QUALE FUTURO PER LE VECCHIE GOMME?
Tra abbandono indiscriminato, recupero, riciclo, valorizzazione energetica e ricostruzione; le mille chances dei pneumatici a fine vita
Sabato mattina, metà giugno. Sotto le falesie della città di Ancona, fra i mille detriti che il mare porta con sé durante le mareggiate primaverili, spuntano le nere carcasse di vecchi pneumatici gettati chissà dove e qui arrivati per l’ultimo viaggio… Domenica pomeriggio: durante la solita scampagnata lontano dalla città, mentre percorro l’argine di un torrente minore dell’entroterra marchigiano, fra la vegetazione idrofila e le fioriture primaverili, occhieggiano strani “funghi” dal colore luttuoso… sono pneumatici, smaltiti illegalmente e abbandonati ad un lentissima degradazione (ci vorranno un centinaio d’anni). Lunedì mattina, “navigando” in rete mi imbatto in due notizie di qualche tempo fa, due “brevi” che vale la pena citare. La prima (fonte Ice – Istituto Nazionale per il Commercio Estero) riguarda un impianto di riciclaggio di pneumatici che sta per essere aperto in Malaysia dalla Advanced Pyrotech Snd Bhd.
L’avveniristico progetto che dovrebbe riciclare 43.800 tonnellate l’anno di pneumatici, allo scopo di produrre circa 22.000 tonnellate di oli, 13.500 tonnellate di nerofumo di gas e 4.400 tonnellate di acciaio (e le restanti 3.900 tonnellate?), è stato realizzato grazie ad una collaborazione settennale con una compagnia sudcoreana che fornirà la relativa tecnologia di pirolisi. Nella fase iniziale l’impianto utilizzerà pneumatici esausti importati, ma l’azienda investitrice sta prendendo accordi con il governo per creare un centro di raccolta di pneumatici locali. Il reddito previsto dal processo di trasformazione è calcolato in una cifra pari a circa 10 milioni di dollari! La seconda notizia (fonte Ecoblog) prende l’avvio da una iniziativa piuttosto miope di 35 anni fa… Nel 1972, al largo della Florida, erano stati affondati 2 milioni di copertoni usati con l’idea che questi, trattenuti da fili di nylon ed acciaio, nel tempo, costituissero la “base” necessaria allo svilupparsi di una nuova barriera corallina. Ebbene, non solo i celenterati che costituiscono il corallo non si adattavano ad aderire a questo insolito substrato, ma quest’ultimo, malgrado gli accorgimenti presi per ancorarlo al fondo, si ostinava ad andarsene qua e là rischiando di danneggiare irrimediabilmente la barriera corallina preesistente e già a rischio. Risultato: dopo 35 anni, ora, bisogna recuperare tutta quella gomma vulcanizzata e smaltirla correttamente per un costo di circa 3 dollari per ogni pezzo (considerando che ad occuparsi del recupero saranno gli allievi del corso sub delle forze armate statunitensi). La sola Florida, per bocca del governatore Charlie Crist, aveva proposto di spendere 2 milioni di dollari per smaltire “solo” 675.000 copertoni! C’è di che riflettere. Si pensi che oltre mezzo miliardo di veicoli circolano sulla superficie del pianeta, veicoli che abbisognano di 1,1 miliardi di pneumatici nuovi ogni anno. Che succede abitualmente a quelli dismessi? Molti, lo abbiamo visto, vengono abbandonati e dispersi illegalmente (con enormi danni per il paesaggio e l’ambiente oltre al considerevole rischio di incendi). Altri vengono recuperati e rigenerati oppure triturati ed utilizzati per la produzione di fondi stradali drenanti od ulteriori manufatti in gomma riciclata. Una buona percentuale, infine, viene utilizzata come combustibile da rifiuti, dato l’alto potenziale calorifico, all’interno di cementifici, inceneritori e caldaie industriali. Ma qual è la situazione nel nostro Paese e in Europa? Con la Direttiva 2000/53 del 18/09/2000 la Commissione Europea ha inteso rivedere completamente il ciclo dei veicoli fuori uso e, oltre a definire chiari obiettivi di raggiungimento dei quantitativi di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei componenti auto e delle loro parti, ha obbligato produttori a costruire i vari veicoli nell’ottica di un loro futuro riciclaggio. Si consideri, infatti, che nella sola Europa, i veicoli rottamati generano una quantità di rifiuti, in parte anche pericolosi, compresa fra gli 8 e i 9 milioni di tonnellate annue. Ecco allora che l’obiettivo fissato dalla Direttiva (giungere entro il 1 gennaio 2006 al reimpiego e al recupero dell’85% del peso del veicolo e al successivo limite del 95% entro il 2015), diventa, per tutti gli