BIOCARBURANTI: in ascesa il mercato, ma insorgono perplessità sul loro uso
Il mercato dei biocarburanti sta conoscendo un notevole incremento, tanto che un’analisi condotta da Frost & Sullivan rivela che nel 2006 ha registrato entrate per 2.93 miliardi di Euro, ma che nel giro di 5-6 anni, secondo l’Agenzia, si triplicherà. Sotto l’incoraggiamento dell’Unione Europea e gli incentivi per la loro produzione messi a disposizione dagli Stati membri, ma anche per l’effetto del caro petrolio, si registra un continuo incremento delle produzioni agricole per l’etanolo e il biodiesel. C’è da osservare, infatti, che la Direttiva CE sui biocarburanti, recepita nelle legislazioni nazionali (in Italia la Legge n. 81/2006), impone ai produttori di carburanti di immettere sul mercato benzina e gasolio contenenti l’1% di biocarburanti di origine agricola con percentuali crescenti di un punto all’anno, fino al 5% nel 2010. Inoltre, al fine di ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio e di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato nella scorsa primavera il Piano di Azione di Politica Energetica che prevede, tra l’altro, che entro il 2020 i biocarburanti debbono coprire il 10% del fabbisogno del settore dei trasporti.
Ma già si affacciano “effetti collaterali” che adombrano difficoltà a raggiungere tale obiettivo entro la data prevista. Non c’è dubbio che i biocarburanti costituiscono una soluzione per ridurre la dipendenza dal petrolio e dalle altre fonti fossili e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Come altrettanto efficace è il loro uso per ridurre le emissioni di gas climalteranti. Il problema che deve essere risolto è: in che percentuale è possibile incrementare la produzione di biocarburanti senza intaccare la sostenibilità economica ed ambientale? La FAO, l’Organizzazione dell’ONU per l’Alimentazione e l’Agricoltura, ha sottolineato che nel 2007 “il costo per le importazioni alimentari supererà i 400 miliardi di dollari, quasi il 5% in più rispetto all’anno precedente che aveva segnatoilrecord.L’aumentodelprezzodeicerealisecondari e degli oli vegetali, i beni che sono maggiormente coinvolti nella produzione di biocarburanti, sono in gran parte responsabili dell’aumento (…) i paesi economicamente più vulnerabili saranno quelli più colpiti, con una spesa totale che presumibilmente crescerà del 10% rispetto all’anno scorso, sia nei paesi a basso reddito e deficit alimentari che in quelli in via di sviluppo”. Saranno in corso speculazioni, ma non c’è dubbio che il mercato ha reagito alle maggiori richieste e alla riduzione della produzione a seguito dell’occupazione dei suoli agricoli da colture quali soja e colza, utilizzate nella produzione di biodiesel. Esemplare in questo senso quel che sta accadendo nell’Europa centro-settentrionale. Il “Copenhagen Post” del 13 giugno, riportando i risultati di uno studio pubblicato dal Gruppo 92, una coalizione di 20 organizzazioni non governative tra cui Greenpeace dove si sottolineano i rischi che comporta basarsi sui biocarburanti da colture, conosciuti come biocarburanti di prima generazione, per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, osservava che “la colza, coltura comune in Danimarca e una delle piante più importanti utilizzate nella produzione di biocarburanti, solo l’anno scorso ha visto aumentare la sua superficie del 40% a spese di quella usata per altre colture alimentari (…)”. Gli organizzatori della famosa Oktoberfest, che si svolge ogni anno a Monaco di Baviera, hanno preannunciato un aumento del 5.5%, determinato dall’aumento del prezzo della birra , passato da 6.10 euro al litro a 6.40 euro, a seguito del rincaro dell’orzo che, in due anni, è passato da 102 a 200 euro la tonnellata per la diminuzione dei terreni allo scopo coltivati, sostituiti con quelli di rape e mais, da cui estrarre etanolo e biodiesel. I Birrai della Baviera, dove ogni abitante consuma mediamente 160 litri di birra all’anno, hanno chiesto al Governo di bloccare gli incentivi accordati per i biocarburanti. In alternativa: se si incentivano alcuni paesi a produrre canna da zucchero e palma da olio, la pratica presuppone la deforestazione di ampie zone di foreste pluviali che costituiscono attualmente un vero polmone per l’atmosfera; se si aumentano le produzioni di mais e soja, si consumano maggiori riserve di