IL RECUPERO ENERGETICO DEL FLUFF: DA PROBLEMA A RISORSA

Come è noto il fluff di frantumazione o ASR (Automobile Shredder Residue) costituisce una quantità rilevante dei residui della frantumazione dei veicoli fuori uso sottoposti ad operazioni preventive di messa in sicurezza e di demolizione, circa il 30% in peso di un veicolo, mentre il restante 70% è costituito da metalli ferrosi e non. Le quantità tendono a crescere anche per la progressiva riduzione dei materiali non metallici nei veicoli. Il fluff è oggi comunemente inviato in discarica e rappresenta il maggior problema di smaltimento in UE e negli altri paesi industrializzati, riuniti nell’organizzazione OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), rappresentando fino al 10% di rifiuti pericolosi prodotti annualmente nella UE stessa. Dai dati del Rapporto dell’APAT sui rifiuti del 2004, che si basano sulla stima effettuata dall’Associazione delle aziende di frantumazione dei rottami metallici (AIRA) dai sedici impianti di frantumazione operanti in Italia, per la maggior parte localizzati nel nord del Paese si rivela che, le quantità di rottami metallici, provenienti dal flusso dei veicoli fuori uso, sono state, nell’anno 2001, pari a 1,470 milioni di tonnellate, dato abbastanza coerente con le radiazioni dal PRA fornite dall’ACI per lo stesso anno, pari a circa 1,6 milioni di veicoli. Le quantità dei residui in uscita dagli impianti di frantumazione (fluff), ammonterebbe, quindi, a circa 450 mila tonnellate anno, dato sicuramente sottostimato. La quantità di fluff oggi può essere stimata in una cifra superiore alle 500 mila tonnellate ed essa, per la quasi totalità, viene smaltita in discarica.

Tale modalità di smaltimento, è noto, comporta problemi di contaminazione ambientale per la presenza di sostanze pericolose e per i vincoli imposti dalla legislazione per la loro ammissibilità in discarica, nonché una significativa perdita di risorse materiali per il mancato recupero, in particolare di energia. Il fluff si compone in peso, mediamente; – per più del 50% di plastiche miste; – materiale vario costituito da tessuti, gomma e carta per 23% circa; – metalli ferrosi e non ferrosi per 12%; – frammenti di conduttori elettrici per il 5%; – vetro per il 7% circa. La composizione è ovviamente variabile, in particolare per la plastica, in funzione anche dell’anno di costruzione. Comunque il fluff ha una rilevante frazione di materiali combustibili a fronte di una frazione di materiale inerte inferiore al 20%. Il fluff, pertanto, può essere considerato un combustibile non convenzionale il cui potere calorifico, in media 13.000 Kj/Kg, è superiore a quello di diversi combustibili convenzionali quali, ad esempio, la lignite e le biomasse solide. In relazione al contenuto o meno di sostanze pericolose, al fluff può essere attribuito il codice CER 191003: fluff – frazioni leggere e polveri contenenti sostanze pericolose, o CER 191004: fluff – frazioni leggere e polveri contenenti sostanze diverse dal 191003. Il fluff può essere quindi rifiuto pericoloso o speciale e richiedere, quindi, tecnologie di trattamento per lo smaltimento diverse ed appropriate in funzione della sua classificazione. I dati sperimentali di caratterizzazione chimico-fisica, con par- ticolare riguardo al contenuto di PCB (Policlorobifenili) e di metalli pesanti, a seguito di una campagna di analisi condotta dalla stessa APAT presso diversi frantumatori, non appaiono omogenei, tali da assicurare una classificazione univoca del fluff come rifiuto speciale e ciò in considerazione della eterogeneità dei flussi di carcasse inviati alla frantumazione, spesso non adeguatamente bonificati. Obiettivo dell’attività dell’APAT, che è ancora in corso, è anche quello di caratterizzare il fluff ai fini di un suo recupero energetico, anche attraverso prove di combustione in impianti di incenerimento. È bene, tuttavia, in via prudenziale