna continua a cresce la quantità di rifiuti da imballaggio avviata a recupero che, per il 2006 registra il dato di 8.000.000 di tonnellate. Buono il risultato raggiunto dalle diverse frazioni merceologiche: il recupero del legno registra un incremento del 5,9%; l’alluminio del 5,3% e la plastica del 6,5%. Si tenga presente che proprio su quest’ultima sembra concentrarsi maggiormente l’attenzione per quanto riguarda l’avvio al recupero energetico, con un incremento percentuale del 2,5% pari a 645.000 tonnellate. Occhi puntati sul delicato e preoccupante tema dei rifiuti speciali che in Italia, così come in altri Paesi dell’Unione Europea, registra un forte aumento dovuto all’accelerazione continua dello sviluppo industriale. La base dati utilizzata per la stima della produzione dei rifiuti speciali è stata l’analisi dei MUD presentati nel 2006, tenendo presente che il D. Lgs. 152/2006 ha apportato rilevanti modifiche per quanto attiene i soggetti tenuti all’obbligo della dichiarazione, esonerando dalla stessa tutti i produttori di rifiuti non pericolosi. Ciò ha causato una apparente diminuzione della produzione di rifiuti speciali non pericolosi nell’anno 2005. In sostanza la quantità di rifiuti speciali prodotta in Italia nel 2005 è stata pari ad oltre 107,5 milioni di tonnellate, così ripartiti: • 55,6 milioni ton.di rifiuti speciali non pericolosi, • 5,9 milioni ton. di rifiuti speciali pericolosi, • 46 milioni ton. di rifi uti speciali non pericolosi da costruzione e demolizione (per i produttori dei quali non esiste l’obbligo di dichiarazione MUD, per cui l’APAT ha proceduto ad una stima del quantitativo prodotto). Nel biennio 2004 – 2005 si è registrata una flessione del 2,5% dei rifiuti speciali non pericolosi (esclusi quelli da costruzione e demolizione) e un incremento dell’8,6% dei rifiuti speciali pericolosi. Ovviamente, la produzione di rifiuti speciali risulta essere maggiore al Nord (62,1%) dove si concentra la gran parte delle attività produttive del Paese, mentre le regioni del Centro e del Sud presentano risultati rispettivamente del 16,7% e del 21,2%. Curiosamente dei 107,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali prodotti, solo 101,6 milioni di tonnellate risultano effettivamente gestiti, di cui il 93% è costituito da rifiuti non pericolosi ed il restante da rifiuti pericolosi. L’APAT ha individuato, nella sua ricerca, che la forma prevalente di gestione dei rifiuti speciali è rappresentata dalle attività di recupero di materia (circa 49,4 milioni di tonnellate), mentre 35,6 milioni di tonnellate sono destinati ad attività di smaltimento e un quantitativo restante pari a 13,9 milioni di tonnellate viene avviato a deposito preliminare o messo in riserva in appositi impianti di stoccaggio (ndr: per una sintesi grafica della gestione dei rifiuti speciali si rimanda alla Tabella pubblicata a pagina 17). Il quantitativo di rifiuti avviati al trattamento chimico, fisico e biologico è pari a circa 14 milioni di tonnellate (+ 7,4% rispetto al 2004) di cui 1,1 milioni di tonnellate, derivanti dalla messa in sicurezza dei veicoli fuori uso. I rifiuti sottoposti ad incenerimento sono pari a 1,1 milioni di tonnellate di cui 520.000 tonnellate di rifiuti pericolosi (46,3% del totale) mostrando una flessione dell’1% rispetto all’anno precedente. Nel Rapporto si specifica che tale forma di gestione è abbastanza diffusa per i rifiuti pericolosi in considerazione del fatto che per diverse tipologie degli stessi (rifiuti sanitari, PCB, ecc.) la normativa individua in tale trattamento una azione prioritaria. Viceversa, i maggiori quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi, inceneriti, sono rappresentati da biomasse. Proprio sulla questione dell’incenerimento dei rifiuti (ndr: per l’elenco degli impianti funzionanti nel 2006 si vada all’apposita Tabella) . Il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Alfonso Pecoraro Scanio, ha voluto fare una precisazione richiamando i presenti sul ruolo dell’informazione nelle problematiche ambientali. “Riguardo ai dati del rapporto APAT – ha detto il Ministro – possiamo dire che servono a ripristinare la realtà dei fatti: oggi anche dove la raccolta differenziata funziona, come al Nord, si fatica ancora a raccogliere la parte organica, che è strategica”. “Togliere l’umido dai rifi uti – ha proseguito – è infatti una questione fondamentale, ma gli impianti di questo tipo sono ancora sottoutilizzati e lo stesso