IL PAESE DELLE CHIACCHIERE

Mentre gli scienziati del comitato Scientifico delle Nazioni Unite IPPC (Intergovernmental Panel on Climate Change), riuniti a Valencia nella prima settimana di novembre, stilavano ed approvavano il Summary for policymakers, sorta di vademecum destinato ai legislatori di tutto il mondo al fine di promuovere un impegno concreto per contenere i crescenti disastri provocati dai cambiamenti climatici, in Italia, Paese tra i primi lungimiranti firmatari del Protocollo di Kyoto, si continua a parlare tanto e ad agire poco.

La fotografia che emerge dal documento dell’IPPC non lascia molti margini alla fantasia, malgrado i tentativi mossi da alcuni scienziati scettici che hanno tentato di ammorbidire il documento finale: • il riscaldamento globale è una realtà; • il fenomeno sta accelerando in quasi tutti i continenti; • il punto di non ritorno è stato già superato e ogni azione volta alla riduzione delle emissioni potrà solo rallentare l’innalzamento della temperatura terrestre, ma non bloccarlo od invertirlo. Parole chiare, che colpiscono duro e sono supportate dalla credibilità di oltre 2000 scienziati impegnati da anni nella raccolta ed elaborazione dei dati sui complessi fenomeni fisici nell’ambito climatologico. Dai lavori di Valencia, i governanti del globo possono ricostruire i processi poco virtuosi che hanno portato in poco meno di quarant’anni all’aumento di un grado della temperatura media terrestre (dagli anni ’70 ad oggi le emissioni di CO2 sono aumentate di circa il 70% arrivando alla quantità notevole di 50 miliardi di tonnellate annue). Da questo è conseguito un anomalo evolversi dei fenomeni catastrofici, non attribuibili del tutto a cause naturali, come: l’aumento del livello dei mari; la riduzione dei ghiacci polari e dei ghiacciai montani; la maggior frequenza di ondate di calore estive; l’aumento di fenomeni siccitosi in parallelo all’aumento di forti precipitazioni molto concentrate nel tempo; infine, l’aumento del numero dei cicloni molto distruttivi. Compulsando qua e là fra le notizie delle ultime settimane, chi scrive, ne prende a caso alcune e le riporta all’attenzione del lettore perché ne tragga le logiche conseguenze. Greenreport.it, quotidiano di approfondimento on-line sulle tematiche ambientali, riporta, il 21 novembre una notizia che arriva dalla regione autonoma cinese del Tibet: il riscaldamento climatico sta minacciando in maniera inarrestabile l’ecosistema in oggetto a causa della ritirata delle nevi perenni e dei ghiacciai che provocano l’aumento della siccità e della desertificazione delle praterie. Song Shanyun, Direttore dell’ufficio meteorologico regionale, ha citato due calamità che hanno colpito la zona già piegata dal cambiamento climatico: 300 milioni di m3 sono franati nella prefettura di Nyingchi provocando l’interruzione del corso di un fiume e seppellendo 4.000 persone; una inondazione della città di Xigaze ha colpito oltre 60.000 persone e distrutto migliaia di campi coltivati. Secondo uno studio del succitato ufficio meteorologico, la temperatura media del Tibet si è innalzata di 0,3 gradi ogni dieci anni da quando si effettuano valutazioni sistematiche e il rialzo medio delle temperature invernali ha raggiunto, in certi casi, il traguardo dei 9° provocando, negli ultimi trent’anni la fusione di oltre 131,4 km2 di ghiacciai. Il 22 novembre, il noto quotidiano La Repubblica, ha pubblicato l’ennesimo aggiornamento dal Bangladesh dopo l’azione distruttiva dell’uragano Sidr (sulla quale, ormai, anche gli organi di informazione hanno perso ogni interesse). Ebbene, alla data della news le vittime certe erano circa 3.500 ma il bilancio era destinato a crescere fino a raggiungere le 10-15.000! Circa un milione le famiglie colpite e 4 milioni i senzatetto in un’area dove vivevano 5 milioni di poverissimi in un Paese tristemente in alto nella classifica dei più poveri del mondo. La quasi totalità del raccolto di riso – unica fonte di sostentamento – è andata distrutta assieme a scuole, edifici, strade ed infrastrutture. Sempre il 22 novembre, Il Corriere della Sera, pubblicava una “Flash News 24” dal contenuto inquietante: un gigantesco ed anomalo banco di meduse ha provocato la morte di oltre 100.000 salmoni al largo delle coste dell’Irlanda del Nord. Il fenomeno, curioso, è già