attori della filiera del fine vita auto, una grande assunzione di responsabilità nell’ottica della salvaguardia ambientale e delle sviluppo sostenibile. L’Italia, ad esempio, conta di allinearsi entro il 2007 all’Unione Europea nell’obiettivo comune di riutilizzare al 100% i pneumatici dimessi. Se guardiamo ai dati del 2006, in Europa erano 7 i Paesi più virtuosi che erano riusciti a raggiungere l’obiettivo strategico: Austria, Finlandia, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia, il Bel Paese poteva vantare una percentuale di utilizzo pari al 94%, mentre la vicina Germania aveva raggiunto il 96% e fanalini di coda, restavano Spagna, col 50% e Irlanda (19%). Andando a recuperare alcuni dati specifici presentati a Ecomondo 2006 nell’Indagine sull’universo del recupero e riciclaggio in Italia, promossa da UIRE (Unione Imprese di Recupero), Associazione aderente a FISE (Federazione Imprese di Servizi), possiamo valutare come, in Italia, nel 2005, sono state prodotte quasi 350.000 tonnellate di pneumatici fuori uso. Di queste, il 23,9% sono destinate al recupero energetico, una quota il linea con la media europea. Maglia nera all’Italia per quanto riguarda la quota di export (1,7% contro 11% nel 2004) e per quanto riguarda il recupero di materia (8,5% contro il 25% circa). Pollice verso anche per quanto concerne la quota destinata alla discarica, che appare ancora troppo elevata rispetto alla media europea (circa la metà della quota italiana), mentre quella destinata alla ricostruzione (12,9%) appare in linea. Proprio sulla ricostruzione o rigenerazione, su l’Etat de la planète si può leggere un dato interessante: “il processo richiede solo il 30% dell’energia necessaria alla fabbricazione di un nuovo pneumatico: ogni anno, negli Stati Uniti, 45 milioni di pneumatici servono a fabbricare 25 milioni di pneumatici”. Oltre ad un evidente risparmio energetico pari al 70% la rigenerazione di un pneumatico comporta un risparmio notevole nei consumi di greggio; infatti mentre per la produzione di un pneumatico nuovo vengono utilizzati tra i 20 e i 28 litri di petrolio, nel caso di una ricostruzione la quantità di idrocarburo si riduce a circa 5,5 litri. Non solo, attraverso la ricostruzione si stima che sia preservato l’80% del pneumatico da un’anticipata eliminazione mediante incenerimento o deposito in discarica. Come riportato su Quattroruote, secondo l’AIRP – l’Associazione che raggruppa i ricostruttori di gomma italiani – l’uso di pneumatici ricostruiti ha permesso di risparmiare, nel 2005, ben 166 milioni di litri di petrolio, con un abbattimento dei costi stimabile in 290 milioni di Euro. Se la ricostruzione dei pneumatici esausti appare, per evidenti motivi economici ed ecologici, la soluzione più auspicabile, senza contare che, per esempio, l’acquisto di pneumatici ricostituiti da parte di Pubbliche Amministrazioni potrebbe rientrare in quel Green Public Procurement i cui effetti stentano a manifestarsi malgrado il D. Lgs 203/2003; una ulteriore dimostrazione di come si guardi alle “vecchie gomme” di una volta con occhi diversi, è dovuta alla notizia, apparsa a fine 2006, che la Commissione Europea erogherà un finanziamento di 3 milioni di Euro alla storica Goodyear, nell’ambito del Programma LIFE-Ambiente. Il finanziamento di cui sopra andrà a sostegno di un progetto che prevede lo sviluppo di un pneumatico di nuovissima concezione che utilizza, invece dei filler tradizionali, un bio-filler a base di amido di mais, che, presentando non solo una bassissima resistenza al rotolamento, ha in più il vantaggio di ridurre considerevolmente alla fonte la quantità delle emissioni di CO2 durante la produzione. Nel frattempo, sognando che ricerca e tecnologia arrivino a mettere a punto strategie produttive di minimo impatto ambientale, non rimane che sperare ad una revisione puntuale, a breve termine, del quadro normativo di riferimento sui rifiuti, perché, di fatto, sussiste una confusione interpretativa tra “pneumatici fuori uso” e “pneumatici usati ricostruibili”, confusione che mette in difficoltà sia il produttore (cliente fornitore, manutentore) del pneumatico usato e/o fuori uso, sia il recuperatore-ricostruttore. Non sia mai che per eludere controlli da parte degli organi deputati, oppure per perseguire fini illeciti e criminosi, si sfrutti l’ambiguità normativa conseguendo un doppio danno, all’ambiente e al portafoglio… di tutti.