acqua e si incrementa l’uso di fertilizzanti. L’Ufficio Federale dell’Energia (UFE) della Svizzera ha messo on line i risultati di uno studio commissionato dagli Uffici Federali dell’Energia, dell’Ambiente e dell’Agricoltura, nel quale sono stati esaminati tutti gli indicatori, non solo efficienza energetica e riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, che debbono essere presi in considerazione per tracciare correttamente il bilancio ecologico dei biocarburanti su tutto l’arco del loro ciclo di vita. Secondo tale studio sebbene i biocarburanti siano prodotti con materie prime rinnovabili, la coltivazione e la lavorazione di queste ultime può provocare un ampio spettro di temi ambientali, che vanno dalla concimazione eccessiva e dalla acidificazione dei terreni agricoli, fino alla perdita di biodiversità. L’ampliamento della produzione agricola di vettori energetici fa inoltre concorrenza ad altre forme di utilizzo del territorio, quali la produzione di derrate alimentari o il mantenimento di ambienti naturali. Se la coltivazione avviene in zone tropicali si verifica il dramma della deforestazione, ettari di foreste bruciate e tonnellate di CO2 nell’atmosfera, per non parlare della fine della biodiversità (foreste pluviali diventano campi di mais). Quando invece la coltivazione avviene in zone temperate, il problema è la bassa resa dei terreni cui si ovvia facendo un uso massiccio di fertilizzanti. Come minimo, dunque, servirebbe una filiera dove la provenienza delle materie prime fosse certificata in modo credibile (cosa che comunque farebbe aumentare i costi di produzione). Migliore, secondo lo studio, è il bilancio ecologico dei biocarburanti di origine non agricola: è questo il caso di materie prime come legno, residui e rifiuti. Il legno perché con materia prima implica una lavorazione minore rispetto a quella dei prodotti agricoli; i residui e i rifiuti perché diminuiscono le emissioni dovute al loro trattamento. Tuttavia lo studio osserva che, rispetto ai combustibili fossili, i biocarburanti, con il miglioramento delle tecnologie, potrebbero in futuro ridurre il proprio impatto ambientale, segnalando alcune delle procedure da introdurre per renderli più ecosostenibili. Per valutare la resa energetica di un processo, viene utilizzato un parametro EROI (acronimo di Energy Retourned On Energy Invested) che indica il rapporto tra energia ottenuta (ricavata) ed energia spesa (investita). Da quanto è possibile osservare da vari controversi studi sull’argomento, risulterebbe che il ritorno energetico del biodiesel è pari a 3, ma non sono contemplate le spese economiche (concime chimico, antiparassitari, diserbanti, oltre che il combustibile per i trattori): vengono prese in considerazione solamente le energie. Solo il bioetanolo da canna da zucchero e la palma da olio, mantengono un rapporto economicamente positivo. Di recente a Parigi si è svolta (11-12 settembre) una Tavola Rotonda sullo Sviluppo Sostenibile, organizzata dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che doveva rispondere al quesito posto dalla relazione-base del Principal Advisor, Richard Doornbosch, dal titolo “I Biocarburanti: la cura è peggiore della malattia?”. In altri termini l’OCSE ha preso in esame se gli attuali biocarburanti siano in grado di ridurre il riscaldamento globale o viceversa costituiscano un problema per l’ambiente. La conclusione dello studio non lascia spazio a fraintendimenti: • si determinerà una riduzione di prodotti alimentari e di mangimi in tutto il mondo, per effetto di una agricoltura che tenderà ad incrementare i più redditizi prodotti per i biocarburanti; • l’introduzione delle colture per biocarburanti ridurrà notevolmente la biodiversità, con notevoli effetti negativi sull’ambiente; • i biocarburanti non sono attualmente giustificati sul piano economico,né sono in grado di dare un contributo reale alla riduzione di gas serra, fintanto che non verranno approntate soluzioni tecniche in grado di produrre biocarburanti meno cari ed ecocompatibili. In attesa che siano disponibili le tecnologie per i biocarburanti di seconda generazione e soprattutto quelle per l’idrogeno nell’autotrazione, cerchiamo di limitare i consumi con una corretta guida dei nostri autoveicoli; ancor meglio, se utilizzassimo, quando le circostanze lo permettano, la bicicletta o… i piedi!