stato riscontrato negli ultimi anni in Giappone e, secondo vari ricercatori, rientra negli sconvolgimenti naturali causati dal surriscaldamento del pianeta. Due giorni prima, il 20 novembre, sempre sulle pagine “virtuali” del quotidiano Greenreport.it, Primo Mastrantoni, segretario dell’Aduc (Associazione per i Diritti degli Utenti e dei Consumatori), affermava che: “la maggior parte delle auto nuoce al clima più di quanto si ammetta ufficialmente”. La dichiarazione faceva riferimento ad uno studio del Professor Hans Jochen Luhmann dell’Istituto Clima Ambiente Energia di Wuppertal il quale sostiene che se normalmente si indica in 100 grammi la quantità di CO2 emessa da una vettura, in sostanza l’emissione nociva è pari a circa 160 grammi. La sottovalutazione emerge in quanto il calcolo ufficiale considera il consumo di carburante in condizioni ideali (20° di temperatura esterna e velocità nei limiti prescritti dalla legge), ma tutti sappiamo benissimo che la quotidianità impone ben altri parametri, non ultimo l’impianto di climatizzazione, che pesa, in termini di emissioni, come un litro e mezzo di carburante. Il controvalore medio che emerge dal calcolo, pari a 60 – 70 grammi di CO2 va ad inficiare i valori indicati nelle varie pubblicità delle Case automobilistiche, secondo il luminare tedesco citato da Mastrantoni, il quale conclude il suo intervento considerando la non convenienza del possesso di un’auto in Italia se si considerano le spese di acquisto, la manutenzione, il costo del carburante, il costo dei parcheggi e il tempo perso negli ingorghi. Ebbene, tutti sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle cosa significhi possedere un’auto, sopportarne i costi (soprattuto con il prezzo del greggio che oscilla sui 100 dollari al barile) e tutti, quotidianamente procediamo in equilibrio fra desiderio di cambiamento del parco auto e il desiderio, più drastico, di riduzione del parco auto. La circolazione urbana rappresenta oltre il 40% delle emissioni di biossido di carbonio del trasporto stradale, un fatto che sta mobilitando l’UE a cercare la collaborazione attiva di tutte le parti interessate ad affrontare realmente le sfide di una mobilità sostenibile, più efficace e più sicura in termini di salute e sicurezza. Tre le domande che la Commissione Europea ha preparato per la fase consultiva che si concluderà il prossimo 15 marzo per sfociare in un apposito Piano d’Azione previsto per l’autunno 2008: • come decongestionare i grandi assi stradali senza stravolgere la vita quotidiana degli utenti? • Come combinare una mobilità sempre maggiore, rispetto all’ambiente ed autonomia energetica? • Come convincere i cittadini che camminare ed andare in bicicletta possono essere ottimi modi per spostarsi? Domande che non nascondono un certo candore se non fosse che dalla somma dei tanti comportamenti quotidiani scaturiscono effetti globali piuttosto onerosi, come si è visto poc’anzi. E tuttavia, proprio in Europa si sta assistendo ad un lento evolversi della mentalità nei cittadini, di fronte alle conseguenze ambientali del traffico veicolare. Il sondaggio Eurobarometro sui problemi del trasporto ha evidenziato che l’automobile e i mezzi privati in generale resta il principale mezzo di trasporto per l’81% degli europei che tuttavia dimostrano un crescente interesse nelle azioni volte a: • favorire una mobilità più sostenibile;
• incoraggiare un uso più sistematico dei mezzi pubblici;
• promuovere, soprattutto con incentivi fiscali e norme più severe, i veicoli che inquinano e consumano di meno. Purtroppo solo il 26% degli intervistati ha ammesso di prender più spesso i mezzi pubblici mentre il 54% è disposto a pagare di più per trasporti, pubblici e privati, meno inquinanti. Già, il trasporto pubblico! Un concetto che in Italia sembra avere poco appeal sui cittadini, i quali spesso non vi ricorrono per l’inadeguatezza del servizio (per contro in troppe amministrazioni locali si investe in opere viarie e parcheggi). Qualche dato a mo’ di esemplificazione: l’autorevole Istituto di Studi Economici francese, Bipe ha riscontrato che il crescente prezzo del carburante, dal 2004 in poi ha determinato la diminuzione al ricorso dell’auto privata in Europa, tranne in Italia, dove, nel 2006 circolava lo stesso numero di auto di dieci anni prima! Scenario