MOBILITA’ E SALUTE

Quando lo spostamento di merci e persone determina effetti macro e microscopici sul benessere e la salute della società

Globalizzazione: un termine dalla valenza ambigua, largamente abusato nei dibattiti e negli articoli, così come nei discorsi comuni, per esprimere quella voglia utopica di ricondurre ad un quadro unico tutti quei fenomeni culturali, economici e sociali che, da sempre costituiscono il sale della diversità e delle specificità di ambienti, paesi e persone. Se, dai punti di vista culturale ed economico, già da vari anni si è assistito ad un ridimensionamento dell’entusiasmo iniziale nei confronti delle dinamiche “globalizzanti” che, a ben guardare rischiano, da un lato di appiattire le diversità e le specificità in una melma indefinita di una diffusa sub-cultura anonima e piatta, dall’altro penalizzano sempre più i soggetti più deboli a scapito delle economie forti. Oggi la facilità di abbattimento delle barriere spaziali e la consapevolezza di potersi spostare con estrema facilità da un punto qualsiasi all’altro della superficie terrestre, impongono una riflessione circa i rischi sanitari ed epidemiologici connessi a tali spostamenti.

Se l’analisi storica dell’evolversi delle patologie a forte rischio di contagio, fino ad un secolo fa, evidenziava un limite nel tempo e nello spazio dei fenomeni epidemici, oggi, proprio questi limiti sono abbattuti dalle innumerevoli possibilità di spostamento. E questo crea non solo nuove opportunità al diffondersi di eventuali malattie, ma costituisce innumerevoli possibilità di sviluppo per eventuali mutazioni di nuovi ceppi virali e batterici che, riproducendosi a velocità considerevole, si trovano a far fronte continuamente a nuovi stimoli ambientali approntando, per le leggi dell’evoluzione, sempre nuove strategie atte alla diffusione della specie. In questo quadro, già di per sé piuttosto inquietante, giocano un ruolo tristemente attivo i fenomeni legati all’ormai evidente cambiamento climatico; infatti, con l’aumento della temperatura globale si ampliano le aree di sviluppo delle specie-vettori di agenti patogeni, che fanno la loro comparsa in ambienti “vergini” in cui manca la controparte costituita da specie-predatrici in grado di controbilanciarne lo sviluppo. Nel gioco entrano poi le diverse risposte che la chimica e l’industria farmaceutica internazionale mettono continuamente in campo: una lotta impari, perché le possibilità di mutazione e sviluppo di un dato ceppo virale sono comunque superiori alla capacità di risposta specifica degli addetti ai lavori (considerati tempi di sperimentazione, assicurazione circa l’innocuità del farmaco ed eventuali controindicazioni e sua successiva immissione nel mercato). Nel suo Rapporto “A Safer Future: global public healt security in the 21th century”, reso noto il 23 agosto e pubblicato sul suo sito dell’ente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), non usa certo i mezzi termini per delineare il quadro di una situazione allarmante che affonda le sue radici negli ultimi quarant’anni. Infatti nel documento si afferma che le nuove patologie stanno emergendo con un tasso percentuale che “non ha precedenti nella storia”. Se l’OMS individua fra le cause dell’emergenza sanitaria la distruzione dell’ambiente causata dalla sconsiderata attività umana che si concretizza in una urbanizzazione selvaggia, nell’aumento progressivo della popolazione, nell’agricoltura intensiva e nella ingiusta distribuzione delle risorse, un peso notevole della responsabilità è costituito dalla mobilità globale, un fenomeno che, per il solo traffico aereo, interessa oltre 2 miliardi di persone l’anno. Non solo, sempre nell’ambito delle responsabilità riconducibili direttamente ad un aspetto della mobilità quotidiana, l’OMS imputa alla continua esposizione al rumore (ivi incluso quello del traffico giornaliero), l’insorgenza di patologie cardiache che causano ogni anno migliaia di decessi. Si pensi che in Gran Bretagna, nel 2006 si sono registrati 101.000 decessi causati da patologie a carico delle coronarie, di cui 3.030 casi sono dovuti all’esposizione cronica al rumore. Fino ad oggi, l’impatto dell’inquinamento acustico sulla salute umana non era particolarmente considerato nelle tabelle che riflettevano ed analizzavano le varie cause di mortalità e la stessa OMS ha cominciato ad interessarsi in maniera sistematica alle patologie ed ai disturbi causati dai rumori, solo a partire dal 2003. Se si possono facilmente intuire i disturbi e le patologie a carico del sistema respiratorio causate dal traffico cittadino (ndr: in parte ne abbiamo già parlato nel numero di Luglio/Agosto del Notiziario Autodemolitori), allarma il fatto che, dalle statistiche OMS risulta che il 2% della popolazione europea soffre di seri disturbi a causa dell’inquinamentoacusticoeil15%corre il rischio di gravi disturbi (senza contare il conseguente abbassamento del rendimento sul lavoro). Il rumore causato dal traffico, secondo i ricercatori, può causare l’innalzamento del livello degli ormoni responsabili dello stress: cortisolo, adrenalina e noradrenalina, anche durante il sonno e non solo durante il periodo di veglia, quando, presumibilmente il corpo è più soggetto alle sollecitazioni acustiche. Gli effetti della mobilità sulla salute umana, dunque, assumono una rilevanza non trascurabile sia a livello macroscopico (quando involontariamente si contribuiscono