considerare il fluff rifiuto pericoloso ed adottare le tecnologie di tratta- mento conseguenti per lo smaltimento. Certamente per quelle connesse alla termovalorizzazione è opzione obbligata. Il recupero energetico, in particolare, è la soluzione che le autorità competenti debbono favorire lettera c, comma 1, dell’articolo 7 del D.Lgs 209/2003). Anzi vi è di più: poiché il medesimo articolo impone obiettivi crescenti di reimpiego e di recupero di materiali e/o di ener- gia che, in rapporto al peso medio per veicolo e per anno, vanno, per i veicoli fuori uso prodotti dal 1° gennaio 1980, dall’85% per il 2006 e, per tutti i veicoli, al 95% entro il 2015, il recupero energetico del fluff diventa un passo obbligato, mentre per gli stessi veicoli e gli stessi anni, il reimpego ed il riciclaggio, vanno dall’80% al l’85%. Ad oggi una frazione significativa del fluff, almeno del 15%, avrebbe dovuto essere recuperata come materiale di riciclaggio o come combustibile non convenzionale. Nel panorama nazionale ciò non sembra proprio che stia avvenendo, nonostante le crescenti difficoltà di smaltimento in discarica ed ai costi crescenti di conferimento. Il problema è stato sollevato in più circostanze dall’AIRA (As- sociazione Italiana Riparatori Auto) stessa, fino a minacciare il blocco dei centri di frantumazione. Da una recente indagine dell’OECD risulta che, dove sia stato adottato il recupero energetico dai rifiuti come parte di una strategia integrata, si hanno i più avanzati ed efficienti schemi di riciclaggio dei rifiuti; quindi il riciclaggio ed il recupero di energia crescono in parallelo. Il trend è ovvio: più riciclaggio corrisponde a più recupero energetico e viceversa. Anche in questo settore si è ritardo: si assiste ad una sorta di blocco ideologico avverso al recupero energetico dai rifiuti e di conseguenza dal fluff, con ovvie conseguenze ambientali ed economiche. Un ideale processo di trattamento dovrebbe combinare tutti e tre i seguenti obiettivi: completa distruzione del potenziale tossico di un rifiuto; massimizzare il riciclaggio e il reimpiego dei materiali; garantire un efficiente recupero di energia. Nuove tecnologie di termovalorizzazione e/o di recupero si stanno sviluppando nel mondo anche per il trattamento del fluff. L’Italia è di fatto assente da questo processo di innovazione. È evidente che, accanto allo sviluppo di tecnologie avanzate di trattamento, occorre ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente dei veicoli fuori uso, con flussi minimi da destinare allo smalti- mento finale, concependo i veicoli stessi in modo da facilitarne riuso, riciclo e recupero come impone la Direttiva 2005/64/CE del Parlamento e del Consiglio, a partire dall’anno 2007. Ciò può essere perseguito implementando sia le tecnologie di recupero dei materiali contenuti nel fluff, (materiale plastico e metalli in particolare), sia le tecnologie di recupero energetico. Il Gruppo europeo dei frantumatori, nella sessione plenaria tenuta nel giugno del 2005, visto il ritardo generalizzato negli obiettivi sia del reimpiego e del recupero che del reimpiego e del riciclaggio, da un lato, in un apposito documento, ha proposto una diversa modulazione temporale degli obiettivi previsti sia di riempiego e di recupero sia di riempiego e di riciclaggio e, dall’altro ha valutato realisticamente il 2015 come anno in cui si raddoppierà sia la capacità operativa di reimpiego e riciclaggio di materiali che di recupero di energia dal fluff, nonché il raggiungimento della riduzione a due terzi della quantità dello stesso da incenerire insieme ad altri combustibili, o rifiuti, e da smaltire i discarica. Passando in rassegna lo stato dell’arte nell’UE, dallo stesso documento si evince che soltanto in cinque Paesi, precisa- mente Austria, Belgio, Danimarca, Francia e Germania, sono stati realizzati impianti di trattamento del fluff avanzati di potenzialità industriale: – in Austria, un impianto misto di 90 mila tonnellate di separazione meccanica avanzata e di utilizzo della restante parte in un altoforno; – in Belgio, due impianti di 20 mila e di 60 mila tonnellate all’anno di separazione meccanica avanzata con riciclaggio dei prodotti recuperati; – in Danimarca, un impianto di separazione meccanica avanzata con riciclaggio dei prodotti recuperati; – in Francia, due impianti di 30 mila e di 15-20 mila tonnellate all’anno, il primo funziona secondo un processo di pirolisi con recupero energetico del 50% e con utilizzo del 45% come combustibile in un cementificio, mentre il secondo produce combustibile per un cementificio; – in Germania, tre impianti di 60, 40 e 50 mila tonnellate all’anno, i primi due di separazione meccanica avanzata con recupero energetico e riciclaggio dei prodotti recuperati, mentre il terzo gassifica il fluff insieme ad altri rifiuti. Risulta comunque che del fluff prodotto nell’UE soltanto il 20% viene trattato per il recupero di materiali e di energia in impianti dedicati. Un’altra parte non stimata, comunque significativa, utilizza il fluff tal quale sia in processi industriali di co-combustione, (ad esempio in forni per la produzione di cemento) o nell’incenerimento dei rifiuti urbani e/o impianti industriali dedicati. Diversi Paesi europei hanno dichiarato l’intenzione di bandire progressivamente lo smaltimento del fluff in discarica. La Svizzera fin dal 2000 lo vieta esplicitamente consentendo l’utilizzo del fluff in impianti di incenerimento di rifiuti urbani o di produzione industriale. Un’apposita iniziativa industriale con tecnologia innovativa meccanico-termica (Reshment) è stata sospesa per diverse difficoltà insorte con le autorità competenti. In altri paesi dell’OECD, in particolare in Giappone, è stata sviluppata una tecnologia, disponibile commercialmente su larga scala, diffusa in molti stabilimenti industriali giapponesi ed europei, che consente il trattamento ecologico ed economico di residui vari provenienti da triturazione tra cui il fluff. Essa è la combinazione di due tecnologie provate di conversione di rifiuti in energia. Vi è in atto in diversi paesi dell’UE, negli USA ed in Giappone, un’intensa attività di ricerca presso Laboratori ed Università per industrializzare processi già sviluppati come prototipi. In particolare l’Argonne National Laboratory, centro mondiale di ricerca tecnologica, ha messo a punto un processo che è passato dalla scala di prototipo a quella industriale. Ha, altresì, in atto una collaborazione con il Governo per una rassegna e verifica approfondita delle numerose tecnologie impiantisti- che che da più parti sono state sviluppate e proposte, spesso ancora in fase di prototipo e/o di ideazione e/o di industrializzazione o di preindustrializzazione, per verificarne la fattibilità industriale ed economica. Eppure molte delle soluzioni sono ancora nella fase dell’infanzia tecnologica. L’Università di Brighton ha messo a punto, su scala pilota, un processo di pirolisi e di post-pirolisi che potrebbe essere utilizzato su scala industriale per riciclare e recuperare la massima quantità di materiali e di energia dal fluff. Tuttavia anche la pirolisi manifesta incertezze di industrializzazione, di convenienza economica e di ridotto impatto ambientale. Quanto alle soluzioni impiantistiche, cosiddette end pipe, per i residui dei veicoli a fine vita provenienti dal processo di frantumazione, esse non appaiono ancora mature sia in termini industriali ed economici che di impatto ambientale, non ancora risolti. Esse abbisognano ancora di un processo di apprendimento e di sostegno pubblico per un uso effettivo su larga scala. Le prospettive future presuppongono un rilevante sforzo di ricerca e di innovazione tecnologica che, peraltro, riguarda tutto il ciclo di vita del veicolo, non solo la gestione del fluff.

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