Tecnologie per il trattamento di rifiuti pericolosi da attività di autodemolizione
Intervista a Leif Sorensen
Creare dei centri di raccolta dei materiali provenienti dalla demolizione delle auto, cercando la via migliore alla riduzione della contaminazione dei cosiddetti materiali pericolosi, in modo di ottimizzare la fase del recupero, anche energetico, è quanto occorre senz’altro fare in Italia per ottenere per raggiungere quei valori di recupero/riciclaggio attesi dalle norme in materia. Per questa finalità occorre “ingegnarsi” e cercare vie alternative e percorsi tuttora insoliti. Risulta senz’altro di valido aiuto guardare quanto avviene in altri Paesi europei per risolvere problemi analoghi. In base a questa considerazione abbiamo chiesto un parere ad un esperto di tecnologie ambientali di nazionalità danese, Leif Sorensen, della Società Atmarketing, il quale ci ha illuminato circa le possibiità, già positivamente sperimentate in Danimarca e in altri Paesi Europei, di risolvere il problema del trattamento dei rifiuti pericolosi provenienti dall’autodemolizione.
Dott. Leif, in Italia e in modo analogo in altri Paesi europei si debbono trovare rimedi efficaci per il trattamento dei materiali resudui dell’autodemolizione. Quali possono essere le prospettive? Mi occupo da diverso tempo di trasferimento di tecnologie ambientali, lavorando in collaborazione con industrie del Nord-Europa e già un anno fa fui interpellato per fornire indicazioni sul come risolvere il problema della raccolta del car-fluff, ossia dei residui ferrosi provenienti dalla demolizione delle auto. Questo perché il problema più rilevante in Italia è che i vari depositi dispersi sul territorio iniziano ad essere saturi e sta diventanto anche sempre più difficile ottenere delle nuove licenze per il trattamento di questo materiale classificato come pericoloso. Tentare di esportare questi componenti non sembra una soluzione accettabile, invece un rimedio senz’altro corretto e vantaggioso esiste ed è quello che comunemente viene usato nel Nord-Europa. Può spiegarci di che cosa si tratta? In Danimarca, in Scandinavia, ma anche in altri Paesi Nord-europei sono in funzione degli impianti che realizzano un normale trattamento termico del car-fluff ad alta temperatura, permettendo poi di trasformare questa fonte energetica in energia elettrica via turbina che funziona molto bene e che, creando risparmio energetico, consente anche una valida operazione vantaggiosa sotto il profilo economico, ma soprattutto permette di evitare la formazione di depositi pericolosi. Anche in Italia sarebbe possibile realizzare un tipo di impianto del genere, ovviamente adattandolo alle caratteristiche territoriali e logistiche del Paese. Credo che in Italia la cosa migliore da fare sia di realizzare diversi impianti disseminati in prossimità delle concentrazioni di depositi di autodemolizione, in tal modo si eviterebbe l’inconveniente del trasporto di car-fluff. Con la tecnologia che intendo proporre è possibile realizzare un impianto in grado di smaltire 10 mila tonnellate l’anno di materiale ferroso, che produrrebbe un MW/h di energia. Quali dimensioni hanno gli impianti? Lo spazio non è un problema perché si tratta di impianti di piccole dimensioni, un prefabbricato, per intenderci, che può essere montato e smontato in pochissime ore. Un’economia attenta, infatti, ci impedisce di realizzare megacostruzioni che avrebbero un costo troppo elevato. Parlando di convenienza, questi impianti permettono di realizzare con un piccolo investimento un risparmio energetico notevole e naturalmente un recupero altrettanto ecologicamente vantaggioso poiché assolutamente sicuro. Gli impianti presentano anche una completa sicurezza sul piano tecnico non provocando danni o pericoli di alcun tipo, poiché sono monitorati in continuo da sensori, così che il ciclo di lavorazione è sempre sotto controllo e ciò consente di verificare il mantenimento della giusta temperatura di trattamento. A propositi di rischi la risposta è zero; anzi il rischio è quello che si corre oggi in Italia per l’ambiente continuando a servirsi di sistemi errati e non efficaci. Non c’è alcun svantaggio? No, anzi è molto vantaggioso economicamente, poiché consente a chi vi opera una capitalizzazione in tempi brevi, che è ciò che il mercato degli investimenti ricerca. La nostra esperienza deriva da 40 anni di attività nel settore del trattamento dei gas: ormai siamo in grado di realizzare impianti altamente sicuri e controllati. Sarebbe una novità per il settore in Italia? Sicuramente un esperimento nuovo, ma senza inventare nulla di diverso, nel senso che occorre solo ragionare sul modo di adattare questa realtà ad una dimensione logisticamente idonea per il territorio italiano. In Germania, ad esempio, esiste un mega-impianto per il trattamento di car-fluff, ma non è consigliable farlo di grandi dimensioni in Italia dove sarebbe invece più indicato realizzare tanti piccoli impianti. Comunque esiste anche un altro problema legato al recupero dei materiali pericolosi delle auto demolite a cui dare una adeguata soluzione. Quale? Il liquido antigelo (glicoletilenico), un composto alcolico che si una anche per fare il poliestere. Questo liquido usato nelle autonmobili deve essere trattato con cautela poiché contiene sostanze altamente inquinanti che fanno classificare il prodotto come molto pericoloso. In Danimarca anche questo problema viene risolto in maniera adeguata, perché è importante salvaguardare l’ambiente, ma ancor di più la vita umana. Nel mio Paese è in funzione un impianto per lo smaltimento del liquido antigelo delle auto, che tratta 4000 tonnellate di materiale all’anno. Come può osservare, quando si raggiungono queste cifre si acquisisce esperienza da vendere. Per il trattamento di questo liquido, siamo oggi in grado di separare l’acqua dalle altre sostanze estranee, per esempio la ruggine, e successivamente bruciamo l’alcol glicolico trasformandolo in energia. Non è certo possibile mettere tutto il composto in un forno e bruciarlo poiché il contenuto d’acqua provocherebbe l’abbassamento della temperatura. in questo modo, invece, si recupera anche l’acqua, che può essere riutilizzata per fini indistriali e magari ritornare allo stesso stabilimento che ha prodotto il composto originario. Mi auguro che queste esperienze possano presto divenire realtà anche in Italia. A tale questo scopo tre industrie in Scandinavia stanno lavorando per la progettazione adeguata di impianti-tipo.