al diffondersi di patologie virali) che microscopico (quando a livello locale causano di per sé disagi e disturbi della salute pubblica); senza contare l’incidenza sui consumi di fonti non rinnovabili per la produzione di carburanti e l’emissione conseguente di gas serra e particolato atmosferico. Proprio in questo senso è interessante dare rilievo a due ulteriori notizie che, in diversa misura, danno il quadro della situazione e definiscono i contorni di un equilibrio instabile che vede, da un lato, il mondo dell’industria e le sue necessità, dall’altro la società civile, giustamente preoccupata per gli effetti globali di strategie imprenditoriali e politiche spesso incomprensibili. Dal 16 al 22 settembre ha avuto luogo la sesta edizione della “Settimana Europea per la Mobilità Sostenibile”, dal tema: “Le strade per la gente”. Il tema di quest’anno rivelava un messaggio rivolto alle autorità locali e alle istituzioni affinché riconsiderassero la politica dei trasporti puntando su strategie e soluzioni meno impattanti quali: biciclette (tradizionali, elettriche o a pedalata assistita), trasposto pubblico (magari elettrico o a metano), servizi di car-sharing. Circa 1.200 i comuni europei – di cui 26 italiani – hanno risposto positivamente all’appello, un risultato positivo al punto che il Commissario all’Ambiente Stavros Dimas ha dichiarato che: “è incoraggiante vedere crescere il numero delle città aderenti ed è impressionante come questa iniziativa europea sia diventata ora un monumento internazionale. Combattere i cambiamenti climatici e migliorare la qualità dell’aria sono cose fondamentali per il nostro futuro benessere”. Si pensi infatti che le sole automobili sono responsabili di oltre il 10% delle emissioni di gas serra riconducibili al continente europeo e, proprio per questo l’Unione ha già presentato una serie di progetti per accelerare l’introduzione di automezzi più sicuri e più compatibili con l’ambiente. In questo senso la Commissione Europea ha già messo a punto una serie di misure atte a contrastare lo smog e, in particolare, la Direttiva che norma i limiti per le polveri sottili, è tuttora in fase di approvazione. Ebbene, da un lato i costruttori di automobili respingono le imposizioni di Bruxelles (limite dei 120 g/Kg di CO2 calcolati sulla media delle emissioni dell’intera gamma) opponendo giustificazioni nei termini di tempistica e competitività economica che, a loro avviso se non correttamente considerata dalla regolamentazione potrebbe avere conseguenze notevoli su un settore che occupa 2,3 milioni di addetti diretti e 10 milioni di indiretti (ndr: dati desunti da un articolo de “Il Sole 24 Ore” del 13 settembre scorso). Dall’altro i limiti suggeriti dall’UE sono stati giudicati insufficienti e inaccettabili dagli scienziati riuniti nel congresso dell’European Respiratory Society, evento che ha riunito a Stoccolma quasi 17.000 esperti di malattie polmonari. Greenreport.it – il noto quotidiano on-line di approfondimento sulle tematiche ambientali – riporta, nell’edizione del 17 settembre, una dichiarazione emblematica del luminare Bert Bruneekref, professore di epidemiologia all’Università di Utrecht che ha sottolineato, a latere del congresso, che: “quando si occupa di protezione della salute pubblica, l’Unione Europea apparentemente non vuole competere seriamente con le altre nazioni sviluppate”, alludendo al fatto che i limiti sulle polveri sottili sono, secondo il professore: “inferiori a quelli di Stati Uniti, Canada, Australia e altre nazioni sviluppate e inferiori rispetto alle raccomandazioni dell’OMS, dando poche motivazioni agli Stati membri per ridurre l’inquinamento da particolato”. E mentre, a vari titoli, nel resto d’Europa si freme per l’aumento irrefrenabile del prezzo del petrolio, della necessità di ridurre le emissioni climalteranti e la quantità di panicolato atmosferico, l’entità del parco auto circolanti, nel Bel Paese che succede? Accade che in perfetta controtendenza, la caparbietà tutta italiana sfocia in un aumento degli acquisti di automezzi al punto che lo stesso Istituto Nazionale di Ricerca Statistica Instat, ha affermato che c’è stato un incremento del 23% nell’indice degli ordinativi di produzione dei mezzi di trasporto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (indagine sui mesi di giugno e luglio). Una ulteriore indagine apparsa sul quotidiano “La Repubblica” del 19 settembre, proietta ulteriormente il problema nel futuro, prevedendo, per l’Italia, un incremento nell’uso delle auto dell’1,5% fino al 2015 (benzina) e dello 0,5% (diesel), mentre, nello stesso lasso di tempo, nel resto d’Europa, le previsioni dei ricercatori danno una diminuzione compresa fra lo 0,5 e il 2%. Orbene il dubbio che non vi sia un sostanziale interesse a ridefinire lo status quo delle politiche di mobilità nei Paesi sviluppati è più che legittimo, così come l’impressione che allarmi ed appelli vòlti alla riduzione delle emissioni climalteranti e alla conseguente limitazione degli effetti dei mutamenti climatici, riempiano sì le pagine dei giornali e ingrassano le agende di manifestazioni e convegni, salvo poi cadere nella sostanziale indifferenza, è dimostrata dal fatto che ovunque si cerca la mediazione e non si adottano scelte radicali. Forse si aspetta a chiudere la proverbiale stalla, quando i buoi saranno definitivamente scappati.


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