desolante incupito tanto più da una previsione di crescita del trend pari all’1,5% nel Bel Paese, mentre nel resto d’Europa si prevede una decrescita del 2%. Non solo, secondo uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), condotto su 13 città italiane, ogni anno sono 8.000 le persone che muoiono a causa delle patologie causate dal particolato atmosferico (Pm10 e Pm5), in buon parte causato da traffico veicolare. A chi crede, poi, di scaricarsi la coscienza, optando per il servizio pubblico made in Italy, l’ANFIA (Associazione Nazionale Fra le Imprese Automobilistiche), dalle pagine de La Repubblica del 22 novembre, dedica una bella doccia fredda: il parco autobus italiano annovera catorci Euro 0 ed Euro 1 (il 32% del totale), responsabili di emissioni inquinanti pari al 67% in zone extraurbane e al 76% in aree urbane rispetto al totale delle emissioni prodotte dal trasporto pubblico locale. Se si considera che un autobus di fine anni ’80 inquina quanto 17 autobus di nuova concezione, magari alimentati a diesel o metano, senza contare i maggiori costi di manutenzione, un rinnovamento della flotta che consentisse la sostituzione dei vecchi mezzi con altrettanti Euro IV permetterebbe, a parità di percorrenza, di ridurre considerevolmente le quote di emissioni climalteranti e di nanoparticelle dannose alla salute. Tuttavia mentre proprio il Presidente del Gruppo Autobus di ANFIA, Enrico Vassallo dichiarava: “occorre attuare una reale politica del trasporto pubblico che preveda al proprio interno interventi per il rinnovo del parco degli autobus, che coprono quasi l’80% della domanda del trasporto pubblico… l’obiettivo strategico è quello di allinearsi allo standard europeo e di mantenere tale livello di eccellenza nel prossimo futuro”, pochi giorni prima, esattamente il 14 novembre, un Comunicato Stampa dell’ANFIA plaudiva al +5,5% raggiunto dal mercato dell’auto nel mese di ottobre per l’intera area dell’Europa a 25, una percentuale pari ad oltre 1.321.000 nuove vetture! Ad appena un anno dagli ecoincentivi alla rottamazione promossi dalla Finanziaria 2007, dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, già da novembre arrivavano voci negative circa la possibilità di ripetere l’esperimento anche per l’anno 2008. Infatti il Ministro Alfonso Pecoraro Scanio spiegando perché non avrebbe portato in Parlamento la proposta, ha dichiarato che: “il Ministero ha sempre proposto iniziative innovative e, in tutti i casi, se proprio ci sarà la rottamazione, il nostro giudizio, sarà condizionato alla dimostrazione effettiva della capacità di questo provvedimento di portare ad una riduzione dei gas serra e dello smog”. Al momento sembra che una precisa richiesta di fondi mirati al trasporto ferroviario, alla mobilità sostenibile e al trasporto pubblico urbano, sia la linea di intervento che il Ministero dell’Ambiente preferisca seguire, forte dei dati negativi derivati dalla scarsa “rottamazione pura” (ovverosia l’effettiva cancellazione di una vettura dalla circolazione in cambio di un abbonamento annuale al servizio di trasporto pubblico) derivata dagli ecoincentivi 2007. Se fino ai primi di dicembre qualche spiraglio di speranza poteva sussistere, certo è che con il voto del 14 la Camera, di fatto, ha escluso ogni possibilità di ripetere il meccanismo di ecobonus per la rottamazione, salvo ovviamente diverso giudizio del Senato nella successiva lettura. Al momento la questione rimane aperta, anche perché, se vincolante è il parere del Ministro Alfonso Pecoraro Scanio, altrettanto pesante sarà la voce che il Ministro dell’Economia e dell’Industria, Padoa Schioppa, farà sentire per sostenere le istanze dei portatori di interesse. Certo è che mentre si richiedono fondi per favorire lo spostamento dei pendolari sulle linee ferroviarie, è piuttosto curioso che proprio i vertici delle Ferrovie dello Stato operino da anni una politica di riduzione dei “tronconi minori” e di pessimo servizio alla clientela di cui sono testimoni ogni giorno gli stessi utenti. Forse che in mezzo a tante chiacchiere si continua a favorire il trasporto di cose e persone su gomma a discapito di reali politiche volte alla riduzione del traffico veicolare e delle sue conseguenze sulla salute e sull’ambiente?

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