vale per gli inceneritori, mai sfruttati appieno”. “La discussione sui rifi uti, in Italia – ha dichiarato il Ministro – è falsata dalla disinformazione. Per esempio, un finanziamento a chi crea inceneritori come il nostro CIP6 non esiste in nessuna parte d’Europa, ma anche se lo si volesse fare, sicuramente non si toglierebbero le risorse per le energie rinnovabili, come invece succede da noi”. “Oggi servono gli inceneritori – ha concluso il Ministro – se costruiti all’interno di una programmazione ragionevole… Ma abbiamo anche bisogno di altri tipi di intervento, che invece vengono oscurati dagli interessi affaristici e da una strumentalizzazione becera fatta, anche per via mediatica, da affaristi che sono interessati solo agli appalti e non certo all’ambiente”. Una nota di speranza è arrivata dal Presidente dell’APAT, Giancarlo Viglione, che, pur commentando come “allarmante” il dato della crescita dei rifiuti prodotti in Italia, considerando soprattutto che l’aumento dell’8,3% è di molto maggiore a quello del PIL (2,6%) e dei consumi (2,9%) nello stesso periodo di riferimento, ha dichiarato: “I dati del Rapporto Rifiuti 2007 confermano una grande sofferenza, ma sicuramente possono aiutare le Istituzioni ad adottare politiche adeguate per ridurre il nostro gap rispetto al resto d’Europa”. “Servono tecnologia e strumenti adeguati”, ha dichiarato Roberto Barbieri, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, che ha poi proseguito affermando: “nel nostro Paese manca ancora una parte delle infrastrutture necessarie per perfezionare il ciclo dei rifiuti, ma soprattutto le politiche a monte del ciclo stesso, con strumenti premiali e sanzionatori a seconda dei comportamento adottati da cittadini ed aziende”. Proseguendo nella disanima delle problematiche, il Presidente ha voluto dire la sua sui termovalorizzatori: “La raccolta differenziata è importante, ma da sola non basta; sevono le migliori tecnologie disponibili e tra queste i termovalorizzatori dei quali va valutato l’impatto ambientale complessivo”. “Se aumentano le emissioni, infatti – ha proseguito – è anche vero che i termovalorizzatori spengono altre fonti inquinanti… alla fine il bilancio può essere comunque positivo, come dimostra il fatto che città europee di grande sensibilità ambientale li hanno in pieno centro abitato”. Concludendo il suo intervento, Barbieri ha voluto chiosare su un ultimo aspetto della complessa problematica dei rifiuti in Italia: “Un altro problema sta nella tracciabilità dei rifiuti che non dovrebbero essere occultati, ma questo è difficile finché i reati ambientali sono puniti sono con sanzioni amministrative”. Secondo Tommaso Sodano, Presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici del Senato della Repubblica: “Per risolvere il problema dei rifiuti occorre anzitutto ragionare sul nostro modello di consumo… L’obiettivo del 40% di raccolta differenziata previsto dalla legge non è poi irrealistico, a patto di essere duri con chi non ricicla”. In questo senso, secondo il Senatore: “Gli inceneritori sono una scorciatoia; in Sicilia ne sono previsti quattro, che dovrebbero avere una capacità uguale a quella dell’intera produzione regionale: questo significa rinunciare in partenza alla differenziata”. Concludendo il suo intervento ha voluto porre l’attenzione, infine, su un altro aspetto della problematica: “Quello delle ceneri prodotte dagli impianti, che in Paesi come la Germania si sa dove vengono stoccate, mentre in Italia trovare dei siti adatti ad accoglierle creerebbe un ulteriore problema”. Agire a monte del ciclo dei rifi uti è stato il succo della tesi propugnata dall’Onorevole Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati. “Per creare la giusta mentalità rispetto alla raccolta differenziata – ha dichiarato l’Onorevole Realacci – serve una fiducia nell’amministrazione pubblica che al momento non c’è. Questo vale anche per i termovalorizzatori; le scelte dell’amministrazione sarebbero meglio comprese dai cittadini se questi ultimi si fidassero di più di chi li amministra”. “L’aspetto più importante – ha concluso – è però quello di un’azione da svolgere a monte, senza trovarsi in difficoltà alla fine del ciclo dei rifiuti. Ad esempio favorendo comportamenti virtuosi come la reintroduzione dei vuoti a rendere e di quelli ricaricabili o incentivando economicamente le aziende che non usano imballaggi eccessivi”.

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